Il ‘diverso’ in matematica

E’ impossibile concepire la “diversità” di per se stessa senza la concezione della “uguaglianza” ed ovviamente è vero anche il viceversa: non si può dire che due cose sono uguali se non riusciamo a dire in cosa non sono, o non potrebbero essere, diverse. Chiedersi cosa nasca prima, se il concetto di uguaglianza o quello di disuguaglianza, è un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Entrambi i concetti rimandano necessariamente l’uno all’altro ed hanno bisogno l’uno dell’altro per trovare margine di indagine e di conclusione. Cosa vuol dire “che una cosa è diversa” ? Diversa da che cosa? E diversa riguardo a quali aspetti? E’ impossibile concepire la “diversità”, o la “disuguaglianza”, di per se stessa senza la concezione della “uguaglianza” ed ovviamente è vero anche il contrario : non si può dire che due cose sono uguali se non riusciamo a dire in cosa non sono, o non potrebbero essere, diverse. Analisi e sintesi, differenze e analogie, diversità e uguaglianza. Forse, questo modo di procedere è più tipico della conoscenza scientifica che di quella umanistica, ma non mi sentirei di affermare che è prerogativa della prima rispetto alla seconda. Credo intimamente, invece, che questa dinamica del pensiero umano sia profondamente ed intrinsecamente legata al nostro modo di indagare la realtà e quindi in generale al processo della nostra conoscenza. E in matematica? Cosa vuol dire che due oggetti (di studio) sono diversi? E quindi cosa vuol dire che sono uguali? Il matematico Gianmarco Bianchi ci accompagna in questa affascinante scoperta.

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Maurist Cornelis Escher. Mans dibuixant (1948)

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I NUMERI (ARITMETICA E ALGEBRA)

Veniamo alla matematica e partiamo dai numeri: cos’è 2? Come definireste 2? La domanda, che sembra banale, ha invece trovato risposta rigorosa (almeno secondo il moderno concetto di rigore in matematica) solo all’inizio del secolo scorso grazie a logici come Bertrand Russell o Giuseppe Peano. Due alberi, due colori, due giorni, due scalini, due idee, ecc… Questi oggetti (materiali o, comunque, del pensiero) sono assolutamente diversi, ma hanno anche qualcosa in comune, anzi qualcosa di uguale: sono coppie, sono 2 !!! Quindi, 2 è ciò che è uguale in tutte le possibili e diverse coppie di oggetti.

Ma cominciamo ad esaminare più in dettaglio alcuni esempi riguardanti i concetti di diversità, e quindi di uguaglianza, in matematica.
Per quanto riguarda i numeri, l’uguaglianza fra due singoli numeri, che si indica con il simbolo “=” (3=3 si legge “3 è uguale a 3”), indica semplicemente che un numero è uguale a se stesso, e quindi non aggiunge conoscenza nuova.

Esistono più significati, e quindi più simboli, per esprimere invece la “diversità” fra due numeri: per indicare che due numeri sono diversi, nel senso che non sono uguali, si usa il simbolo della non-uguaglianza “≠” (5≠6 si legge: “5 è diverso da 6” o “5 non è uguale a 6”), mentre se si vuole indicare, oltre alla non-uguaglianza, anche la disuguaglianza, cioè la diversità che tenga conto anche di un “ordine” fra i numeri, si usano i simboli “<” oppure “>” . Si tratta dunque di un altro tipo di diversità: mentre il 5 è ugualmente diverso sia da 4 che da 6 (cioè 5≠4 e 5≠6), il 5 è diversamente diverso da 4 e da 6, infatti 5>4 (“5 è maggiore di 4”), ma 5<6 (“5 è minore di 6”).
Passiamo poi alle espressioni numeriche, cioè a sequenze di una o più operazioni fra numeri. Prendiamo ad esempio la seguente espressione di cui si calcola il valore con alcuni passaggi: 52 : (56:8 – 3 + 1) = 25 : (7 – 2) = 25 : 5 = 5.

In questo caso, l’uguaglianza ci indica che il valore di una certa espressione iniziale è esattamente lo stesso di quello di un’altra espressione (dedotta da questa mediante regole di calcolo ben definite) ed eventualmente ad altre ancora. L’uguaglianza passa ad avere, dunque, la connotazione della equivalenza, e cioè sta a significare che due (o più) espressioni, “diverse” nella forma, sono in realtà “uguali” in valore.

In questo senso potremmo pensare all’equivalenza (fra espressioni) come a una prima forma di “uguaglianza nella diversità”, e quindi a uno strumento per arrivare a “nuova conoscenza”.
Anche la disuguaglianza può legare due o più espressioni numeriche, ma, in questo caso, aldilà del fatto di metterle in ordine secondo il loro valore numerico, la disuguaglianza non assume nuovi significati.

Quando nelle espressioni, oltre ai numeri compaiono anche delle lettere (che, comunque, rappresentano numeri), le espressioni si dicono “algebriche”. Particolari e importanti tipi di espressioni algebriche sono certamente le equazioni e le disequazioni, che, rispetto a uguaglianze e disuguaglianze, hanno un significato diverso. Una equazione è una uguaglianza fra due (e non più di due!) espressioni algebriche in cui compaiono una o più lettere (incognite) di cui si cerca il/i valore/i. E’ questa infatti la novità: le equazioni non sono più affermazioni, ma domande.

E come in tutte le domande, anche nelle equazioni (strumento della matematica utilissimo a tutte le scienze per la risoluzione di problemi cha abbiano a che fare con grandezze quantitative) c’è una tensione, un problema che si cerca di risolvere.

La scrittura x2 – 3 = 3x + 1 , non è più una affermazione, ma è una domanda: “per quali valori dell’incognita “x”, l’uguaglianza scritta sopra è vera?” (per inciso, la risposta è: x = –1 o x = 4).
Discorso analogo vale per le disequazioni, anch’esse non più affermazioni, ma domande. La scrittura x2 – 3 > 3x + 1 significa quindi: “per quali valori di x, la quantità “x2 – 3” è maggiore della quantità “3x + 1” ?”. La risposta a questo tipo di domande è quasi sempre una, o più disuguaglianze (qui è: x < –1 , o x > 4), le quali stanno a significare una diversità ordinata, non più fra due numeri, ma fra una infinità di numeri ed un numero noto. Dire x < –1, infatti, vuol dire individuare un insieme infinito di valori accomunati dalla caratteristica di essere diversi (qui, minori) da –1. Potremmo dire allora che la diversità consiste nella scelta fra “opposte fazioni”, visto che individuare la totalità dei numeri minori di –1 comporta l’individuazione/esclusione di tutti quelli maggiori di –1.

Anche per la non-uguaglianza (≠) l’uso di lettere dà maggiore generalità all’affermazione. Dire infatti x ≠ 4 vuol dire accettare tutti i numeri possibili (ma proprio tutti!) mettendo da parte solo ed esclusivamente il 4 (beh, qui direi che non si tratta più di diversità, ma piuttosto di ghettizzazione, se non addirittura di condanna vera e propria del povero numero 4!).

Un altro uso (e quindi significato) dell’uguaglianza in espressioni con lettere, si ha nelle formule, usate per definizioni di grandezze quantitative o per leggi matematiche. Le formule servono ad esplicitare un legame fisso che c’è far una certa grandezza o quantità, ed altre ad essa collegate. Ne sono esempi la formula del calcolo di un’area o di un volume, oppure la formula per risolvere le equazioni di secondo grado, piuttosto che la legge del teorema di Pitagora, ecc. In questo uso, l’uguaglianza è un’affermazione perentoria, che ha un valore di eccezionale generalità (“è sempre così!”). La legge matematica ha un valore enorme, è uno dei frutti più importanti della conoscenza di una certa classe di oggetti di indagine, o di una certa teoria. E’ l’affermazione più potente, se vogliamo, di quanto sia e resti valida l’uguaglianza fra più grandezze, nella più generale diversità, cioè nella più svariata scelta di casi numerici diversi. Esaminiamo ad esempio la legge del teorema di Pitagora: in un triangolo rettangolo, se chiamo a e b i due cateti, e c l’ipotenusa, si ha che: c2=a2+b2. Questo vale sempre!!! Una volta dati due valori numerici qualsiasi ai cateti, l’ipotenusa, infatti, è (e non può essere che) il valore che risulta applicando la formula. A soffermarsi un attimo, sembra quasi una magia…anzi, no, scusate, questa non è magia… è conoscenza pura!

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René Magritte. Le double secret (Liège, Belgique, 1927)

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INSIEMI (NUMERICI INFINITI)

Torniamo adesso sui numeri. Sicuramente essi sono tutti diversi l’uno dall’altro. Ma, ci sono numeri che sono “diversi allo stesso modo”? Cioè, gli infiniti numeri che si conoscono, possono essere raggruppati a seconda di loro caratteristiche comuni? Il concetto matematico necessario a raggruppare elementi diversi tra loro, ma uguali secondo una o più proprietà è il concetto di “insieme” (ecco che torna il tema dell’uguaglianza nella diversità… spesso mi dico che non c’è niente di più democratico della matematica!).

Vediamo adesso alcuni semplici esempi di insiemi numerici. Consideriamo l’insieme N dei numeri naturali, formato da 0, 1, 2, 3, 4, ecc., che si scrive anche N = 0; 1; 2; 3; 4; 5; …, dove i puntini indicano che la lista continua indefinitamente, e suddividiamolo nei due insiemi P e D, e cioè l’insieme dei numeri pari (cioè divisibili per 2), P = 0; 2; 4; 6; 8; …, e quello dei numeri dispari (cioè non divisibili per 2), D = 1; 3; 5; 7; ….

P e D, in cosa sono diversi? E in cosa sono uguali? Prima di tutto, sono ovviamente diversi poiché non hanno nemmeno un elemento in comune; inoltre, in P posso sempre fare la somma di due numeri, cioè il risultato che ottengo dalla somma di due qualsiasi numeri di P è ancora un numero di P (si dice che “l’insieme P è chiuso rispetto all’operazione somma”), mentre in D questo non è mai possibile, dato che la somma di due numeri dispari non è mai un numero dispari.
Però, P e D hanno anche proprietà comuni. Per esempio sono chiusi rispetto al prodotto (infatti il prodotto di qualsiasi coppia di numeri pari è ancora un numero pari, così come il prodotto di due numeri dispari qualsiasi è sempre un numero dispari). Inoltre P e D sono insiemi infiniti…verrebbe da dire che hanno lo stesso numero di elementi, ma è possibile che due insiemi infiniti abbiano lo “stesso numero di elementi”? Se proviamo a mettere ordine riguardo a questo ultimo (affascinante) concetto, scopriremo un fondamentale tipo di diversità fra insiemi numerici infiniti.

Due insiemi si dice che hanno lo stesso numero di elementi, se si può trovare il modo di far corrispondere ad ogni elemento del primo insieme, uno ed un solo elemento del secondo insieme e viceversa (una corrispondenza di questo tipo si dice “biunivoca”). Ebbene, la corrispondenza che ad ogni numero pari n di P associa uno ed un unico numero n+1 di D (cioè il “successivo” di n, che ovviamente è dispari), è quindi biunivoca, di conseguenza P e D hanno lo stesso numero di elementi, sebbene infinito, e si dicono “equipotenti”. Ci si rende facilmente conto che anche N e P sono equipotenti (cioè hanno lo stesso numero di elementi); infatti, si può associare ad ogni numero n dell’insieme N dei numeri naturali il numero 2n (il doppio di n) che sta in P.

N, P e D, che ci sembrano così diversi, diventano allora “uguali” dal punto di vista del numero dei loro elementi. Con opportune corrispondenze “uno ad uno” (che per la brevità di questo articolo non è qui possibile specificare), si dimostra che l’insieme N è equipotente ad altri 2 importanti insiemi numerici: Z e Q, dove Z è l’insieme dei numeri interi, cioè di tutti i numeri senza la virgola, compresi anche tutti quelli negativi, e Q è l’insieme di tutti i numeri esprimibili come frazioni, e cioè di tutti gli interi (Z), più tutti i decimali finiti (cioè con un numero finito di cifre dopo la virgola), più tutti i decimali infiniti periodici (aventi dunque un numero infinito di cifre, ma che, da una certa cifra in poi, ripetono indefinitamente lo stesso gruppo finito di cifre, detto “periodo”; per tali numeri infiniti periodici è quindi sempre possibile conoscere l’esatta successione delle cifre dopo la virgola, e il nome di “razionali” viene dato a questi numeri proprio perché è possibile comprenderli “razionalmente”, esprimendoli con un’opportuna frazione).

Una volta individuata una caratteristica (la “equipotenza”) che rende “uguali” insiemi diversi, un matematico si domanda se esistano insiemi numerici infiniti, che non siano equipotenti con N. La risposta è sì! L’insieme è R, insieme dei numeri reali, che è costituito da tutti i numeri razionali (Q) più tutti i numeri irrazionali (i quali possono essere pensati come numeri decimali infiniti ma a-periodici, in cui cioè non è possibile conoscere la successione di tutte le infinite cifre decimali perché non vi sono gruppi di cifre che si ripetono indefinitamente). Questi numeri sì che sono diversi! La “diversità” di alcuni di questi numeri è stata intuita, se non in qualche caso addirittura dimostrata, sin dagli antichi greci fra i quali, come si sa, vi è stato anche qualcuno che non è riuscito ad accettare questa “diversità”. Pitagora, in questo senso, può essere ritenuto un matematico “razzista”, a cui la fede nell’ordine e nell’armonia di rapporti razionali fra quantità aveva impedito di accettare tale sconvolgente diversità, tanto che, si narra, arrivò ad espellere dall’esclusivissima Scuola pitagorica il discepolo Ippaso di Metaponto reo di aver scoperto, e soprattutto divulgato all’esterno della Scuola, i numeri che esprimevano rapporti fra grandezze incommensurabili, cioè, appunto, i numeri irrazionali. La radice quadrata di 2, e il pi-greco (π) sono due esempi di numeri irrazionali, che erano già noti sin dagli antichi greci, come rapporti fra grandezze geometriche incommensurabili (radice di 2 è il rapporto fra la lunghezza della diagonale di un quadrato e quella di un suo lato, mentre pi-greco è il rapporto fra la lunghezza della circonferenza e quella del diametro di un cerchio).

L’insieme R dei numeri reali, come si diceva, non è equipotente a N, il ché vuol, dire che la “infinità” dei numeri naturali di N (“infinità numerabile”) è diversa, cioè molto minore, dall’infinità dei numeri reali R (“infinità più che numerabile”). Si sono cioè trovati due diversi tipi di “infinità”. Un matematico si chiede allora se ci siano altri tipi di “infinità” fra questi due e diversi da entrambe…questa domanda risulta a tutt’oggi priva di risposta e quindi oggetto di indagine in matematica.

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GEOMETRIA/E

Un altro importantissimo ramo di indagine della matematica è la geometria, pensabile come lo studio delle figure geometriche, dove per figura geometrica si intende un qualsiasi insieme di punti.
Un primo concetto di uguaglianza tra figure è quello di coincidenza (simbolo “≡”) per cui si dice che “due figure coincidono se ogni punto della prima figura “sta su” un punto dell’altra e viceversa”.
Occorre subito una pausa di riflessione.

Questa relazione di “stare su” qualcosa, non va intesa nel senso spaziale verticale cui siamo abituati nel linguaggio comune pensando ad oggetti fisici reali. In geometria un punto è quella cosa che “non ha alcuna dimensione”. Come si può pensare, allora, “un punto che sta sull’altro”? E ancor prima di ciò, come si può pensare un punto?!?!?

Una prima immagine mentale di punto potrebbe essere quella di una sfera piccolissima, ma che, in quanto tale, ha comunque delle sue dimensioni; allora si dovrebbe essere così bravi da riuscire a “sgonfiarla” completamente fino ad annullarla in ogni direzione…ecco, quello che rimane è un punto. E privare di ogni dimensione questi oggetti fondamentali della geometria, contribuisce a renderli tutti assolutamente uguali fra loro…pur essendo diversi!

Tornando al concetto intuitivo di coincidenza tra figure, due punti che coincidono, in un certo senso si fondono l’uno con l’altro, entrambi senza dimensione alcuna. Questo tipo di uguaglianza, la coincidenza, è un po’ come l’uguaglianza tra 2 numeri, e cioè in sostanza afferma solo che una figura è uguale a se stessa, e quindi non aggiunge nuova conoscenza.

Un altro concetto, invece più ricco, di uguaglianza tra figure, è quello di congruenza, il cui simbolo è “≅”. Due figure si dicono congruenti se mediante un movimento rigido si può portare una di esse a coincidere punto a punto con l’altra. Mi limito a far notare come, anche qui, sia importante il ricorso all’intuito mediante l’idea di “movimento rigido” per definire il concetto di congruenza fra due diverse figure.

Osserviamo la differenza fra i simboli di coincidenza (“≡”) e di congruenza (“≅”) fra figure, per interpretarne una più sostanziale. Il simbolo della coincidenza è un “=” rafforzato da una terza lineetta uguale alle altre due (come a dire, “le due figure sono uguali, ma veramente uguali!!!”), mentre il simbolo per la congruenza, è anch’esso un “=” con una terza lineetta, la quale però non è più dritta, bensì ondulata (quasi a dire “sì, le due figure sono uguali, però…”). Aldilà dei simboli, la congruenza mette in relazione due figure che sono “diverse” in quanto esistono separatamente l’una dall’altra, ma ne afferma la ”uguaglianza”: ecco che torna di nuovo il tema dell’uguaglianza nella diversità!

A questo punto vorrei accennare all’importanza di questo concetto di “uguaglianza nella diversità” nell’ambito dell’evoluzione dello studio delle geometrie (l’uso del plurale non è un refuso), proprio a partire dal concetto di congruenza.

In che cosa sono uguali due figure congruenti? L’idea intuitiva di movimento rigido, ad un livello matematico più adulto (e cioè quello legato ai numeri reali, alle coordinate cartesiane ed alle equazioni) corrisponde a quella più rigorosa di “isometria”. Una trasformazione del piano cartesiano è una corrispondenza fra punti che associa ad ogni punto del piano uno ed un solo punto del piano secondo caratteristiche ben precise. Una isometria è una trasformazione del piano che lascia invariata la distanza fra qualsiasi coppia di punti (si dice anche che “manda un segmento AB in un altro segmento A’B’ congruente ad AB”). Una traslazione, una rotazione di un certo angolo rispetto ad un punto fisso, o una simmetria assiale rispetto ad una retta fissata, sono esempi di isometrie e a ciascuna di queste isometrie corrisponde un certo “movimento rigido”: la “traslazione”, infatti, corrisponde ad uno spostamento del piano in una certa direzione bel precisa, una “rotazione” corrisponde ad una rotazione del piano attorno ad un suo punto che rimane inchiodato, e una “simmetria assiale” corrisponde ad un ribaltamento del piano su se stesso facendolo ruotare attorno ad una retta che resta fissata. In tutti questi movimenti rigidi (cioè nelle isometrie), ciò che rimane “uguale nel cambiamento”, è dunque la distanza fra due punti, e ciò corrisponde all’idea intuitiva di rigidità di un certo oggetto.

Un matematico, a questo punto, si chiede cosa cambia (e cosa resta uguale) se si usano trasformazioni che mutano anche la distanza fra due punti. Un esempio è costituito dalle “omotetie”, che sono trasformazioni in cui un segmento AB viene “trasformato” in un altro segmento A’B’ la cui lunghezza è k-volte quella di AB. Intuitivamente questo corrisponde ad una dilatazione del piano (se k>1) oppure ad una sua riduzione in scala (se k<1). Anche qui è interessante indagare l’uguaglianza nella diversità, e chiedersi cioè quali caratteristiche delle figure del piano restano invariate in questo tipo di trasformazioni. Ovviamente la diversità riguarda le lunghezze dei segmenti, e quindi anche le aree delle figure (un quadrato, per esempio, viene trasformato in un altro quadrato, ma di dimensioni più grandi o più piccole), mentre invece restano uguali gli angoli fra due direzioni, cioè fra due rette, le quali rimangono tali (cioè restano “dritte” e non vengono incurvate). Non è qui il caso di approfondire, ma è facile capire che questa dinamica di conoscenza geometrica legata alle trasformazioni può essere spinta molto in avanti (e così infatti è stato, in particolare nel XIX secolo) arrivando a costruire trasformazioni del piano sempre più grossolane, che lasciano invariate cioè caratteristiche sempre più generali delle figure e del piano; si arriva quindi, per esempio, alle “affinità” che mandano 3 punti allineati in tre punti ancora allineati (cioè conservano, come si dice, l’allineamento dei punti) ma che non conservano gli angoli, o le “trasformazioni topologiche” che conservano per esempio la “chiusura” delle figure, ecc. Di fatto, con trasformazioni sempre più generali, si ottengono “geometrie diverse”: dalla geometria euclidea (quella delle isometrie), si passa dunque alla “geometria simile” (delle omotetie), poi a quella “affine” (delle affinità), e così via. Ognuna di queste geometrie si caratterizza dunque per gli elementi e le proprietà che un certo tipo di trasformazioni lascia invariati. La ricerca di “invarianze per trasformazioni” è una evoluzione di quella di “uguaglianze nelle diversità”, che come detto, è epistemologicamente connaturato con l’indagine matematica.

Altre geometrie davvero “diverse” sono le geometrie non-euclidee, scoperte nella seconda metà dell’800… ma raccontare questa affascinante storia ed accennare alle sue incredibili ripercussioni nell’evoluzione del pensiero umano, ci porterebbe troppo lontano dal nostro piccolo viaggio.

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MUT-TUM.Collezione Centro-Studi Luca M. Patella & Rosa Foschi

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IMPLICAZIONI LOGICHE

Prima di concludere, invece, vorrei tornare un attimo sull’importante concetto di “equivalenza” citato più volte ed in più ambiti di indagine. Che l’equivalenza sia uno strumento di conoscenza, lo si capisce forse ancora meglio precisando che si tratta più in generale di un concetto di logica, cioè di quella parte della matematica che stabilisce le regole del pensiero matematico e quindi umano. Uno dei meccanismi più proficui del pensare logico-matematico, è quello della deduzione, o “implicazione logica” (simbolo “→”), per cui se vale un certo enunciato A, si può dedurre che vale anche un altro enunciato B. Meglio fare un esempio, considerando l’enunciato A: “un numero n è multiplo di 6”, e l’enunciato B: “un numero n è multiplo di 2”. In questo caso vale che “Se un numero n è multiplo di 6, allora n è anche multiplo di 2”; in linguaggio logico-sintetico ciò si indica con “A→B” (si legge “A implica B”). In questo esempio, è chiaro che non vale il viceversa (ossia, non è vero che B→A), poiché se un numero è multiplo di 2, non è detto che sia anche multiplo di 6 (ad esempio, il numero 14 è pari, ma non è divisibile per 6).

In generale, dunque, l’implicazione logica stabilisce una “differenza gerarchica” fra enunciati che riguardano una certa teoria (in questo caso, la teoria è quella della divisibilità dei numeri naturali). Quando si giunge ad enunciati “gerarchicamente differenti”, risulta sempre di notevole interesse cercare enunciati che siano invece “gerarchicamente uguali”, per cui cioè non valga soltanto che A→B, ma valga pure, viceversa, che B→A. Nel semplice esempio precedente, ciò si ha fra l’enunciato A ed il seguente enunciato C: “il numero n è multiplo sia di 2 che di 3”; così vale chiaramente quella che si chiama “equivalenza logica” fra i due enunciati (che si indica con A↔C). La proprietà C è una “caratterizzazione” di A, poiché si può dire che: “un numero n è multiplo di 6 se e solo se n è multiplo sia di 2 che di 3”. Da un punto di vista logico, due affermazioni (o proprietà) logicamente equivalenti sono dunque diverse l’una dall’altra, ma hanno comunque lo stesso valore, e questa uguaglianza nella diversità, anche in questo caso, costituisce un arricchimento della conoscenza degli oggetti di indagine.

Senza ripetere la tesi fin qui sostenuta, ma ribadendola, concluderei dicendo che:
“l’uguaglianza” e “il diverso” si innamorano follemente l’una dell’altro e dall’amore che li lega in eterno, nasce continuamente una creatura bellissima: la conoscenza.

Gianmarco Bianchi

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