Contro la retorica della politica corrotta.

Articolo 27 della Costituzione: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Teniamolo presente questo articolo 27 della nostra Costituzione, ci sarà utile.
Diversi politici, di tutti i partiti, hanno avuto negli anni problemi più o meno gravi con la giustizia, la casistica rileva che tranne alcuni casi, sono usciti quasi tutti, dopo anni di indagini e processi, assolti. Bene, ma anche male per le loro carriere politiche che ne sono state devastate, spesso in modo definitivo. Ci stiamo abituando ad essere un paese sempre più irrazionale e forcaiolo. Basta un avviso di garanzia perché il popolo “sovrano” emetta condanne inappellabili, sulla spinta di un’informazione che generalmente, anche nelle sue testate più diffuse ed autorevoli, o nei più seguiti talk show politici, non riesce a sfuggire da una logica scandalistica che deforma ed amplifica la sostanza delle cose il che è dimostrato è altamente remunerativo sul piano  degli ascolti e quindi della pubblicità, ma certo non corrisponde alla tradizionale accezione che si ha d’informazione corretta ed imparziale.

De Michelis, Andreotti e il giudice Vitalone

Una volta l’informazione, che non era più suddita di quella di oggi, era più discreta, si parlava di scandali a cose fatte, se non a sentenze emesse almeno a processi in corso, prima di mettere in moto macchine del fango, di diffondere verbali di intercettazioni telefoniche o di avviare linciaggi mediatici, si attendevano risultati certi, fatti compiuti, oggi viceversa, l’informazione alimenta  le sofferenze, i rancori della folla, parla agli stomaci e molto meno alla testa delle persone. L’odio è cibo a buon mercato e la domanda di odio è nettamente superiore a quella di amore e felicità. La stampa ha ormai ridotto la sua funzione a rispondere alle domande del mercato e a farsi strumento di lotta politica.
Il fatto che con preoccupante turnazione finiscano nel mirino della giustizia e poi dell’informazione per passare al tritacarne dei social autorevoli esponenti di tutti i partiti, genera una costante perdita di fiducia nelle nostre istituzioni democratiche e repubblicane.

I nostri concittadini, superficialmente e spesso istericamente, estendono frettolosamente, anche in assenza di un giudizio definitivo, il proprio disprezzo dal singolo esponente inquisito, a tutto il suo partito e poi in un escalation di disprezzo a tutta la classe politica, generalizzando, dimenticando due aspetti essenziali: il primo, che la politica, come tutte le altre attività umane, è fatta da uomini, muniti di una responsabilità e di una coscienza individuale che non puo essere trasmessa ad altri sia pure di un comune consesso politico. La seconda è che l’inquisito non è ipso facto automaticamente un condannato, anzi come ricordato spesso e vanamente l’inquisito, dopo anni (la giustizia italiana è lenta) di attesa, viene assolto. Naturalmente per i media l’assoluzione non è spendibile per fare audience e per incassare nuovi introiti pubblicitari e quindi questa passa del tutto inosservata.

L’ultimo caso di “corruzione”, ma qui davvero urgono le virgolette, mediaticamente appare ancora più inquietante dei numerosi altri esempi possibili. Parliamo dello scandalo del CSM (Consiglio Superiore di Magistratura) e dei suoi rapporti con la politica materializzatisi nella figura di Luca Lotti, braccio destro di Renzi nonché già ministro in quota PD con lo stesso e poi con Gentiloni. Non ci prolunghiamo sulla cronaca dei fatti ormai arcinoti e penalmente ancora del tutto irrilevanti ma molto mediatizzati e che pongono questioni sulla etica dei rapporti tra poteri dello Stato. Non ci soffermiamo nemmeno sul fatto che questo scandalo riguarda essenzialmente ed espressamente la magistratura e non la politica.

Ci soffermiamo invece, nel nostro piccolo, sull’insopportabile ipocrisia che circonda il tema della corruzione in politica. Un’ipocrisia ammantata di retorica che sembra ignorare il principio costituzionale che abbiamo evocato come premessa a questo articolo.
Non solo la corruzione non è sistemica, come in parte lo fu ai tempi dell’inchiesta “Mani pulite” al sorgere degli anni novanta, ma è individuale ed è bene cosi, perché se per ogni teorema giudiziario, spesso poi smentito in sede di decisione processuale, dovessimo condannare i partiti e l’insieme del parlamento, allora il rischio di trovarci nel pieno di una dittatura sarebbe altissimo.

Luca Lotti del PD

Peraltro, l’attuale retorica sulla corruzione nella politica, nasconde il fatto che purtroppo il fenomeno, esistente da sempre ed ovunque nel mondo da che esiste l’organizzazione sociale dell’umanità, non è peculiare della sola classe politica, essa è presente in tutte le categorie del lavoro e delle professioni. Esempi poco edificanti vengono da studi legali, da imprese e finanche da piccoli artigiani o da modeste attività individuali. Chi fa la vergine, gridando all’orrore per il politico o il magistrato corrotto o corruttibile, dimentica spesso e volentieri che questo è un paese dove l’abusivismo edilizio si spinge fino in riva al mare, che i nostri fiumi sono tra i più inquinati al mondo, perché per piccole e grandi aziende versare ogni veleno direttamente nelle acque è molto più economico che affidarsi a costose e complesse procedure di smaltimento, che molti che percepiranno il reddito di cittadinanza hanno spesso due o tre lavori in nero, non dichiarati e per i quali evadono sia verso il fisco che verso la previdenza, e a proposito ci si dimentica che in questo paese l’evasione fiscale, se si eccettuano i pensionati e gli statali è prossimo al 100% come a dire che se possibile tutti evaderebbero. Il corrompersi appare un tratto drammaticamente identificativo delle storie delle relazioni italiche.

Molti sembrano dimenticare che la pratica della corruzione in Italia è talmente diffusa che ben pochi resistono alla tentazione della raccomandazione, magari con il supporto di un “regalino” per favorire un figlio, un parente, finanche un amico. Tutto questo ed altro, in un paese dove tutti invocano (ah, quanta ipocrisia!) la privacy per non lasciare tracce dei propri movimenti di soldi, sempre per timore del fisco.

Nell’altro scandalo della settimana, quello di Paolo Arata, Consulente per l’energia della Lega, si è constatato dalle intercettazioni, che “stimati funzionari pubblici” si sono fatti corrompere anche per cifre francamente esigue (undicimila euro).

Paolo Arata consulente Lega.

Storicamente in Italia, per diversi motivi che non approfondiremo in questa sede, i cittadini italiani hanno maturato un’assoluta diffidenza verso lo Stato, un atteggiamento che li porta finanche a cercare di farsi beffa, senza alcun pudore e con ogni mezzo, del fisco e dei suoi esecutori a partire dalle famose agenzie dell’entrate. Del resto la “disinvoltura” nel corrompere non è certo solo di questi anni e neppure dovuta alla scarsezza politica (che pure c’è) della nostra attuale classe dirigente.
Lo storico Lorenzo del Boca in un suo libro, dall’indicativo titolo di: “Risorgimento disonorato”, ricordava come si fosse appena conclusa l’unità d’Italia ed era stato fresco sepolto Cavour che già Garibaldi, l’eroe dei due mondi, e il rivoluzionario Mazzini, premevano sul povero Bettino Ricasoli che era succeduto alla presidenza del consiglio allo sfortunato conte, per ottenere gli appalti sulle ferrovie, che dovevano collegare il nord e il sud del paese, a favore dei loro amici e rispettivi sovvenzionatori. Fini che il povero Ricasoli rinuncio’ alla vantaggiosa offerta di una società francese per dividere gli appalti salomonicamente a favore dei due clienti dei padri della patria.

Parliamo di Garibaldi e Mazzini, con tutto il rispetto per Lotti o Salvini.

Nella nostra pazza Italia ormai esistono metri e pesi di valutazione assolutamente inattendibili. Ma davvero si puo’ credere che lo “scandalo” nei rapporti politica e magistratura nasca ora? Il difficile rapporto a volte di reciproca corruzione tra questi due poteri vi è da sempre. Da sempre la magistratura italiana, peraltro divisa in correnti ideologiche se non in veri e propri clan, è stata ora serva e ora padrona della politica, da sempre, sin dall’unità d’Italia, la magistratura (come del resto l’informazione) è stato strumento di lotta politica. Ma davvero si puo’ credere che i vari Andreotti, Fanfani, Moro, ma anche Spadolini e Craxi non abbiano mai messo becco nelle nomine di alti magistrati? In un CSM che peraltro per un terzo è già di nomina politica? Per il caso di specie, si puo’ certo convenire che Lotti sia stato ingenuo a parlarne al telefono, Andreotti ne avrebbe parlato direttamente con gli interessati, magari nel corso di una messa in chiesa, tra una preghiera e l’altra. Ma veramente dirsi sorpresi ed indignati fa un po’ sorridere.
Sinceramente, non si capisce da cosa derivi questa indignazione, fomentata ad arte da un altro strumento di lotta politica che è l’informazione. Ma davvero si puo’ pensare che la lotta al ventennio berlusconiano non sia stata condotta da una parte della magistratura e non certo dalla già allora fallimentare e sgonfia sinistra?
E il duello Casson/Craxi, ormai dimenticato dai più? E gli strumenti di pressione politica e giudiziaria guidati dal PCI dell’epoca contro l’allora Presidente Leone, combinato con il fango gettato da una certa stampa che portarono alla clamorosa ed ingiusta dimissione del Capo dello Stato?

Sinceramente credo che avesse ragione chi ha tentato vanamente di riformare la costituzione italiana e cambiare il nostro sistema, invocando l’attacco frontale alle lobby e alla caste che sono il vero tumore delle nostre istituzioni, il vero brodo di cultura dove nascono e si sviluppano i germi della corruzione. Renzi pago’ caramente questo tentativo di riformare il sistema, finendo a sua volta invischiato nel fango mediatico e nel tritacarne di inchieste giudiziarie che colpirono i suoi genitori, non essendoci nulla per colpire lui, e che oggi dimostrano tutta la loro pochezza.

L’uso politico della magistratura per la conquista e gestione del potere, combinato con un’informazione sempre più asservita, lavora cosi. Non è importante arrivare alla condanna, quel tipo di inchiesta spesso si poggia su indizi perlopiù labili e facili a franare, basta tuttavia gettare un ombra per bloccare il nemico di turno del sistema, della lobby, della casta, dei potenti oppure se si preferisce, del clan rivale. Ma davvero si puo’ credere che sia casuale la perenne fuga di verbali dalle procure a favore di compiacenti giornali e giornalisti?
Se questo accade è perchè le varie caste e i potentati che li guidano, in tutte le loro diverse forme, si contendono il potere, in un gioco di « alleanze e accoltellamenti » con variabili spesso difficilmente prevedibili.

Se le cose come temo sono cosi, allora la vera rivoluzione sarebbe eliminare almeno l’ipocrisia e il falso moralismo con cui siamo sempre pronti ad indignarci e a sorprenderci per le vicissitudini giudiziarie degli altri. La vera trasformazione del paese si avrà quando la politica potrà essere tale e la magistratura si atterrà al suo ruolo precipuo e l’informazione recupererà la sua dignità per proporsi in modo corretto e non compulsivo interpretando i fatti senza farsi amplificatore del regime.

A questo punto, sarebbe più giusto stabilire che la magistratura fosse meno autonoma sottoponendola magari di più alla politica (perdonatemi mai io credo ancora nel ruolo dominante di questa), sarebbe meglio regolamentare le lobby come nei paesi anglosassoni, se proprio non possiamo liberarci di queste corporazioni, sarebbe molto meglio che fare finta che non esistano. Tutto sarebbe più chiaro ed in primis le responsabilità (anche politiche). Ma già il nostro è un paese che non vuole neanche sentir nominare la parola responsabilità.
Il paese ha certamente bisogno di un rapporto maturo e consapevole tra le sue istituzioni e certamente non ha bisogno di verginelle e di sepolcri imbiancati.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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