Nel primo articolo del 2017 di «Missione poesia», un resoconto delle attività della Casa della Poesia di Como e una profonda recensione all’antologia del Festival Internazionale Europa in Versi dal titolo: “Poesia e arte. Antologia dei poeti del Festival e del Premio Europa in versi 2016“, a cura di Laura Garavaglia, I Quaderni del Bardo Edizioni (Lecce, 2016), pag. 201.
Che strane alchimie è capace di creare la poesia. Quali inventive e quali meriti possono essere attribuiti a coloro che non solo la praticano, ma la amano a tal punto da dedicarvisi quasi completamente, anima e corpo, mente e cuore.
Laura Garavaglia – recensita in questa rubrica per il suo libro Numeri e stelle http://www.altritaliani.net/spip.php?article2536 – è un’ape-poeta-operaia che infaticabilmente si prodiga per creare occasioni di incontro, di discussione, di spettacolo intorno alla poesia, cercando di ricreare quelle felici miscellanee di arti nelle quali all’unisono si parla di bellezza. Così il Festival, il Premio, l’Antologia dei poeti: tutto per Europa in versi l’evento che tocca nel 2017 il traguardo dei suoi sette anni e sembra non conoscere alcun tipo di crisi.
Al prestigioso Festival, al quale hanno partecipato nel tempo alcuni tra i più accreditati poeti italiani, e altri provenienti dal resto del mondo, Gagavaglia ha abbinato un altrettanto prestigioso Premio – la cui prima edizione si è tenuta nel 2016 – e ancora un’elegante antologia che, grazie all’interesse della Casa Editrice I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno (Sannicola, Lecce), raccoglie una selezione di testi dei poeti invitati e dei vincitori del Premio stesso. Ed è di questa che vorrei parlarvi nel primo articolo dell’anno di Missione poesia.
POESIA E ARTE
Molte antologie degli ultimi anni possono essere considerate, per lo più, «cataloghi di tendenza», per dirla con Sanguineti, un magma nel quale difficilmente si ritrova un canone, una dimensione critica che aiuti a ricostruire la mappatura degli autori e dei loro lavori. La critica e il suo livello di analisi sembrano inutilizzabili e/o insufficienti per raccontare il nuovo panorama poetico. Le raccolte, alla stregua di molta storiografia, non ricostruiscono una tradizione, sono sgranate e poco selettive, oppure raggruppano poeti messi insieme quasi unicamente da interessi “di cordata”, spesso risulta assente qualsiasi tentativo di periodizzazione.
Tuttavia, i tentativi di storiografia critica – da qualsiasi parte provengano – sono, allo stesso tempo, atti di costruzione e di ricostruzione, importanti non soltanto ai fini della memoria, ma anche per la costruzione del presente, e per tentare di conoscere la poesia del nostro tempo e riagganciarsi al suo percorso, magari provando a individuare una tradizione senza pretendere di indicare modelli: questo può rivelarsi utile per una sistemazione critica se pure, come risulta evidente, ogni operazione comporta una scelta accogliendo o rifiutando le possibili varianti.
Per questi motivi, scrivere di un’antologia è sempre un impegno particolarmente oneroso, ma stimolante e significativo. A maggior ragione se si tratta di una raccolta di voci diversissime tra loro, il cui unico legame è la partecipazione al sopramenzionato Festival, vuoi in veste di autori invitati vuoi nei panni di partecipanti al premio. La curatrice – Laura Garavaglia – ha, infatti, ben pensato riuscendo ad amalgamare fra di loro dimensioni poetiche di grande levatura, come quelle di alcuni dei nomi più noti del panorama mondiale di quest’arte, con dimensioni di autori esordienti nel campo della poesia perché giovani e/o ancora meno noti al grande pubblico; riuscendo a intersecare fra di loro lingue e linguaggi – sì universali – ma scelti da varie zone del mondo e arrivando ad inserire anche alcuni dialetti contemporanei; riuscendo a creare un unico esempio di universo artistico all’interno di un contenitore – il Festival – che, se pure oggi abbondantemente usato e abusato, si concretizza, nel nostro caso, in un fresco e fertile humus dal quale lanciare conferme e nuove sfide per la divulgazione della poesia soprattutto, e qui sta un altro grande merito dell’organizzatrice, attraverso il coinvolgimento di nuove e giovani leve – sia nella fase organizzativa che in quella partecipativa – all’evento nel suo complesso.
Fra i poeti partecipanti al Festival, e inseriti nell’antologia, risulta impossibile fare una cernita: cercheremo quindi di dire poche parole per ognuno di loro. Franco Buffoni e Umberto Fiori sono le voci che rappresentano la poesia italiana – e si tratta davvero di due belle voci -: l’uno (Buffoni) per la sua capacita di ripercorrere, attraverso l’esame di tematiche sociali forti e modalità varie – tra le quali non manca l’efficace diario interiore – tematiche ed esperienze che diventano universali e che, raccolte da sguardi rielaborati attraverso l’uso sensoriale, attraccano in porti di sapere che colpiscono il lettore per la loro efficacia “Per me tu sei rimasta dove il fiume fa l’ansa,/La corrente l’isola le rapide dicevi/Si vedono meno quando si è in piena,/L’impeto confonde tutto/ E quanto tu gli porti lui si prende,/Non se ne accorge […]”; l’altro (Fiori) per la profondità che riesce a mantenere nei suoi testi, attraverso l’uso di una lingua semplice e del quotidiano, necessaria per ritrovare quel valore di verità nella poesia – da sempre ricercato dai grandi poeti – e per la modalità di attraversamento del valico che lo porta a diventare da osservatore a cantore del mondo: […] “Ma la statua/diritta sul piedistallo, la barba ferma/nella giorgiera di bronzo,/il gioco che fa col mondo, chi lo capisce?”
Sempre a rappresentare la poesia italiana ma, questa volta, dialettale sono chiamati i poeti Basilio Luoni e Vito Trombetta. Luoni, da buon poeta prestato anche alla pittura, restituisce nei suoi versi il clima rurale dipinto con i colori della natura stessa e intriso di quella spiritualità rituale, di cui diventa strumento primario anche l’ora dei Vespri: “Su fatti il segno della croce, adesso/che si va a casa; i Vespri sono finiti//La magia delle figure. Che puoi/guardare come il padrone/guarda i campi, la vigna, il bosco di castagni, che sono stati del padre/e del nonno, e saranno del figlio […]”; Trombetta ricerca nella lingua dialettale le origini di una storia comune, la commistione di temi universali, la dimensione del sacro che attraverso il quotidiano permette l’incontro e l’avvicinamento degli uomini: « Sono un navigante e vorrei/narrare per filo e per segno/la mia stupidità e l’ignoranza/poiché già si sa che il dio/ad ogni incensamento ad ogni preghiera/non manca mai di dare risposta/e io come uno stolto ad accender candele […]”
A rappresentare l’Europa i poeti: Ion Deaconescu (Romania), Markus Hediger (Svizzera), Milan Richter (Slovacchia) nonché Nono Jùdice (Portogallo) al quale è stato consegnato il premio speciale alla carriera all’interno del Premio Internazionale di Poesia Europa in Versi 2016.
Deaconescu, poeta e scrittore dal curriculum strepitoso, viene proposto in questa raccolta con testi che introducono nella dimensione del sogno e del rapporto tra la vita e ciò che è, o che sembra reale, e il sogno stesso che potrebbe essere la vera realtà. La paura di aprire gli occhi, le lettere quali pensieri alati che volano alto, il non riconoscersi nello specchio, – riportati nei suoi versi – trovano compimento nella paura stessa del risveglio, nel poter perdere quell’immagine di sogno che rappresenta la vita, e certo il modo migliore per il poeta di amare, di stare al mondo: “[…] Ho paura di svegliarmi/E perderti,/Promessa sposa dei sogni,/E immacolata,/Come un viandante nei sogni dei ricordi.”
Hediger, poeta amante dei viaggi e della prosa, innamorato dell’amore che detta le sue regole e sfugge, è inserito nel libro con testi che sembrano scritti durante il suo girovagare per il mondo, quasi foto scattate per immortalare un preciso momento di vita vissuta, un rapporto creato con un particolare poeta a lui caro (come nel testo dedicato a Vincenzo Cardarelli). Non ha paura del banale perché non c’è niente di banale nell’incontrare sul tram un uomo che legge poesie: “sul tram 3, dal mio sedile,/vedo un uomo seduto solo dietro/a un altro uomo in se stesso murato/e solo davanti a un tizio accasciato//Quest’uomo tra biondo e bianco, occhiali,//è chino su un libro che segna, matita alla mano, […] vedo che sono poesie la sua lettura/e leggo al volo: Sul tram 3…”
Richter, poeta e autore di testi teatrali, che ha vissuto la “normalizzazione” della politica culturale dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, e ha subito – tramite l’uccisione di parte della sua famiglia – il destino degli ebrei di Auschwitz è inscritto con la sua peculiare poetica, che esprime in larga parte la dimensione dell’Olocausto, avvicinando all’esperienza del lettore quella personale laddove il drammatico vissuto collettivo assurge a epopea dai risvolti ironicamente amari: “Oggi ho cinque anni più del nonno Emil/nel momento in cui mia madre lo abbraccia/sulle assi sconnesse che conducono/lui e la nonna Amalie nel buio inospite/del vagone per le bestie. Che avranno potuto/dire così in fretta alla figlia?//[…] Di loro nulla è rimasto, proprio nulla./Soltanto i nomi Emil e Amalie:/un nonno e una nonna più giovani del loro nipote.”
Jùdice, tra le voci più rappresentative della poesia portoghese è anche scrittore e saggista. Di lui incontriamo la sua poetica, spesso coniugata con i toni dell’ironia, e che ingloba il rapporto tra il surreale e il reale riflettendo, oltre che sull’interiorità dell’uomo e le sue contraddizioni, anche sul ruolo del poeta, diventando metapoesia: “[…] I poeti lavorano/ questa materia. Le loro dita estraggono/il caso da chi va/loro incontro, e sanno che l’improbabile/si trova nel cuore dell’istante,/nell’incrocio di sguardi che/la parola della poesia traduce. Leggo/ciò che scrivono; e dalla fiamma che/i loro versi alimentano si leva/un fumo che il cielo disperde, in/mezzo all’azzurro, lasciando appena un/eco di ciò che è essenziale, e permane.”
Per il continente asiatico il poeta Saied Hooshangi (iraniano che vive in Spagna) – memorabile la sua lettura di testi in lingua fārsī al Festival di Como 2016 – è rappresentato nell’Antologia con una serie di poesie che si ispirano non solo alla lingua ma anche alla letteratura e alla religione preislamica iraniana. Gli incontri, le presenze, le immagini che rimandano ai suoi lavori offrono una visione libera di una terra – l’Iran – di confine con il deserto, che diventa nostalgia e memoria, riappropriandosi di una lingua che fa uso di simbolismi e simboli, anche per non nascondere l’impegno civile dell’autore: “[…]nel grido delle nuvole/il grido della pioggia non si è rotto./I profeti del silenzio/sono i nuovi interpreti della storia vivente./All’ombra della quiete/viviamo in pace./Ci sostiene la legge della tribù/all’ombra della quiete/anche se invano, siamo vivi.”
Per gli Stati Uniti sono stati invitati i poeti Michael Harlow (che vive in Nuova Zelanda) e William Wolak. Il primo (Harlow), poeta e psicoterapeuta junghiano, propone una poetica partecipe di tutte le arti e al contempo del quotidiano. Ha nei suoi versi una sorta di melodia con la quale canta e incanta il mondo, affrontando sia l’interiorità profonda dell’uomo sia le piccole cose che lo accomunano ai suoi simili, restando affascinato dal mistero che tutto circonda: “Oggi ho visto la stella/da cui sono caduto/In un bagliore di luce/l’ho sentita entrare nel mio corpo//Come il canto verde/della terra – l’albero/Marjatta la sua fioritura rossa/che esplode//Nella pace silenziosa di/mezzogiorno a Plaza Colon, le note argentee di un pianoforte/intonate in una stanza vuota […]”; l’altro (Wolak) utilizza nella sua poesia la dimensione del rapporto con l’altro che diventa specchio per riflettere se stessi. Capire se stessi per capire gli altri e viceversa, è uno dei grandi impegni che interessano, da sempre, l’operato dei poeti, così come l’altro grande tema dell’amore, affrontato da Wolak, nella direzione della traccia originaria che non può e non deve essere dispersa: “Solo il cuore ama/questo pescare senza rete;/la bellezza chiude tutte le porte/e la rovina le distrugge.//[…] L’amore apre le mani per gentilezza/e la gentilezza è un debito/che non ti stanchi mai di ripagare.”
Tra i vincitori del Premio più volte menzionato, anch’essi inseriti nell’Antologia ricordiamo: Alessandra Paganardi (poesia inedita), Maria Giorgia Ulbar (poesia edita), Eleonora Rimolo (poesia giovani), Francesco Granatiero (poesia dialettale). Tra i finalisti: Vittorio Cesana, Gennaro de Falco (poesia inedita); Nadia Augustoni, Lorena Carboni (poesia edita); Alessandro Biswas Anil, Alessandra Corbetta (poesia giovani); Rosa Maria Corti, Lino Marconi, Giacomo Vit (poesia dialettale).
Infine, ricordiamo che è tuttora aperto il bando di partecipazione alla seconda edizione del Premio Internazionale di Poesia Europa in Versi 2017, in scadenza al 28 febbraio 2017. Tutte le informazioni al link:
http://www.lacasadellapoesiadicomo.com/premioeiv2017
Cinzia Demi
Bologna, gennaio 2017