“Dire i traumi dell’Italia del Novecento”, un libro curato da studiose italiane e francesi.

Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica” è un volume che pone la questione del trauma e del dolore nella letteratura italiana contemporanea e invita a una riflessione sui maggiori traumi, individuali e collettivi, che hanno segnato la storia italiana del Novecento: la Grande Guerra, il Fascismo, la Seconda guerra mondiale, i campi di concentramento e di sterminio. Il libro, recensito qui sotto da Cristiano Spila, è stato curato da un collettivo di studiose italiane e francesi (Maria Pia De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez) e pubblicato di recente da Franco Cesati Editore.

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Non è la prima volta che un saggio affronta il problema del trauma, della violenza subìta, degli eventi traumatici individuali e collettivi, e non sarà l’ultimo. Il racconto del trauma («dire i traumi») riesce a far emergere nell’animo umano, tra memoria e rimozione, lo spazio della testimonianza; e il fatto che tale spazio sia, per così dire, uno spazio “letterario”, non solo non significa che esso sia finto, artificiale o persino arbitrario, ma, proprio al contrario, che quello spazio assume l’aspetto della ‘verità’: si può dire il trauma proprio grazie al tratto di rara precisione che la letteratura, come poesia essenziale, è in grado di conferirgli. In tal senso, la letteratura di tutte le epoche storiche è piena di narrazioni del dolore e del trauma, dallo shock di Achille per la morte di Patroclo nell’Iliade allo strazio di Govoni per il figlio morto alle Fosse Ardeatine (da cui nasce la paurosa invettiva della Fossa carnaia ardeatina, 1944), dai lamenti sul trauma epocale della caduta di Costantinopoli alla Cavalla storna di Pascoli, in cui si riaffaccia il trauma individuale della morte del padre, dalle traumatiche immagini della peste nel Decameron di Boccaccio o nelle raffigurazioni delle “danze macabre” medievali (su cui cfr. C. Frugoni, Senza misericordia, 2016) fino all’orrore delle carneficine raccontate dal personaggio di Marlowe in Heart of Darkness di Conrad.

Di fronte alla vastità della produzione letteraria, si tratterà, semmai, di restituire al trauma il suo significato culturale senza mai ipnotizzarsi su stereotipi e luoghi comuni e, al contempo, si tratterà di suscitare la conoscenza del suo risvolto testimoniale e culturale a prescindere da obiettivi psicologici e scopi terapeutici. Il fine della ricerca è proprio quello di indicare, con una decisione ermeneutica, “quando” la narrazione ha il potere di gestire al proprio “interno” quella dimensione esistenziale bruciante che il trauma rappresenta.

Combustione plastica di Burri degli anni ’50. Fonte: retrospettiva al Guggenheim dal titolo: « Burri: The Trauma of Painting ».

Dire i traumi dell’Italia del Novecento è un libro che pone seriamente la questione del trauma nella letteratura italiana contemporanea. Il volume, curato da un collettivo di studiose italiane e francesi (Maria Pia De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez), dà l’impressione di toccare giusto, nei punti di maggior significato, questo tema e anche di tentare di definire quel che criticamente rimane aperto o suscettibile di approfondimento. Al gruppo C.I.R.C.E. (acronimo di Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Échanges, dell’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3), di cui fanno parte tre delle curatrici, che riunisce studiose di lingua, cultura e letteratura italiane, in collaborazione con l’Università di Caen Normandia, dove insegna la Agostini-Ouafi, si deve il grande sforzo di ricerca in quest’ambito, come dimostra l’organizzazione dei due ultimi convegni internazionali, del 2018 (Dire les traumatismes du XXᵉ siècle, da cui nasce il presente volume) e del 2019 (Qu’en est-il des traumatismes au XXIᵉ siècle? La littérature et l’art italiens face à l’extrême), oltre che a Il trauma di Caporetto. Storia. Letteratura e arti (Torino, Accademia University Press, 2018), volume di Atti del convegno internazionale svoltosi nel 2017, a cura di De Paulis, Francesca Belviso e Alessandro Giacone.

Il presupposto teorico di questo articolato lavoro collettivo sul «traumatismo» in letteratura è fornito dai riferimenti culturali dei Trauma Studies, branca della critica letteraria nata negli anni Ottanta attorno alla scuola di Yale sulla scia delle teorie post-strutturaliste di Paul De Man e Jacques Derrida. Tali studi risentono di un’interdisciplinarietà originaria che li situa all’incrocio fra differenti aree tematiche (psichiatria, storia, letteratura, diritto) e che rende la loro formalizzazione una questione ardua e variamente dibattuta.

Francis Bacon, Screaming Pope

Il contributo iniziale di Maria Pia De Paulis, intitolato Dal silenzio alla parola: questioni e forme per dire il trauma, tenta di sintetizzare, in modo quanto più sistematico possibile, i presupposti culturali e scientifici, le tendenze metodologiche e le applicazioni teoriche dei Trauma Studies, centrali per comprendere l’eredità del Novecento, il secolo dei traumi. La studiosa affronta anche il nodo dell’impossibilità di «significar per verba» l’evento traumatico, ossia la ‘non comunicabilità’ del trauma.
Ma, accanto a quest’aspetto teorico, ci sono poi le prove narrative, le testimonianze – nel più ampio senso della parola – impegnate nel “dire il trauma”. Non si tratta solo della testimonianza in senso retorico come un’esposizione/racconto che fa suoi i mezzi formali del discorso orale (su questo snodo vedi il contributo di Alessandro Portelli, pp. 175-194), ma anche e soprattutto come una massiccia produzione di storytelling, di autentiche storie vissute. Proprio alla letteratura come ‘esperienza’ corrisponde la testimonianza in modo particolare, poiché quasi nessun genere letterario è più adatto a mediare direttamente il trauma e a puntellarlo attraverso la costruzione narrativa.
Di qui, l’idea di offrire una sorta di campionatura del trauma nella letteratura italiana del Novecento, fotografata nel momento diciamo così della ‘presa di coscienza’ con la Grande Guerra e lasciata alle soglie del secondo dopoguerra. A ciò l’idea di una divisione del volume in quattro sezioni.

La prima sezione del libro, intitolata Soldati e scrittori: il trauma della Grande Guerra, rilegge, attraverso la lente del trauma, l’esperienza di autori come Giani Stuparich, Clemente Rebora e Lorenzo Viani. La nozione di trauma nasce, infatti, nell’immane tragedia del primo conflitto mondiale: è l’esperienza della Grande Guerra, ormai unanimemente riconosciuta come il primo vero trauma di massa dell’Occidente, a gettare le basi del paradigma contemporaneo di trauma. Infatti, fu la Prima Guerra Mondiale e lo studio dei casi di nevrosi di guerra a spingere Freud a una discussione e riformulazione del concetto di “nevrosi traumatica” dello psichiatra Hermann Oppenheim (1889).

Primo Levi

Segue la seconda sezione, intitolata Le scritture-testimonianza. Il trauma del fascismo e della seconda guerra mondiale; e anche qui non è un caso che la discussione prenda le mosse proprio dall’eredità lasciata da Freud e, in generale, dalla psicoanalisi. All’interno della sezione, i saggi dedicati a Umberto Saba e a Luce D’Eramo si strutturano come delle vere e proprie ‘letture’ psicoanalitiche. Si ribadisce anche la centralità dell’opera di Primo Levi, l’autore più citato nel volume e presente in tre contributi (François Rastier, Sophie Nezri-Dufour e Domenico Scarpa). Il ‘trauma concentrazionario’ rimane centrale nella coscienza dell’autore e non si può rimuovere raccontando. E quello che si è vissuto non può certamente venir messo in eccessivo risalto: è una letteratura di “impegno” etico e politico e di stile sobrio e sommesso che Levi realizza nei suoi capolavori letterari.

Le due ultime sezioni, Mediazioni terapeutiche del trauma. Resilienza e tabù e Scritture traumatizzate e ricerca memoriale, dal punto di vista prettamente cronologico, appartengono ancora al periodo della seconda guerra mondiale e della Shoah. Se il soldato ferito o affetto da “nevrosi traumatica” è la prima figura iconica di sopravvissuto, è tuttavia attorno alla Shoah che si definiscono storicamente le contemporanee teorie di trauma. Il dibattito nato attorno a questo evento storico ha infatti un ruolo privilegiato all’interno dei Trauma Studies, poiché contribuisce in modo determinante alla costruzione di una teoria del trauma come arte (e/o bisogno) di portare un messaggio, nonostante un rapporto ambivalente con l’artificio letterario. Il tema del sopravvissuto, colui che fornisce una testimonianza vincolante in accordo con l’esperienza, continua ancora oggi ad essere argomento di discussione all’interno della letteratura del trauma (vedi le riflessioni sulla «scrittura traumatizzata» in Peter Kuon, pp. 299-315).

Infine, riveste un ruolo significativo anche la narrazione della violenza subìta, come dimostrano i saggi di Nathalie Galesne e di Sarah Amrani sulle “marocchinate”, cioè i soprusi materiali perpetrati dai goumiers del corpo di spedizione coloniale francese nel 1944 in Campania e nel Lazio, messi in risalto per il tramite di un capolavoro letterario come La Ciociara di Alberto Moravia. La sensibilità delle studiose conferisce dignità di valore a un tema rimasto fortemente marginalizzato sia in Francia che in Italia.

Fotogramma dal film « La Ciociara » di De Sica, celebre immagine di Sofia Loren convulsamente chinata nel pianto.

Il volume è chiuso dal contributo di Brigitte Le Gouez che si interroga sulla legittimità dell’uso di categorie del sapere clinico nella letteratura: intrecciando teoria psicoanalitica, antropologia e critica letteraria, gli studi sul trauma hanno avuto il grande merito di creare attorno alla nozione di trauma un vivace dibattito teorico, tutt’ora fiorente. Anche questa pubblicazione, infatti, si incanala perfettamente nell’alveo di questo settore accademico che esplora l’impatto del trauma nella letteratura e nella società, analizzandone il significato psicologico, retorico e culturale.

Cristiano Spila

IL LIBRO:

Dire i traumi dell’Italia del Novecento
Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica.
A cura di Maria Pia De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez
Firenze, Franco Cesati Editore, 2020
pp. 382, euro 35,00

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Cristiano Spila
Cristiano Spila (1968) si è occupato di temi e generi letterari. È stato redattore del 'Dizionario delle Opere' della Letteratura Italiana Einaudi e del 'Dizionario dei temi letterari' (UTET). Tra i suoi volumi: 'Cani di pietra' (2002), sugli epitaffi per i cani; 'Mostri da salotto' (2009), sui nani nelle corti del Rinascimento; e 'Animalia tantum' (2012), sui bestiari medievali. Sono apparsi su rivista suoi saggi su Manzoni, Verga, Bassani, Gadda, Vigolo, D’Arrigo, Ungaretti, Montale. Ha tradotto 'Le Encantadas' di Hermann Melville (2010) e le 'Corrispondenze di guerra' di Jack London (2013).

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