‘I racconti di Villapluvia’ (Belluno nelle Dolomiti venete) di G. Larese.

Il “romanzo pastorale” è un’invenzione di altri tempi eppure esiste ancora e ci arriva da uno scrittore atipico tale Giovanni Larese, giornalista e storico del suo territorio: Belluno e provincia di cui si parla poco se non per tessere le lodi, giustificate, delle Dolomiti venete. In questo contesto nasce questa piccola raccolta di racconti edita da Bononia University Press nel 2014 e vincitrice del premio Todaro Faranda dello stesso anno.

"I racconti di Villapluvia" di Giovanni LareseIl titolo : “Racconti di Villapluvia” e la veste editoriale elegante e raffinata ci introducono in un’opera che “profuma” di alpeggi, di abetaie e di un mondo contadino e montanaro, con le sue tradizioni, desideri, problemi che pochi conoscono e che pure appartiene alla tradizione anche letteraria italiana non contemporanea. Come se avessimo messo da parte, nella memoria, la storia della ruralità italiana e del suo incidere sulla storia attuale.

Di grande respiro e originalità, “I racconti di Villapluvia” abbracciano un ampio arco storico: dagli anni Sessanta dell’Ottocento, fino alle due guerre mondiali e alla tragedia del Vajont (1963). Vi si coglie il temperamento di uno storico, non ignaro della lezione delle Annales, specie nella rivisitazione di usi e costumi che innerva le tante microstorie dei singoli, ma si apprezza anche il dominio dello strumento linguistico, capace di metafore non usuali (le gibigianne di un ottimismo sconsiderato) e di rare allusioni folcloriche (le anguane, le ninfe fluviali dai piedi di capra).

Sono dei racconti  originali e complessi che rivelano ottima conoscenza della storia locale e del periodo in cui si svolge la narrazione. Usando un lessico familiare, Larese ci introduce nell’universo di un paese di confine; nel Veneto che ancora fatica a staccarsi dall’Austria e che pero’ rivendica la sua identità italiana nonché le sue tradizioni ancestrali e le riflessioni di chi vuole aprirsi alla modernità ma a modo suo: senza cadere nel consumismo culturale o nel conformismo.

Il disastro del Vajont (1960)

L’originalità e la rarità di questo libro sono proprio nel suo riflettere uno sguardo interessato e complice su un territorio di ricordi e di ombre come i Lari di una casa sparita eppure presente nei sogni e nei desideri di una collettività partecipata e condivisa. Non si pensi ad un testo  dove si rimpiange il passato; vi abita un desiderio di continuità con la storia materiale e spirituale di un passato prossimo, con un habitat culturale e sociale  dove gli avvenimenti del presente hanno un senso: etico, morale.

Nel Prologo: 1866 e dintorni, Larese ripercorre il tracciato antico di una strada familiare e quotidiana  senza perdere di vista la meta: ricostruire una comunità nel suo evolversi per trovare il filo di un agire in comune dove la cooperazione non sia solo produttiva ma morale, intellettuale, solidale.

Dice Larese: “…L’eco della grande Storia, pur attenuata dalla lontananza, si fa sentire anche in periferia, mediato da istituzioni, scuola, stampa, epigrafi…Il ticchettio del tempo artificiale lasciava indifferente l’universo rurale…La natura imponeva la sua legge, nell’aria si respirava la spasmodica attenzione corale nei confronti del clima…”

L’autore seguita poi con l’analisi dei cambiamenti dovuti all’introduzione di nuove colture come la patata nel 1817 per scongiurare la carestia, alla successione di eventi naturali come l’alluvione del 1882 quando il Piave sbriciolò ponti, case, botteghe e, perso il lavoro, molte famiglie furono costrette a emigrare.

Villapluvia, antico nome fluviale di Belluno, dette i natali al Papa Gregorio XVI che dopo le feste dei suoi concittadini in suo onore si rivelò antipatriota e tenace avversario del progresso. Le speranze della Cenerentola dell’Alpe di entrare nella storia della rivoluzione industriale e nazionale si arenarono ma rimasero vive anche perché nel 1866 termina la dominazione straniera trasformando i veneti in taliani. La narrazione, ironica e precisa, della storia bellunese  continua e si arricchisce di dettagli socio-economici e culturali importanti per chi vuole analizzare e studiare un tassello inedito del puzzle Italia. Soprattutto quella rurale.

Dice l’autore: “Il nostro raccontare non documenterà quel che accadde a Villapluvia nel 1866 (anno in cui arrivo’ fra quelle valli anche Giuseppe Garibaldi…). Ci limiteremo a trattare alcuni avvenimenti che coinvolsero (e sconvolsero) la città sul fiume nei giorni a cavallo di quell’anno controverso. Poi l’ultima storia legherà quell’anno all’epoca nostra.

L’ultimo capitolo, inframmezzato da testi di interviste ai sopravvissuti, sbobina, con il commento commosso dell’autore, il film terrificante della tragedia del Vajont.

Studioso di documenti d’archivio, Larese traccia i profili di povera gente che spesso è in conflitto con le autorità o che viene da esse truffata; a sostenere: sempre la dimensione comunitaria che permea la quotidianità rurale. Storie di delitti e di amori passionali, di patrioti italiani che ci rimandano al film di Visconti Senso, accenni a leggende fluviali e una perla: lo splendido racconto: D’inverno, in stalla dove, in punta di piedi e con distacco affettuoso, l’autore trascorre la notte del 31 dicembre con i “…campagnoli nella stalla di Stargnano. Accanto alle bestie i contadini chiacchierano, pregano, cantano e ascoltano storie mentre i maschi approfittano del buio per corteggiare le ragazze...” Questo è l’incipit di una scena quasi teatrale, protagonista: una comunità serena, parsimoniosa e gentile. Questo sembra essere una bella pittura o un dagherrotipo da collezione, ma Larese non si dilunga in smancerie antiquarie, traccia solo il disegno di un mondo e di un territorio dove la sua analisi coglie i fondamenti del prospero e controverso mondo imprenditoriale della sua regione oggi.

Nel libro si capisce che non si fanno concessioni sentimentali ma una bella analisi, stesa in narrazione, della società del Veneto lontano dalle calli veneziane:  quello ex asburgico ma profondamente italiano delle città dei fiumi di montagna e di Tiziano Vecellio cadorino.

Comprendere un territorio serve a tutti noi per agire nella ricerca del bene comune; questo libretto ne è uno strumento di cui oggi, in questa Italia divisa e egocentrica, abbiamo forse bisogno.

Per ordinare il libro su internet

  • Anno di pubblicazione: 2014
  • Edito da: Bononia University Press
  • Collana: Narrativa
  • EAN: 9788873959618
  • Numero di pagine: 120 pagine
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Maria G. Vitali-Volant
Maria G. Vitali-Volant : nata a Roma, laureatasi all’Università di Roma; abilitata in Lettere, storia e geografia; insegnante e direttrice di biblioteca al Comune di Roma, diplomata in Paleografia e archivistica nella Biblioteca Vaticana, arriva in Francia nel 1990 e qui consegue un dottorato in Lettere, specializzandosi in Italianistica, con una tesi su Giuseppe Gorani, storico viaggiatore e memorialista nel Settecento riformatore. Autrice di libri in italiano su Geoffrey Monthmouth, in francese su Cesare Beccaria, Pietro Verri, è autrice di racconti e di numerosi articoli sull’Illuminismo, sulla letteratura italiana e l’arte contemporanea. In Francia: direttrice di una biblioteca specializzata in arte in una Scuola Superiore d’arte contemporanea è stata anche insegnante universitaria e ricercatrice all’ Université du Littoral-Côte d’Opale e à Paris 12. Ora è in pensione e continua la ricerca.

1 COMMENTAIRE

  1. Sulla pagina Facebook del gruppo « Belluno e la sua storia », un lettore ci fa cortesemente notare quanto segue:
    Villapluvia non è il nome antico di Belluno, bensì il titolo del libro del 1942 di Beniamino Dal Fabbro « Villapluvia e altre poesie ». Dal Fabbro ironizzando definì la sua città natale in questo modo perché spesso piove. Trattasi di semplice riproduzione.
    Fondo Benimaino Dal Fabbro: http://biblioteca.comune.belluno.it/books/fondo-beniamino-dal-fabbro/
    Giovanni Grazioli

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