Ogni paese dell’Unione ha qualcosa da raccontare dopo le ultime elezioni, quelle per l’ottava legislatura del Parlamento europeo. Un po’ ovunque, nei principali paesi, è saltato il modello bipolare. In Gran Bretagna era già stato compromesso, dopo le ultime elezioni politiche. Ma la vittoria dell’indipendentista Ukpi ha assestato un colpo da knock-out al sistema politico britannico. Anche in Francia, con il Front National, e in Spagna, con Izquerdia Unida e Podemos, ci sono state novità tali da poter parlare di terremoto, sconquasso e via sostantivizzando. Dal canto suo, la Polonia si era già da tempo spostata a destra come avviene in tutto l’Est europeo. Ma tale orientamento è apparso consolidarsi nell’ultimo confronto elettorale, assumendo un retrogusto anti-europeo. In Germania e in Italia, è vero, nulla di ciò è accaduto. Ma i due paesi avevano già governi nazionali sostenuti da grandi coalizioni post-bipolari… e c’è da attendersi, lungo questa falsa riga, un ampio sostegno da parte del Parlamento europeo a favore di una Commissione (ossia l’organo di indirizzo politico dell’Unione) che risponda ad entrambi gli schieramenti (popolare e socialista) che, in passato, (più o meno) polarizzavano i sistemi politici nazionali.
Occorre tuttavia notare che, a differenza di quello tedesco, anche il voto in Italia è stato considerato storico. Non si è determinato alcun successo anti-europeo, anzi. Ma proprio per questo il paese ha registrato una rottura con il passato. Il lungo declino del berlusconismo ha ulteriormente segnato il passo. Ma soprattutto l’Italia ha visto una luce in fondo al tunnel della transizione post-berlusconiana, avviata nel novembre 2011… e parlo ovviamente del ‘ciclone Renzi’, ossia del Capo del Governo il quale ha personalmente vinto le elezioni.
Alcuni italiani potrebbero aver votato per il nuovo centro-sinistra – ossia il centro-sinistra emerso dalle primarie vinte da Renzi nel dicembre 2013, contro il vecchio Partito democratico – solo per gli 80 euro che hanno ricevuto in busta paga, alcuni giorni prima del voto. Altri potrebbero aver superato ogni incertezza – registrata da tutti i sondaggi nei giorni precedenti alle elezioni – solo per paura del populismo volgare del leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo. Ma è evidente che il voto, che ha visto il Partito democratico superare il 40%, ha risposto soprattutto alla necessità di governo, avvertita dai più, sia a livello nazionale che europeo.
Renzi ha chiesto la fiducia agli elettori per fare dell’Europa non più un vincolo, ma una risorsa e un’opportunità. Il suo messaggio è stato chiaro: senza ottenere il sostegno di una politica europea, non si riuscirà a fermare il declino italiano (cosa che egli ha promesso di fare). Quindi, il successo di Renzi è storico perché venuto da un voto europeo. Non sono i numeri, pur importanti, a dare il senso della misura di ciò che è accaduto (oltre all’ampio consenso, in Italia il tasso di partecipazione è stato maggiore che altrove). A differenza dei cittadini di altri paesi, gli italiani hanno dato fiducia alla possibilità di cambiare l’Europa a vantaggio dei popoli.
Ci si riuscirà? Difficile dirlo. Ha sicuramente fatto bene Renzi, come sottolineato da Alessandro Campi in un editoriale su Il Messaggero (27 maggio), a non esultare per la vittoria. Ogni ciclone è destinato a finire. E nella politica italiana si è vista solo una luce in fondo al tunnel. Ma ora la partita si gioca in Europa, nel semestre della presidenza italiana. Renzi potrà continuare a mantenere il consenso interno minacciando di giocare l’asso delle elezioni anticipate. Sarà così spregiudicato da giocare in Europa l’asso della sopravvivenza stessa dell’Unione?
Emidio Diodato
Professore associato di Politica internazionale
Università per stranieri di Perugia.