Proprio così, il 20 Settembre in Italia si vota, in nove regioni, mille comuni piccoli, medi e grandi, e poi c’è il voto sulla mini riforma costituzionale che prevede una pesante riduzione di parlamentari.
I partiti, alle prese con l’eterno coronavirus (in attesa di un vaccino che ci dia un taglio), si attrezzano per questa nuova prova elettorale. Campagna fiacca, un po’ perché sembra che a tanti, specie ai giovani, interessi di più il lockdown delle discoteche che il destino del parlamento, di tanti comuni e regioni, un po’ perché la politica appare sempre più priva di contenuti reali e confinata a tatticismi che guardano più agli equilibri dei partiti che al benessere della nostra società.
Ormai parole come cambiamento sembrano davvero démodé, al punto che nessun partito o quasi sembra più interessato ad evocarlo.
L’esempio massimo di incoerenza e di illogicità arriva come spesso accade dal PD di Zingaretti, il quale, dopo aver giurato che mai si sarebbe alleato con i populisti come M5S, oggi appare tutto preso nello sforzo di far quadrare questa alleanza salvo poi aggiungere che nelle importanti elezioni del sindaco di Roma: “Il PD non sosterrà mai la Raggi”. Sarà vero? Era vero pure che agli albori di questo governo il PD con il sempreverde Zingaretti affermava: “Ci vuole discontinuità, non potremmo mai accettare che Conte fosse presidente del consiglio, dopo esserlo stato con la Lega di Salvini”. Poi è andata come è andata.
Italia Viva, mantiene viva la sua coerenza. Una coerenza da piccoli, il partito di Renzi non ha sondaggi favorevoli. Per cui sì, ad alleanze con il PD ma senza 5 Stelle. Per cui in alcune regioni si corre da soli come in Puglia con Ivan Scalfarotto o in Liguria. Il PD grida al settarismo ma in realtà contro ai propri enunciati, sotto banco, fa di tutto per allearsi con i 5 Stelle i quali nicchiano ma segretamente ringraziano; il maggior partito della vecchia sinistra gli sta consentendo di sopravvivere, dopo crolli di consensi da brivido negli ultimi mesi.
Lo stallo politico e la morte cerebrale di molti politici, incapaci di leggere la realtà italiana e di fare proposte incisive ed utili, è forte anche nella destra. Forza Italia conserva tutte intere le sue spaccature e divisioni, tra un Berlusconi che mal digerisce l’antieuropeismo di Salvini, i Fratelli d’Italia che sentono il bisogno di smarcarsi sempre più dai propri alleati e la Lega stessa che sembra aver smarrito anche con Salvini il suo feeling popolare o meglio populista.
Eppure, un contenuto politico interessante è quello che viene dal referendum sul taglio dei parlamentari. I pronostici dicono che il taglio ci sarà e se così sarà nulla cambierà (buona l’assonanza).
O meglio qualcosa cambierà. Perché il controllo dei vertici dei partiti sarà ancora più forte e i cittadini avranno ancora meno possibilità di scegliersi i propri deputati e senatori. Un’ennesima riforma liberticida e che va ad affossare ancora di più la credibilità della politica. Una vittoria dei no sarebbe un campanello d’allarme per i populisti (Lega e grillini sono per il sì), un segnale che la gente incomincia ad aprire gli occhi e a dire basta a giocare sulla nostra pelle.
La riforma che propose il governo Renzi era effettivamente innovativa proprio perché non si limitava al pur cospicuo taglio dei parlamentari e all’abolizione del senato in chiave europea, ma proponeva una modernizzazione delle istituzioni, un rapporto diverso tra regioni e Stato con modifiche, come ad esempio, nel sistema sanitario con una centralizzazione a favore dello Stato e con meno autonomia per le regioni, un passaggio rifiutato dai cittadini ed i cui effetti nocivi si sono visti proprio in occasione della pandemia, con le Regioni che procedevano in ordine sparso e confusamente.
Quella riforma avrebbe effettivamente cambiato il paese e il rapporto tra cittadini e politica, era propedeutica ad una riforma elettorale maggioritario che avrebbe responsabilizzato tutto il sistema politico. Occasione mancata, gli italiani credettero a D’Alema che prometteva che una giusta riforma si sarebbe fatta senza Renzi in 5 mesi (sono passati anni), gli italiani credettero all’ammucchiata che vide insieme fascisti e partigiani, Salvini e Bersani, Berlusconi e Grillo, sindacati e Casa Pound. Gli italiani furono addomesticati all’odio contro Renzi, bisognava “punire” il fiorentino innovatore “cattivo cattivo”.
Andò cosi. La riforma non si fece ma del resto parole come giovani, democrazia, coerenza, nel nostro paese non hanno patria. In Italia prevale la patacca, ovvero un’imitazione di questi concetti i giovani contano dai 50 anni in su, la democrazia? Basta vedere cosa siamo in un paese privo di effettiva libera informazione e retta da giudici che stabiliscono le linee politiche dei partiti, mentre più che il parlamento contano gli ordini professionali e le lobby. La coerenza? Sono tali e tanti giri di valzer dei politici italiani che questa parola ha perso ogni senso. A proposito di coerenza, dove è finito l’obbligo di non avere più di due mandati che predicavano i 5 Stelle? Anche quest’idea è finita. La coerenza tutti l’invocano e ben pochi l’applicano.
Oggi nuovo voto referendario sul nulla, salvo ridurre i parlamentari, una riforma che fa comodo solo alle segreterie dei partiti, poi si resta in attesa (campa cavallo che l’erba cresce) di una vera e definitiva riforma elettorale, sempre promessa e mai realizzata. Non è un caso che ad opporsi a questo taglio siano solo i piccoli: + Europa ed Italia Viva (un’area radicale e liberale che continua con coerenza la sua strada irta di difficoltà). Contro anche Sinistra Italiana ed ecologisti (pochi in Italia). Tutti gli altri con qualche riserva di Forza Italia, sono favorevoli al demagogico taglio imposto dai grillini per la pancia degli italiani.
Insomma, salvo difficili sorprese, il teatrino resterà quello…
Nicola Guarino