Il Barbiere di Siviglia: Storia di un fiasco di successo.

20 febbraio 1816, al Nobile teatro di Torre Argentina va in scena la nuova opera di Gioacchino Rossini. L’esito fu decisamente infelice: fischi e lazzi, gatti curiosi e nasi rotti. Ma, dopo tre giorni, il trionfo.

In un’epoca nella quale non esisteva alcun mezzo di riproduzione meccanica della musica, questa si faceva e si ascoltava rigorosamente dal vivo. Per fortuna, la domanda di consumo musicale non mancava, anzi, a dirla tutta, i compositori più richiesti erano obbligati a rispondervi a ritmi di scrittura a dir poco vertiginosi. È questo il caso del nostro Rossini, e l’allestimento de “Il barbiere di Siviglia” fu proprio una corsa contro il tempo. Non che ciò mise in difficoltà il maestro: è infatti ben nota la sua straordinaria facilità di scrittura.

Graziato da un talentuoso orecchio interno, al quale i motivi si presentavano spontaneamente (anche senza l’ausilio del pianoforte), componeva ovunque e in qualsiasi momento. Vale la pena ricordare un simpatico episodio. Una volta, intento a comporre comodamente adagiato sul proprio letto, un foglio gli cadde per terra e, piuttosto che alzarsi a cercarlo, preferì ricominciare su un altro; più tardi, un amico trovò e gli porse il foglio caduto e Rossini, ridendo, gli fece notare che aveva poi scritto una musica del tutto diversa: “vuol dire che la musica scritta prima la terrò da parte per un’altra occasione”. Disinvolto impiego della musica (d’altronde in pieno vigore ai suoi tempi) del quale Rossini era assolutamente consapevole.

Quando l’editore Ricordi gli comunicò che avrebbe pubblicato la sua Opera Omnia, il maestro rispose imbarazzato: “l’edizione da voi intrapresa darà luogo a molte critiche, poiché si troveranno in diverse opere gli stessi pezzi di musica. Il tempo e il denaro che mi si accordava per comporre era così omeopatico che appena avevo il tempo di leggere la cosiddetta poesia da musicare. La sola sussistenza dei miei dilettissimi genitori e poveri parenti mi stava a cuore” – l’italianissimo “tengo famiglia” insomma.

Rossini
Gioacchino Rossini

Ma veniamo al Barbiere. L’incarico per la composizione fu assunto da Rossini il 15 dicembre 1815, come attesta il contratto firmato con l’impresario del Torre Argentina, il duca Francesco Sforza Cesarini, con il quale il maestro “si obbliga a consegnare la partitura alla metà del mese di gennaio e di adattarla alla voce dei cantanti; in ricompensa delle sue fatiche il duca Sforza Cesarini si obbliga di pagargli la somma in quantità di scudi 400 romani”, annessi vitto e alloggio per la durata necessaria – un buon contratto tutto sommato. Il tempo, però, non è molto (la data fissata per la prima è il 5 febbraio), il libretto ancora inesistente e i cantanti tutti da scritturare. Cesarini riesce a trovare le voci entro il 20 dicembre, e, per quanto riguarda il libretto, chiese al poeta Jacopo Ferretti di scrivere una storia che avesse una parte importante per il tenore spagnolo Emanuele Garcia (voce felice e ottimo attore, fortemente voluto dallo stesso Rossini). Ferretti propose un libretto incentrato sugli amori di un ufficiale per un’ostessa: respinto perché troppo banale. Rossini propone allora a Cesare Sterbini di ricavare un nuovo libretto da “Il barbiere di Siviglia, ovvero l’inutile precauzione, la popolare commedia di Beaumarchais, e, implorato anche dal duca, Sterbini accetta.

Siamo già al 18 gennaio, e la prima viene ragionevolmente spostata al 20 febbraio. Il libretto viene scritto con notevole rapidità: Sterbini passa man mano a Rossini le pagine già scritte, pronte per essere musicate. Romanticamente immaginiamo poeta e compositore insieme, in una gran sala con tavolo e pianoforte, silenziosi e freneticamente all’opera. Immagine, tuttavia, ben lungi dall’essere realistica. Stendhal, sincero ammiratore del maestro pesarese, ricorda che Rossini, quando scritturato per una nuova opera, dedicava molto tempo a festeggiare l’evento in compagnia di amici e seguaci: “dopo quindici o venti giorni di questa vita dissipata, Rossini comincia a rifiutare i pranzi e le serate musicali, e vuole occuparsi seriamente delle voci dei suoi cantanti. Finalmente, una ventina di giorni prima della rappresentazione, si mette a scrivere. Si alza tardi, compone frammezzo alla conversazione dei suoi nuovi amici, va a pranzo con loro all’osteria, e spesso anche a cena; rientra molto tardi, ed è a questo punto della giornata, verso le tre del mattino, finalmente solo nella sua camera, che gli vengono le idee più belle”. Rossini era dunque abituato a lavorare velocemente, senza mai rinunciare ai piaceri della buona tavola e della lieta compagnia. Ma questa volta superò sé stesso: le 600 pagine del Barbiere furono scritte in appena venti giorni.

Il Barbiere

Quattro giorni dopo aver consegnato la musica del primo atto al maestro concertatore, il maestro apprende la notizia della morte del duca impresario. Dopo un momento di grave incertezza, l’amministratore di casa Sforza Cesarini invita tutti a proseguire i lavori: l’8 febbraio iniziano le prove.

Cresce l’attesa e tutta Roma guarda all’Argentina, aspettando, intrepida e curiosa, la nuova opera di Rossini – mentre lui, beato e incurante, continua a dilettarsi in pranzi e cene. È in questo frangente che viene a formarsi un partito di antagonisti, aizzato da Napoli dall’invidioso Paisiello, con il dichiarato intento di stroncare l’opera rossiniana (nonostante fosse assolutamente normale all’epoca mettere in scena un libretto già utilizzato da altri – lo stesso Barbiere contava già tre versioni quando il napoletano l’aveva presentato a Vienna nel 1782), al quale si aggiungeranno degli astiosi incitati dall’impresario del teatro Valle, ostile al duca Cesarini. L’esito della prima è già deciso. Le voci cominciarono a circolare, e Rossini, che non era certo un cuor di leone, decise prudentemente di cambiare il titolo dell’opera in “Almaviva, ossia l’inutile precauzione”, pensando anche a far precedere il nuovo libretto da un “Avvertimento al pubblico”, il quale, invece di rabbonirlo, sortirà l’effetto contrario di imbufalirlo ancor più: dichiarando in apertura che il nuovo titolo e la nuova versione della commedia erano dovuti al rispetto e alla venerazione per l’immortale Paisiello, il testo prosegue, con decisamente poco tatto, ricordando al pubblico che i tempi sono tuttavia cambiati: come dire implicitamente che il maestro napoletano è ormai superato – davvero un’”inutile precauzione”. Rossini ebbe pure la debolezza di permettere a Garcia (Almaviva) di cantare, per la serenata a Rosina, un’aria di sua composizione su dei motivi spagnoli.

di Siviglia

Accompagnandosi con la chitarra per rendere più realistica la scena, lo sfortunato ruppe una corda: l’ilarità divenne generale (la sua aria era poi davvero mediocre). Non fu il solo incidente: il povero Zenobio Vitarelli (Basilio) inciampò entrando in scena, cadde e si ruppe il naso (cantò tamponandosi il naso sanguinante con un fazzoletto). Il pubblico arriva al massimo dello spasso quando, durante il finale del primo atto, entra in scena furtivo un gatto, il quale va a fregarsi contro le gambe dei cantanti che invano tentano di cacciarlo. Il sipario cala tra fischi e lazzi. Rossini, apparentemente impassibile, fa cenno di applaudire i cantanti, ma viene frainteso: il pubblico pensa che voglia gli applausi per sé e si scatena ulteriormente. Durante il secondo atto il baccano è tale che nessuno riesce a percepire una singola nota: la prima del Barbiere fu uno dei fiaschi più clamorosi che la storia della lirica ricordi. Il maestro lasciò il teatro con l’indifferenza di un semplice spettatore, andò a letto e chiese di non essere disturbato. Consapevoli delle frequenti malattie che di lì a poco lo avrebbero tormentato, della vecchiaia precoce e delle senili depressioni, possiamo ben credere che dietro tanta imperturbabilità si nascondessero sofferenze inconfessabili.

Ad ogni modo, l’indomani Rossini si diede malato e non si presentò, Garcia rinunciò alla sua serenata e cantò mirabilmente, e il pubblico iniziò finalmente ad ascoltare. Il successo definitivo arriverà alla terza giornata: Rossini, stanato dal suo alloggio, viene portato in trionfo.

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Laura Sasso
Laura Sasso è italiana, nata a Milano, ma siciliana d'adozione. E' laureata in Filosofia (specializzazione in Estetica). Vive attualmente a Toulouse e ama scrivere, di arte e cultura.

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