La polenta e il couscous

« Abbiam messo su delle ronde per scovare quelli che, attentando al bene pubblico, cucinano nell’ombra il perfido couscous (ma anche i puzzolenti kebab e il riso alla maniera di Canton, che non è veneto ma cinese e rende impotenti, sono nella lista di proscrizione) : di contro, distribuzione gratuita di polenta, che siccome la mangiava Alberto da Giussano mantiene le nostre sane tradizioni, ed è cibo di provata virilità – chi la consuma infatti ce l’ha sempre duro.

I Musulmani invece, cioè gli Arabi che accanto a casa mia è pieno di Turchi, che mica ce le possiamo costruire da loro le Chiese perché dovremmo costruirgli qui da noi la Moschea ? Se vogliono restare qui che mangino polenta. I Cinesi quindi fanno bene a impedirgli di salire sull’autobus, che sputano per terra e al ristorante mangiano cani, gatti e scimmie vive, e poi riso, riso e ancora riso. Basta. »

Sembra una barzelletta mal costruita, e invece è, condensato e espurgato di diverse amene storielle su donne « mignotte » e « froci », con condimento di altre parole « forti » (spesso per altro lombardismi, ma anche venetismi, e persino romanismi, toscanismi… si dice così ?), il discorso che ho potuto udire, quest’estate, a un ristorante, in provenienza dalla tavola accanto.
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Per la cronaca, si era sempre a Salina, in una grande terrazza di fronte al mare – e siccome s’era appunto al ristorante, è in certo senso normale che il detto discorso abbia portato soprattutto sul cibo, con un tema centrale, quasi una calamita, su cui si finiva sempre per tornare, come una sorta di frase-programma, e nel contempo grido di battaglia, o forse dovrei meglio dirlo un mantra, o ancora un intercalare ossessivo e ossessivamente ribadito, cioè cioè cioè (e questo posso citarlo alla lettera) : sì alla polenta, no al couscous !

Qualche riflessione, prima di chiudere rapidamente, perché ho già mal di testa.
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La barzelletta mal costruita di cui sopra appartiene alla categoria « discorsi da osteria » : con ciò si allude al fatto che questo fraseggiare colorito, prevalentemente maschile, nasce spontaneamente nelle taverne, esprimendo quel fondo di stoltezza, ignoranza e odio razzista-xenofobo che ogni paese, ogni cultura quasi fisiologicamente possiede (cfr. Einstein e/o Lévi-Strauss). Ma appunto, generalmente, resta confinato nelle osterie, o similia, spumeggiando al loro interno, e il mondo civile lo considera più o meno come un fenomeno folclorico, un qualcosa che come dire abbaia, abbaia, ma non morde.

Ora però, ed è questo il fatto nuovo, originale dell’Italia, tale vocabolario è pane e companatico della Lega Nord, un tempo Lombarda, partito nato e cresciuto fra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta che è oggi non solo partito nazionale, ma anche asse forte del governo che dirige il paese.

In questo modo, proprio in questo, si esprimono nei loro comizi, quando non in Parlamento, i maggiori dirigenti della Lega, a volte anche ministri della Repubblica. Parole, spacconate, magari provocazioni, si minimizza. Ma può chi occupa posti di suprema responsabilità, anche internazionalmente, esprimersi in questo modo ?

Per altro (e che altro !) le parole si accompagnano volentieri con fatti, iniziative concrete – alcune, certo, son « solo » bravate, ma altre son diventate leggi locali, o persino della Repubblica, e tutte, dico tutte, aspirano a diventarlo.
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Facciamo allora un bel gioco estivo. Butto giù in ordine volutamente sparso, che rifulgono meglio, alcune di queste brillanti iniziative o proposte di legge, a voi di indovinare cosa ha fatto fortuna e cosa si è fermato (cioè : è stato fermato da un sussulto di inorridito civico buon senso, o dalla Comunità Europea, se quel buon senso vergognosamente sonnecchiava): posti sui mezzi pubblici riservati per i Milanesi a Milano (Milanesi, eh ! che per distinguerli da un Torinese o un Comasco bisogna proprio esserci nati, a Milano), autobus separati per i Cinesi, divieto di vender kebab.jpgkebab dentro le mura cittadine, divieto ai ristoranti di cucinar couscous, stipendi differenziati al Nord e al Sud, dove la vita è meno cara (e però non esistono servizi : ma che importa ?), federalismo fiscale, promozione della polenta in Padania, introduzione dei dialetti obbligatori nelle scuole, professori meridionali al Meridione e settentrionali al Settentrione, abolizione dei semafori agli incroci per impedire agli extracomunitari di avvicinare le macchine onde lavarne i vetri (e/o vendere accendini, fazzolettini, fiori), disinfestazione dei treni pendolari di cui abitualmente si servono alcune prostitute sempre extracomunitarie (con disinfestazione delle prostitute compresa), maiali portati a pisciare sui terreni destinati alla costruzione di una moschea, onde sconsacrare i detti terreni, magliette ‘sfotti-islam’ (e quasi guerra scoppiata con la Libia), prova di eterosessualità per chi deve insegnare ai bambini, castrazione obbligatoria per chi commette reati di natura sessuale, insegnamento scolastico delle sole « radici cristiane » ( ?), schedatura dei bambini Rom, tolleranza zero, con reato di immigrazione clandestina, multa (diecimila euro !) e espulsione immediata, immigrati.jpgrispedizione al mittente dei barconi della disperazione, anche se gli immigrati in questione rischiano la morte nel loro paese (del resto, in alternativa al rispedimento al mittente è previsto anche l’affondamento), ronde inquadrate di privati cittadini per far rispettare l’ordine… Basta ?

Forse allora, più a fondo, si dovrebbe riflettere sul peculiare progetto nazionalista che sottende a tutti questi discorsi e iniziative. Se, in generale, il nazionalismo è essenzialmente mitologico e tendenzialmente xenofobo, nell’affermazione di un’autoctonia identitaria che si rivela sempre più o meno inventata, il nazionalismo localistico della Lega lo è, come dire, “di più”.

Favorire, scolasticamente, i dialetti, combattere l’italiano (la lingua per altro tramite cui l’allegra tavolata che apre questa riflessione ha potuto comunicare, nonostante qualche voluto lombardismo, toscanismo etc.), impedire i metissaggi (les métissages...) fra Nord e Sud, sbarrare l’accesso e la circolazione di altre culture sul suolo nazionale, vuol dire semplicemente forzare l’Italia a fare marcia indietro, sabotando le aperture alla Modernità in vista di un’impossibile ritorno ai tempi della Controriforma, et ante.
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Quanto alla Padania, concetto-chiave del nazionalismo leghistico, sia detto con semplicità: non esiste e non è mai esistita. Dovrebbe geograficamente contenere le culture (per altro diversissime) appartenenti al bacino idrografico del Po; in realtà (basta guardare come la Lega lombarda è storicamente riuscita a federare e fondere insieme una serie di partitelli a lei simili, a partire dalla Liga veneta) a essa oramai si richiamano regioni tanto diverse come Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Süd Tirol (Sud Tirolo), Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche, Umbria (persino Lampedusa, cioè il territorio più meridionale dell’Italia ha votato, per via dei noti problemi d’immigrazione clandestina, un sindaco leghista). Sarebbe interessante analizzare per quali tappe di costruzione ideologica si sia voluto legittimare una constatazione puramente economica (il Nord dell’Italia è più produttore di ricchezza e benestante del Sud), inventando un paese immaginario. Vien veramente voglia di parafrasare il buon vecchio Fantozzi: la Padania? è una boiata pazzesca!

Alcuni dicono che esageriamo, che l’Italia e gli Italiani sono più o meno sempre gli stessi, e che le cose di cui parlo, certo bruttarelle, magari truculente, non sono che sbavature, fumo, niente di veramente pericoloso : meglio riderci sopra.
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Intendiamoci, l’Italia è bellissima e tanti Italiani sanno essere simpatici e aperti. Non ci viene neanche la tentazione di negarlo. (Dalla terrazza della nostra pensioncina a Salina, mentre mangiamo fichi e marmellate fatte in casa scherzando con la gentilissima e spiritosa padrona isolana, abbiamo di fronte Stromboli, Panarea e Lipari : se il Paradiso terrestre è esistito doveva essere da quelle parti).

Tuttavia, quando gli avventori di un’osteria s’installano e dettano legge ai posti di comando di un paese, vuol dire che ‘a nuttata è profonda, e c’è molto poco da ridere. Facciamo male, dunque, a pensare e a dire che questa Italia, avendo imboccato la strada peggiore (mi riferisco all’articolo precedente), fa dolorosamente schifo? Foss’anche per mangiare dell’ottima polenta ?

Giuseppe A. Samonà

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Giuseppe A. Samonà
Giuseppe A. Samonà, dottorato in storia delle religioni, ha pubblicato studi sul Vicino Oriente antico e sull’America indiana al tempo della Conquista. 'Quelle cose scomparse, parole' (Ilisso, 2004, con postfazione di Filippo La Porta) è la sua prima opera di narrativa. Fa parte de 'La terra della prosa', antologia di narratori italiani degli anni Zero a cura di Andrea Cortellessa (L’Orma 2014). 'I fannulloni nella valle fertile', di Albert Cossery, è la sua ultima traduzione dal francese (Einaudi 2016, con un saggio introduttivo). È stato cofondatore di Altritaliani, ed è codirettore della rivista transculturale 'ViceVersa'. Ha vissuto e insegnato a Roma, New York, Montréal e Parigi, dove vive e insegna attualmente. Non ha mai vissuto a Buenos Aires, né a Montevideo – ma sogna un giorno di poterlo fare.