Che cos’è la violenza

Partiamo dall’India per parlare d’Italia e non solo. Nella crisi culturale che si respira nella terra del femminicidio. La violenza e l’oggettivizzazione delle donne sono vissute quotidianamente nelle mura domestiche e non. Un femminismo che ritorna con una speranza in più. I giovani e la loro cultura effettivamente ed affettivamente alternativa.

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Così l’uomo che si innamora della bellezza è assai differente dall’uomo che ama una ragazza e pensa che sia bella e può scorgere ciò che è bello in lei.
(Winnicott)

La notizia di una studentessa di 23 anni stuprata alcune settimane fa a New Delhi ha risollevato la questione della violenza sulle donne in tutto il mondo. Secondo un’indagine di un’organizzazione indiana molti uomini accusati di violenza sessuale si sono pure candidati al potere negli ultimi trent’anni.

Foto: AFP/Sajjad Hussain

In questi giorni abbiamo assistito alle numerose manifestazioni e a folle che marciavano verso la residenza del presidente Pranab Mukherjee, che ha successivamente esposto la sua intenzione di intervenire su questo gravoso problema. Dopo una settimana il primo ministro Manmohan Singh ha dichiarato la necessità di rendere l’India un posto più sicuro per le donne. Anche la donna più famosa d’India, la presidente del partito del Congresso Sonia Gandhi, sembra ci abbia messo un po’ prima di incontrare gli studenti che volevano esprimere la loro indignazione. E poi, c’è la proposta del governo di Pondicherry, nel sud dell’India, che vorrebbe che le studentesse indossassero un soprabito ‘antistupro’ obbligatorio. (L’idea è del dipartimento dell’istruzione). Sembra un po’ la convinzione di alcuni che se le donne non mettessero la minigonna non verrebbero violentate per strada…

Foto: AFP/ Punit Paranjpe

In questo scenario culturale ovviamente diverso dal nostro, sembrano esserci tanti punti in comune, tanti stereotipi che ci competono pur non essendo Indiani, pur vivendo nella ‘civile’ Europa. Sarebbe confortante distinguere nettamente gli scenari culturali, distinguere le geografie tracciando i percorsi di territori a favore delle donne, ma a parte il Regno delle Amazzoni, che spero sia esistito davvero, io ci vedo solo un unico scenario antropologico dove le donne hanno da sempre dovuto subire ogni tipo di sopraffazione dal sesso opposto. Certo, in India si aggiunge pure il problema delle caste, che è già una forma di discriminazione consentita socialmente, ma come pure il nostro ‘delitto d’onore’ sono forme sociali sì razionalmente arretrate, ma dure a far morire e non le uniche al mondo.

È complicato parlare di violenza, di etica, proprio perché sono argomenti a noi contemporanei, in cambiamento continuo, ma si può di certo distinguere quello che potrebbe essere il rispetto dell’altra persona dal non rispetto e quindi la violenza dalla non violenza. Per fortuna il mondo cambia e con esso la sua coscienza; si affina, si modifica, di complica, si migliora. Non siamo più quelli di dieci anni fa e il pensiero dei ventenni di oggi è nettamente diverso dai loro genitori, (per fortuna); stereotipi che cambiano, convinzioni che cadono; ma ancora, si può delineare un aspetto di un’etica valida nel corso del tempo. Lo fece Gesù di Nazareth in fondo, tracciando i confini di valori immutabili, semplici e chiari nella loro sintesi che vedeva nell’uomo, qualsiasi uomo, l’immagine e la somiglianza a Dio. Perciò tutti siamo uguali, in dovere di amare gli altri come noi stessi. Il che vuol dire che non dobbiamo nemmeno porci un gradino al di sotto di chi amiamo, che abbiamo il dovere di amare noi stessi quanto amiamo gli altri, e non è un di più, una nota di merito, è un dovere sociale.

Detto questo viene subito da chiedermi che ruolo abbia avuto la donna fino ad adesso e mi passano davanti agli occhi tantissime immagini. Donne col grembiule, donne che cucinano, donne che servono ai mariti. In Sicilia (ma potrebbe essere anche altrove!), mi ricordo, signore che all’ora di pranzo non si sedevano mai a tavola perché facevano avanti e indietro dalla cucina per servire il marito e i figli maschi. Mi vengono in mente donne che hanno rinunciato a studiare perché dovevano studiare al posto loro i fratelli, mi vengono in mente donne maltrattate, offese, percosse dai compagni alle quali veniva detto di avere pazienza e di sopportare in silenzio.

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Mi chiedo spesso cosa sia la violenza e ovviamente non è solo fisica, quella è il lato più rozzo e il più gretto, il più visibile. La violenza sta pure nelle parole, nei modi, negli atteggiamenti, nelle leggi sbagliate o mancanti, nell’imposizione di un pensiero, di una religione, di uno stile di vita. La violenza sta nell’imporre un comportamento sessuale o vietarlo, la violenza è delle donne che non sono complici delle altre donne, ma concorrono ad una mentalità maschilista. Il maschilismo è davvero solo degli uomini? Ricordo mia madre quando mi ripeteva: – Non pensare a sposarti, ma a farti una cultura, ad andare all’università, ad essere indipendente- .

Mi chiedo se mai sua mamma glielo abbia mai detto, che se era infelice doveva cambiare, andarsene, che non doveva per forza sposarsi, che non doveva rinunciare a tutto. Quante mamme, donne, hanno detto questo alle loro figlie? Alle altre donne? Quante hanno avuto delle amiche alle quali confidarsi delle violenze subite in casa e quante sono state aiutate? Quante invece giudicate dalle stesse donne? – Sei una puttana perché non dovevi innamorarti al di fuori del matrimonio, non dovevi trascurare i figli, non dovevi e basta.

C’è in questo modo di pensare una chiara visione della donna come un non-essere umano.

Winnicott pubblica nel 1953 il saggio “Oggetti e fenomeni transizionali” scrivendo: “La madre, all’inizio, con un adattamento quasi del cento per cento, fornisce al bambino l’opportunità di un’ illusione che il suo seno sia in parte del bambino”. In seguito il bambino indica il suo oggetto transizionale, (come un orsacchiotto), cioè si accaparra di un oggetto a cui dà dei nomi abbastanza significativi, trasferendo quell’idea di possesso. Non è un caso, direbbe Freud, che proprio ora mi vengono in mente queste ‘strane’ teorie sull’essere figlio e madre. Forse mi sto chiedendo: “È ancora così? Non facciamo che trovare degli oggetti transizionali nelle donne? Non facciamo di loro che dei meri oggetti da utilizzare, consumare, violentare ogni giorno?”.

Senza dubbio il fatto di oggettivizzare la donna in tutto e per tutto non fa che renderci ciechi di fronte all’irriducibilità dell’essere umano, alla sua identità prima che come genere sessuale, come individuo. Scaraventati dentro categorie umane, ci prendiamo la briga di decidere quale vada bene o meno, (vedi la Chiesa e i suoi folli dettami religiosi e morali), ci prendiamo il diritto di far valere la nostra vita più di quella altrui.

Una volta un amico alla domanda del perché fossero sempre le donne a lasciare gli uomini, mi rispose: “Una donna fa sempre comodo in casa”.

Virginia Woolf dovette ritagliarsi una stanza tutta per sé per poter vivere, per poter lasciare spazio alla sua identità. Eppure non apparteneva ad un basso ceto, non era costretta a lavorare, ma era una donna che aveva un marito, ed era infelice. In Al Faro, il personaggio di Lily ha una veloce visione nell’osservare i signori Ramsay che giocano a palla con i figli: “…Come d’un tratto, senza nessuna ragione, il significato precipita su della gente che esce dalla metropolitana, o suona un campanello, e la rende simbolica, rappresentativa, così ora investì loro, mentre stavano lì, ritti nel crepuscolo, e li trasformò nei simboli del matrimonio, la moglie e il marito assoluti. Ma un istante dopo, il contorno simbolico che trascendeva le figure svanì, e tornarono a essere il signore e la signora Ramsay, che guardavano i propri figli giocare a palla”.

I cervelli comuni non sono fatti che per riuscire a svolgere operazioni matematiche non troppo complicate, guardano al mondo come ad un tessuto umanoide incastrato in categorie e sistemi ordinati banalizzandoli. Preferiscono pensare che non ci sia altro oltre a quello che già conosciamo e che le tradizioni ci hanno già insegnato tutto. Per lo più le rispettiamo, le adoriamo a scapito delle nostre capacità critiche, di distinguere il bene dal male, a scapito di vedere le donne come una categoria intoccabile, immutabile, a nostra disposizione.

Il fatto di apparire mezze nude in tv non è elasticità mentale o sana trasgressione, anzi. Il fatto di dover passare da un uomo prima di ottenere un posto di lavoro, non è furbizia e intelligenza perché “tanto il mondo va così”.

Ho sentito dire: “Il femminismo è stato un movimento inutile, fatto solo di donne aggressive, contro gli uomini. Donne lesbiche che hanno estromesso gli uomini, oltraggiose, contro la famiglia”.

Io invece ringrazio queste donne, e ringrazio ancora chi si batte contro questo tipo di uomini. Il corpo della donna non è a disposizione degli altri, non è un oggetto transizionale a scadenza illimitata; sembra scontato quello che dico, ma non lo è affatto. Vi viene più istintivo dire: “mamma fammi un caffè o papà fammi un caffè?”. Io immagino già la maggior parte delle risposte. Per i rimanenti, beh, siete fortunati.

Ci sono stati degli esseri umani nella storia vittime di una prepotenza retrograda e primitiva, lo sono stati per etnia, per religione, per appartenenza sociale; le donne lo sono per appartenenza di genere. “Tanti auguri e figli maschi”.

Oggi le strutture convogliate all’assistenza delle donne che subiscono violenza sono o troppo poche o chiudono addirittura. Forse lo Stato pensa che non sia una priorità, forse uccidere una donna, violentarla, non è poi ai nostri occhi un atto così tremendo, chissà. È già tanto difficile che una donna ammetta a se stessa che l’uomo che dovrebbe amarla, adorarla, invece la violenta, figuriamoci se non esistono nemmeno strutture, centri, in grado di accogliere dall’inferno queste donne. E mentre scrivo mi stanco a chiamarle donne, le voglio chiamare esseri umani, confondere i generi fino a far scomparire le parole cosicché ad ogni donna ammazzata, stuprata, corrisponderà un essere umano, di cui si parlerà, un essere umano qualunque.

Emanuela de Siati

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Emanuela De Siati
Emanuela De Siati, nata a Mazara del Vallo in Sicilia nel 1980. Ha una laurea in Storia e Critica del Cinema e una magistrale in Italianistica presso l'univesità di Bologna dove vive. Scrive e disegna per alcune riviste e siti on line. Cura due blog personali : http://emanueladesiatidisegni.blogspot.it/ e emanueladesiati.wordpress.com

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