Quando cadde il Muro di Berlino, 30 anni fa, fui testimone della Storia.

Alberto Toscano, che seguì trent’anni fa il presidente François Mitterrand in molti suoi viaggi, ci riassume in questo articolo i suoi ricordi delle settimane in cui cadde il Muro di Berlino. Finì l’epoca di Yalta ed il mondo e l’Europa cambiarono davvero.

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Francamente non avevo la sensazione di assistere a un momento storico quando, il 2 novembre 1989, sono salito su un aereo militare francese per andare a Bonn in occasione del vertice franco-tedesco (il numero 54 dalla firma del «Traité de l’Elysée» del gennaio 1963). Eravamo uno sparuto drappello di giornalisti, quasi tutti francesi. Io ero corrispondente da Parigi per il quotidiano economico milanese ItaliaOggi, che si illudeva allora di oscurare nientemeno che Il Sole. In quei giorni la stampa francese parlava, come quella del mondo intero, delle manifestazioni per la libertà in alcuni paesi dell’est filosovietico (Germania est, Cecoslovacchia, Ungheria), ma dava grande importanza anche a un altro argomento: ammettere o no l’uso del velo islamico nelle scuole pubbliche ? Trent’anni dopo, l’Europa è cambiata, ma i giornali francesi si pongono ancora quella stessa domanda.

A Bonn Mitterrand vuole precise garanzie.

A Bonn si respira un’altra aria. Il liceo di Creil, dove è esplosa la polemica sul velo, sembra su un altro pianeta. Sul tappeto c’è la sfida che le popolazioni dell’est lanciano ai loro regimi dittatoriali nel nome della libertà e anche (questo allora si cominciava solo a vederlo) nel nome degli interessi nazionali e magari anche di nuovi nazionalismi. È chiaro che il vertice numero 54 è diverso da quelli che lo hanno preceduto. La riunificazione tedesca è ancora solo un’ipotesi, ma Mitterrand e Kohl devono pur parlarne, sia nella cena del 2 novembre sia nell’incontro ufficiale del giorno successivo. La situazione all’est ha qualcosa di paradossale: a Mosca è al potere il riformatore Gorbaciov mentre a Berlino est dominano gli ortodossi del comunismo, abbarbicati all’idea del Muro tra le due Germanie. Le parti si sono invertite rispetto al 1968, quando il governo riformatore cecoslovacco entrò in rotta di collisione col Cremlino, che inviò i carri armati a schiacciarlo. Stavolta è Mosca a parlare di riforme e i duri della Germania est non possono certo invadere l’URSS per ripristinarvi l’ortodossia comunista. Dietro la politica di Gorbaciov c’è il fallimento del comunismo come sistema di potere; non saranno certo i «falchi» di Berlino est a impedire alla nuova leadership sovietica di cominciare un cammino da cui sarà poi essa stessa travolta.

Durante la cena del 2 novembre a Bonn, il cancelliere tedesco cerca di far capire al presidente francese che le cose si muovono più in fretta di quanto a Parigi si creda. Mitterrand si rende conto che deve lanciare un segnale, ma su due punti si prepara a essere inflessibile: 1) il confine orientale della Germania, scaturito dalla Seconda Guerra mondiale, non può in ogni caso venir ridiscusso; 2) comunque vadano le cose a proposito della riunificazione, la Germania deve restare ancorata alla dinamica dell’integrazione europea. La conferenza stampa del 3 novembre alla Cancelleria, a Bonn, è per me un momento indimenticabile. Evelyne Richard, la coordinatrice dei viaggi ufficiali del presidente (che eserciterà quelle funzioni per decenni e che la stampa francese arriverà a definire «l’imperatrice dell’Eliseo»), ci aveva avvertiti che il bus per l’aeroporto sarebbe partito subito dopo la fine della conferenza stampa congiunta Mitterrand-Kohl. Io ho cominciato a scrivere il mio articolo mentre annotavo frasi deludenti rispetto alle aspettative della vigilia.

Mentre la Germania va riunendosi l’impero sovietico si dissolve.

Quando tutto sembra sprofondare nella palude della prudenza diplomatica, Mitterrand lancia una frase che cambia tutto. Dice : «Je n’ai pas peur de la réunification. Je ne me pose pas ce genre de questions à mesure que l’Histoire avance. L’Histoire est là. Je la prends comme elle est. Je pense que le souci de réunification est légitime chez les Allemands. S’ils la veulent et s’ils peuvent la réaliser» (l’enfasi presidenziale sulla parola «Storia» era tale che vale davvero la pena di scriverla con la maiuscola). Poi le parole che mettono i paletti: «La France adaptera sa politique de telle sorte qu’elle agira au mieux des intérêts de l’Europe et des siens !». Riunificazione, può darsi. Ma a certe condizioni. Ci sono anche interessi francesi e interessi europei, che per Mitterrand sono gli stessi: la futura Germania non deve isolarsi in Europa. Deve rimanere un convinto assertore (e il principale finanziatore) del processo d’integrazione.

Neanche una settimana dopo, giovedì 9 novembre, il Muro di Berlino va in frantumi di fronte allo tsunami di tedeschi dell’est che vanno a visitare l’ovest. In quel momento Mitterrand è in Danimarca e Kohl in Polonia. Mitterrand è preoccupato dall’idea di una Germania capace di porsi come nuovo leader nel bel mezzo del Vecchio continente. Cerca sponde nel presidente americano George Bush (Bush padre, naturalmente), in Margaret Thatcher, in Giulio Andreotti et soprattutto in Mikhail Gorbaciov. Il team dell’Eliseo – Jacques Attali, Hubert Védrine, Elisabeth Guigou – sforna idee per ridisegnare una nuova Europa senza rinnegare le cose buone scaturite da quella vecchia.

Lo tsunami di un popolo che ha scelto la libertà.

Occorre convocare subito un vertice comunitario e realizzare una banca d’investimenti per aiutare i paesi dell’est. In questo secondo semestre del 1989, la Francia ha la presidenza di turno dell’Ue e può dunque convocare una riunione straordinaria dei capi di Stato e di governo.
Sabato 18 novembre eccoli a cena all’Eliseo. Tutti insieme, prudentemente. Mitterrand, Kohl, Andreotti, la Thatcher, Felipe Gonzalez e via dicendo. L’idea di vertice comunitario è buona. Ma Kohl non ha alcuna intenzione di scoprire le sue carte. Il cancelliere è padrone del gioco perché i tedeschi, dell’ovest e dell’est, vogliono la riunificazione e nessuno può usare la forza per impedirla. Parla con i colleghi europei, ma cerca di non prendere impegni.

Kohl scopre le sue carte il 28 novembre, altra data storica. Coraggio e spregiudicatezza camminano, anzi corrono, mano nella mano. Kohl umilia Mitterrand. Senza averglielo anticipato, va al Bundestag ad annunciare in pompa magna il suo «Piano in dieci punti» per la riunificazione tedesca. Il dado è tratto.
Mitterrand è furioso. Parigi intensifica il dialogo con Gorbaciov. Ma non è verso la Francia che il leader sovietico guarda in questo momento con particolare attenzione. Gorbaciov vuole parlare con Bush, che incontra in un vertice bilaterale il 2 dicembre nelle acque di Malta, a bordo di una nave (costretta dal maltempo a restare in porto, mentre il programma prevedeva un summit in pieno Mediterraneo: chi avrebbe detto che, trent’anni dopo, quelle stesse acque sarebbero state solcate dai battelli dei migranti, diretti verso Malta e verso Lampedusa?).
Gorbaciov tiene molto a parlare anche con un’altra persona, che ha in questo momento un ruolo politico di grande rilievo : il papa polacco Giovanni Paolo II. Sulla strada di Malta, il leader sovietico è (il 30 novembre e il primo dicembre) a Roma, dove incontra Andreotti (nel colloquio si parla di come preservare e rilanciare il sistema di dialogo est-ovest nel quadro della CSCE, Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa), e soprattutto in Vaticano. La famosa domanda di Stalin «Quante divisioni ha il papa ?» stavolta non ha più senso. Il papa polacco è popolare all’est e questo, in tempo di pace e di aperture, conta come le divisioni in tempo di guerra.

Mitterrand vuole a sua volta incontrare Gorbaciov e, per farlo, è pronto a recarsi a casa sua. Parte per Kiev il 6 dicembre e quell’incontro è la dimostrazione del fatto che il resto del mondo può fare ben poco di fronte al fiume in piena della riunificazione tedesca. Stavolta il GLAM (il dipartimento dell’aviazione militare francese competente per i voli di Stato) ha messo un Airbus a disposizione dei giornalisti. Il vertice franco-sovietico non fa neanche il solletico a Kohl, ma nella memoria del cronista restano impresse alcune immagini. La cosa che mi ha colpito di più è stata la manifestazione degli indipendentisti ucraini, che approfittarono del vertice per scendere in piazza, ben sapendo che Gorbaciov non poteva certo permettersi il lusso di reprimerli davanti a centinaia di giornalisti arrivati da tutto il mondo. Fu quello il vero segnale del cambiamento. Mentre la Germania si riunificava, l’Unione Sovietica si divideva. Le nazionalità alzavano la testa. Era il 6-7 dicembre 1989, ma la Storia cominciava a scrivere un nuovo capitolo.

Al Bundestag Kohl brucia i tempi della riunificazione.

Le altre immagini di Kiev sono quelle di una conferenza stampa affollata quanto insensata. Una prova d’impotenza. C’erano Gorbaciov, Mitterrand e Andrei Graciov, portavoce del leader sovietico. C’era una crisi in atto a Beirut e, approfittando di una domanda al riguardo da parte di un giornalista libanese, i due leaders parlarono in realtà più di quel paese mediorientale che dell’avvenire europeo. Una conferenza stampa per certi aspetti surreale, i cui protagonisti erano in evidente difficoltà. Poi tutti all’aeroporto di Kiev, dove abbiamo aspettato ore nel freddo. Alla fine qualcuno ha detto la presunta ragione di quel ritardo : gli agenti dei servizi di sicurezza francesi (che all’andata erano sul volo di Mitterrand) avrebbero preteso di imbarcarsi armati su quello dei giornalisti. Il solo lato divertente di quell’attesa è stato l’arrivo di un battaglione viola di tifosi della Fiorentina, che cantavano in allegria una canzone sulle note di Guantanamera. La loro squadra aveva appena vinto a Kiev una partita di Coppa UEFA. Quel giorno sono stati gli unici a ripartire felici dall’Ucraina.

Mitterrand torna da Kiev con la ferma determinazione ad agganciare la futura Germania alla dinamica comunitaria. Come? Con la moneta unica. La Germania si riunifichi pure, ma offra all’Europa la prova d’amore della sua rinuncia al marco. In realtà la discussione in questo preciso momento riguarda la fissazione o meno della data per la Conferenza intergovernativa che dovrà preludere alla tappa finale dell’unione monetaria. Kohl accetta il principio, ma non parla di date. Mitterrand diventa, su questo punto, intrattabile. O si trova una data o si apre una crisi nelle relazioni tra le due sponde del Reno. Ed è proprio vicino al Reno che si trova un accordo. Il Consiglio europeo, a conclusione del semestre della presidenza francese, si apre il 6 dicembre a Strasburgo. In questo momento i membri dell’Unione sono dodici. Mitterrand apre i lavori parlando di «accelerazione dell’Unione economico-monetaria» e lancia l’idea di una futura «Carta sociale europea». La Thatcher s’innervosisce ogni volta che si tocca il primo e soprattutto il secondo di questi temi. A un certo punto della discussione tra i Dodici, nel pomeriggio di venerdì 8 dicembre, in sala manca improvvisamente la luce. Nel buio si sente la voce della Thatcher, che dice: «È il momento giusto per parlare di Carta sociale europea !». Risatine amare.

A Strasburgo un accordo si trova ed è un accordo fondamentale: riparte il cammino verso la moneta unica e si calendarizza per il 1990 l’avvio della Conferenza intergovernativa a questo riguardo (ma Kohl ottiene che ciò avvenga dopo le elezioni tedesche). Un altro Consiglio europeo, questa volta al termine di un semestre di presidenza olandese, vedrà la conclusione di quell’itinerario: il vertice di Maastricht del dicembre 1991, che compirà le scelte fondamentali in vista degli accordi che saranno poi firmati nel febbraio 1992 nella stessa città dei Paesi Bassi e che da questa prenderanno il nome. Il Trattato di Maastricht consacra la nascita dell’euro, anche se in quel momento nessuno immagina che si chiamerà così (i francesi vorrebbero chiamare «scudo» la futura moneta unica ; alla Thatcher questo discorso non interessa niente perché ottiene per il suo paese la possibilità di non adottarla).

Dopo Strasburgo, Mitterrand farebbe volentieri a meno dell’ultimo (diventato imbarazzante) viaggio da lui previsto allo scopo di esercitare pressioni su Kohl. Il viaggio a Berlino est, che ha annunciato a Gorbaciov nel suo incontro di Kiev (come se un leader sovietico potesse non essere al corrente di una cosa riguardante la Germania est) è ormai insensato perché i giochi sono praticamente fatti e la leadership comunista di Berlino est è meno arzilla di un museo delle cere.
Sempre al seguito di Mitterrand, arrivo a Berlino est il 20 dicembre. In Romania, Ceausescu è ormai cotto e mangiato. Mentre Mitterrand è a Berlino est a incontrare le ultime mummie di un regime spacciato, Kohl parla al popolo nelle piazze della Germania est. Finisce così l’anno in cui l’Europa ha seppellito Yalta e in cui è veramente cominciata (per ragioni politiche ben più che economiche) la storia dell’euro.

Alberto Toscano

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Alberto Toscano
Alberto Toscano est docteur en Sciences politiques à l’Université de Milan, journaliste depuis 1975 et correspondant de la presse italienne à Paris depuis 1986. Ex-président de la Presse étrangère, il est l’un des journalistes étrangers les plus présents sur les chaînes radio-télé françaises. A partir de 1999, il anime à Paris le Club de la presse européenne. Parmi ses livres, ‘Sacrés Italiens’ (Armand Colin, 2014), ‘Gino Bartali, un vélo contre la barbarie nazie', 2018), 'Ti amo Francia : De Léonard de Vinci à Pierre Cardin, ces Italiens qui ont fait la France' (Paris, Armand Colin, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini-Castoldi, Milan, 2020), Mussolini, "Un homme à nous" : La France et la marche sur Rome, Paris (Armand Colin, 2022)

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