Tutto il ferro della torre Eiffel, di Michele Mari

È il 1936, e Walter Benjamin, in fuga dalla minaccia nazista, si aggira in una Parigi fatta di sterminati boulevards ed enigmatici passages. Ha da poco terminato il saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, e si prepara a scriverne uno su Baudelaire: così, quando una portinaia cerca di vendergli un vaso di fiori, sì, proprio quelli di Baudelaire, «oddio, i fiori no, quelli cambiano, neh, ma la piantina è la stessa», non può che cedere alla tentazione di acquistarli. E lo stesso accade con altri preziosi cimeli, come un flaconcino di spleen, i tre puntini di Céline e i tre soldi di Bertold Brecht.

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Purtroppo Benjamin non è il solo ad essere interessato a questi souvenir: anche Eric Auerbach, impegnato a scrivere il suo saggio sul realismo occidentale, vuole assolutamente impossessarsene. Così l’illustre filologo sfida il rivale ad una partita a scacchi per corrispondenza, costringendo Benjamin a chiedere aiuto all’amico Marc Bloch il quale, tra un bicchiere di Pernod e l’altro, sta svolgendo delle ricerche su una serie di personaggi morti suicidi o in circostanze poco chiare, nelle quali si insinua misteriosa la presenza dei nani.

Le ricerche di Bloch sono il pretesto per evocare una ricchissima galleria di artisti e di altri personaggi più o meno celebri, come Isidore Ducasse, Chamfort, Hugo von Hofmannsthal, Klaus Mann, Julien Torma, Antoine de Saint-Exupéry… Basta forse questa lista per capire che Tutto il ferro della torre Eiffel è un libro che si dovrebbe leggere tenendo a portata di mano almeno un’enciclopedia e una storia della letteratura.

Il postmoderno ci ha abituati ai riferimenti culturali e letterari, spesso fondamentali in relazione alla trama dell’opera: ma se un libro come Il nome della rosa ha venduto milioni di copie è anche perché si tratta di un testo che può essere apprezzato anche da chi i riferimenti non è in grado di coglierli e non ha alcuna idea di cosa sia la Poetica di Aristotele. Per non parlare poi di libri come L’eleganza del riccio, dove il massimo del postmoderno è il fatto che il gatto della protagonista si chiami Lev. Al contrario, il libro di Mari può risultare illeggibile se non si è frequentata almeno la facoltà di lettere e filosofia: e anche uno studente, pur divertendosi a leggere di Robert Denoël o dell’Angelus Novus di Klee, avrebbe le sue difficoltà.

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Tutto il ferro della torre Eiffel è infatti un continuo susseguirsi di citazioni, di rimandi a personaggi che hanno fatto la storia dell’arte, della scienza, e soprattutto della cultura mitteleuropea a cavallo tra Ottocento e Novecento: in questo vortice di riferimenti smarrirsi è molto facile, e a volte si rischia anche di stancarsi. Ma questo forse è un limite del lettore più che dell’opera, che è molto ben architettata, perfettamente coerente nei suoi rimandi e nella costruzione di una versione della storia culturale di inizio secolo alternativa a quella ufficiale.

Questo romanzo, che potremmo definire fantastico, appassiona soprattutto per i suoi aspetti polizieschi: perché così tanti artisti sono morti suicidi? E poi, si sono suicidati spontaneamente, o qualcuno li ha indotti a farlo? Il punto però è che Mari, a differenza di Eco, rende il livello dell’indagine inscindibile da tutti gli altri: e si fa appena in tempo a godersi le riflessioni di Bloch che arrivano in scena Alma Malher, l’omino Michelin, Marlene Dietrich e una girandola di altri personaggi che fanno perdere il filo del discorso.

Però, anche se questo libro non venderà milioni di copie, chi ha anche solo una parte della sterminata cultura di Mari dovrebbe trovarlo interessante, appassionarsi alla trama e apprezzare riferimenti. E poi, varrebbe la pena di leggerlo anche solo per il capitolo introduttivo, in cui si racconta del museo di Combray dedicato a Marcel Proust dove viene esposta, in una teca di plexiglas, la celebre “madeleine” : una volta era di autentica frolla mentre ora, a causa delle rivendicazioni sindacali del custode, non è che una riproduzione di plastica, e «tu la vedi questa cosa, e ridi: ma è un pianto; e dici: se la letteratura genera questo, è questo, la letteratura».

Mari è molto lontano da questa dimensione: anzi, il suo riutilizzo di personaggi della storia e della finzione è ben diverso, tanto da spingere a chiedersi, a lettura ultimata, se la storia raccontata non sia più autentica di quella che siamo abituati a leggere nei libri di scuola.

Francesca CHIERICATO

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