La condizione di crisi è uno stato latente della storia d’Italia. Gli anni Settanta furono segnati da un periodo di crisi inflazionistica e sommovimenti sociali. Nei primi anni Novanta si è generata un’improvvisa crisi del sistema dei partiti, cui si accompagnò un attacco speculativo internazionale. L’attuale crisi economica (di cui c’è chi continua a soffrire) si è prodotta negli Stati Uniti, ma si è poi legata alla moneta unica e al tasso d’interesse sul debito pubblico.
Prima Berlusconi e poi Renzi, leader politici molto diversi tra loro, ma ugualmente capaci di personalizzare il messaggio politico con note di invincibile ottimismo, hanno cercato di convincere gli italiani che assai male è dividersi in casi del genere, cioè farsi prendere dai dubbi e non contribuire allo sforzo comune di risalire la china della crisi. Il primo rese popolare, già nei primi anni Novanta, l’espressione “remare contro”, per riferirsi a chi dall’opposizione tentava di ostacolarlo. Il secondo ha recentemente allargato l’orizzonte della polemica, per includervi figure non politiche o della società civile, ad esempio gli intellettuali, aggiungendo la figura del “gufo” ad un lessico politico già ricco di riferimenti zoomorfi.
In un recente libro curato da Alessandro Simoncini (Dal pensiero critico. Filosofie e concetti per il tempo presente, Mimesis 2015), si mostra viceversa che dalla crisi può emergere un pensiero critico, capace di aprire uno spiraglio sul futuro, per osservare il tempo presente al riparo dal “rumore assordante delle opinioni”. Non si tratta di remare contro, opponendosi al governo, e tanto meno di esercitarsi nel ruolo di disturbatori del malaugurio. Figuriamoci.
Il punto è che la politica, pur se mossa da interessi economici, avanza pretese sulla verità per convertire, servendosi a tal fine di ideologie e dottrine. Ciò avviene, come insegnava Alessandro Pizzorno, con un effetto di stratificazione: i) una riflessione teorica propria di un uditorio intellettuale (“spazio dei teologi”); ii) un discorso di massa per il vasto pubblico televisivo (“spazio dei parroci”). La riflessione teorica del pensiero critico, quello che emerge dalla crisi, si sottrae proprio a questo schema, opponendosi in tal modo al dominio di un pensiero che, da una posizione di forza, suggerisce di non disturbare il conducente (come se fosse il prete che canta la messa). La caratteristica del pensiero critico, sottolinea Simoncini, è “pensare una politica profana”.
Nel libro curato da Simoncini emergono due tratti di questo modo di pensare. Anzitutto, una certa invarianza dei problemi e, quindi, una certa ricorrenza del pensiero della crisi. In seconda battuta, una modalità particolare di riflessione teorica, che nasce dai problemi e che, se si astrae da questi, è solo per farvi ritorno con nuovi argomenti.
L’invarianza del problema è il sistema di produzione capitalistico che, se produce crisi, gode tuttavia di ottima salute globale. Non è certo eterno come si vuol far credere, ma probabilmente è solo all’inizio della sua incontenibile storia mondiale. Lo dimostra il boom dell’economia capitalistica in tre quarti del pianeta, in regioni come la Russia e la Cina. Inoltre, il grande capitale tenta di governare direttamente i paesi democratici occidentali, senza più mediazione politica. La globalizzazione accresce l’importanza della credibilità degli impegni di lungo periodo e, di conseguenza, i governi democratici devono convincere non solo gli elettori, ma anche i mercati.
In questo processo, tuttavia, si producono come detto continue crisi. E Simoncini le ricostruisce con grande attenzione, dando particolare rilievo al ruolo dei migranti.
Il modo in cui, nel pensiero critico, la riflessione teorica nasce dai problemi per poi farvi ritorno, emerge invece nei saggi contenuti nel testo, e dedicati al lavoro di alcuni dei più importanti pensatori del Novecento. Vale la pena qui ricordare il saggio di Damiano Palano, dedicato a una storia del pensiero politico meno nota. Negli anni Settanta, quando la crisi generò un conflitto sociale (altro che non rivolgere la parola al conducente), emerse un movimento di “storici militanti” il cui metodo consisteva nel far parlare chi viveva i problemi della crisi, affrontando temi generalmente ignoti o senza storia.
Questo metodo, che suggerisce di entrare nel “cervello della crisi”, parte dai soggetti che compongono i settori produttivi ai vari livelli sociali. Ma astraendosi dai problemi ricorrenti, quelli di sfruttamento e marginalità, può tornare a interrogare il tempo presente con nuovi argomenti. Ad esempio, il riconoscimento dell’importanza assunta oggi dalla trasformazione del settore dei trasporti marittimi apre le porte a un modo di guardare la globalizzazione che, se ben esercitato, consente di cogliere i punti deboli di una logistica affetta da inutile gigantismo. In questo modo, l’incendio della Norman Atlantic nel Canale di Otranto, avvenuto il 28 dicembre 2014, non lascerebbe solo il vago ricordo degli atti di eroismo dei soccorritori o dei misteri di una scatola nera su cui indagheranno i giudici. Farebbe viceversa riflettere sugli investimenti nelle cosiddette “autostrade del mare”, sui clandestini a bordo, sulle operazioni di imbarco spesso gestite da forza lavoro irregolare.
Emidio Diodato
Professore associato di Politica internazionale
Università per stranieri di Perugia.