Grillismo for dummies n° 3.
Se Forza Italia (FI), Lega Nord (LN) e Movimento 5 Stelle (M5S) sono o sono stati partiti populisti, allora sommando i loro voti alla Camera dei Deputati dalle elezioni politiche del 1992 a quelle del 2013 (al netto dei cambiamenti di nome) si giunge alla conclusione che, nel corso della ‘Seconda Repubblica’, la forza del populismo in Italia è salita dall’8,7% dei consensi al 50,5%. Con una crescita inesorabile: 29,5% nel 1994; 30,7% nel 1996; 33,3% nel 2001; 28,1% nel 2006; 45,3% nel 2008.
Un esperto della materia, Marco Tarchi, dopo aver raffigurato i diversi corpi che la mentalità populista ha assunto in Italia si è chiesto se la nostra democrazia non sia altro che una terra promessa del populismo (Italy: the promised land of populism? in ‘Contemporary Italian Politics’, 2015 (7): 3, 273-285).
Secondo Bertjan Verbeek e Andrej Zaslove, il populismo è forte in Italia perché dopo aver provocato il crollo della ‘Prima Repubblica’ è stato capace di cambiare pelle. La competizione tra FI e LN negli anni ‘90, la lieve flessione del consenso populista nel 2006 e l’affermazione del M5S nel 2013 si spiegherebbero con il fatto che il populismo italiano è oggetto di contesa oppure cerca sempre nuove incarnazioni (Italy: a case of mutating populism? in ‘Democratization’, 2016 (23)2, 304–323).
Nello specifico, aggiungendo qualche argomento all’analisi di Verbeek e Zaslove:
1) dopo il breve governo di centro-destra nel 1994, Bossi e Berlusconi gareggiarono per lo stesso elettorato populista mantenendolo vivo;
2) il ritrovato asse del Nord del 2001, nonostante l’istituzionalizzazione del messaggio populista del centro-destra durante i successivi cinque anni di governo, passò piuttosto indenne alle elezioni del 2006;
3) la fine del governo Berlusconi nel 2011 e il conseguente sostegno di FI al governo Monti produssero invece una reazione populista nelle elezioni del 2013.
In particolare:
a) dopo che FI entrò a far parte della classe politica mainstream sostenendo le riforme volute dall’UE, si sprigionarono nuove forze populiste che favorirono l’ascesa di Grillo;
b) queste forze si sommarono a spinte provenienti da sinistra che non avevano fino ad allora trovato rappresentanza politica, se non nell’ultimo Di Pietro (si pensi, in particolare, ai ‘girotondi’ che circondarono i palazzi del potere dopo il successo elettorale di Berlusconi nel 2002).
Comunque la si consideri, questa analisi sul populismo italiano torna utile per capire il M5S e come Grillo si sta preparando alle nuove elezioni politiche.
Nel 2013, i grillini scelsero come previsto il ruolo dell’opposizione in Parlamento (Dopo le elezioni. Grillismo for dummies 2). Ma nel corso dei primi mesi del 2017, hanno iniziato a prepararsi al governo del paese con la realizzazione di un programma politico. Esaurita la spinta ‘rottamatrice’ di Renzi, con Berlusconi tornato alla politica attiva indossando l’abito buono dell’anti-populista, il bacino elettorale entro cui il M5S potrà pescare nelle prossime elezioni appare molto ampio, malgrado la ritrovata verve populista della LN di Salvini.
Tra i temi del programma di governo c’è anche quello della politica estera. Si tratta di un tema molto rilevante per capire come il M5S intende pescare nel suo bacino elettorale. Sulla politica estera, infatti, si scaricano tensioni anti-europee e anti-globalizzazione che appartengono al DNA del fenomeno populista in generale e dello stesso movimento in particolare. Inoltre, la necessità di far coesistere un programma elettorale con il coinvolgimento della base più attiva del M5S mette in moto un fenomeno storico unico: la definizione di un programma di politica estera “popolare”.
Questo punto è un passo importante verso la trasformazione della diplomazia, di solito considerata un affare ristretto a un piccolo numero di persone altamente istruite. A differenza dei populisti più tradizionali, quelli del M5S possono far leva sulla democrazia diretta e il coinvolgimento dei cittadini grazie al sistema operativo Rousseau.
Il 5 aprile 2017, i membri della piattaforma web intitolata al filosofo della democrazia come volontà generale sono stati invitati a scegliere i temi più importanti della politica estera del movimento tra un elenco di dieci. Una volta scelti, questi temi sarebbero divenuti le priorità del programma di governo.
Prima della votazione, le proposte sono state presentate sul blog di Grillo con il coordinamento di Manlio Di Stefano, in qualità di capogruppo del M5S in Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, e dalla sua omologa al Senato Ornella Bertorotta. Prima e dopo la votazione si è svolto un tour in 12 città italiane. I votanti sono stati 23.481 e, potendo indicare tre priorità, hanno espresso 69.891 voti complessivi.
Sono quindi emerse le tre priorità della base, benché su proposte dei portavoce parlamentari:
1. il contrasto ai trattati internazionali di libero scambio TTIP e CETA (14.431 voti);
2. sovranità e indipendenza degli Stati (10.693 voti);
3. un’Europa senza austerità (8.529 voti).
Gli altri punti sono seguiti ad una certa distanza: 6.814 voti sono andati al ripudio della guerra; 6.589 allo smantellamento della Troika; 5.548 al disarmo come premessa alla pace; 5.324 alla Russia come partner economico e strategico contro il terrorismo; 4.547 alla riforma della NATO; 4.219 alla risoluzione dei conflitti in Medio Oriente; 3.197 ai nuovi scenari di alleanze per l’Italia.
In estrema sintesi, possiamo avanzare tre osservazioni e un commento conclusivo sul modo in cui i grillini si stanno preparando alla ‘pesca’ nel bacino elettorale (nel senso ormai di lotteria, considerata la fluidità del voto emersa nelle ultime elezioni amministrative di giugno).
In primo luogo, si può osservare che non è previsto un referendum per l’uscita dall’Europa e, anzi, si sostiene che l’Italia dovrebbe guidare i paesi del sud del continente per combattere l’austerità e riformare l’Unione. Inoltre, anche per quanto concerne la Nato si parla di riforma e non di superamento (come invece si affermava nei documenti precedenti).
In secondo luogo, vi sono argomenti caldi che riguardano la radicale contrarietà alle missioni militari dell’Occidente, i rapporti con la Russia di Putin e la questione palestinese. Naturalmente questi temi potrebbero essere approfonditi in senso critico. Tuttavia, il programma contempla la possibilità dell’uso di forze militari di interposizione nel rispetto dell’art. 11 della Costituzione; a proposito della Russia, l’effettiva proposta è quella del superamento delle sanzioni, ossia un tema divenuto oggetto di dibattito politico mainstream; infine, non vi sono critiche dirette ad Israele.
La terza osservazione riguarda la filosofia che ispira il programma, caratterizzato da un chiaro richiamo al movimento dei paesi non-allineati e alla decolonizzazione. In particolare, i punti del programma ruotano tutti intorno all’ideale del ‘multilateralismo dei popoli’ nel contesto dell’organizzazione internazionale.
Il commento finale è il seguente: il programma di politica estera del M5S esprime una linea ideologica di tipo internazionalista, quella della giustizia globale, aggiornandola però ai temi della retorica anti-globalista. La contrapposizione Nord versus Sud appare tutto sommato come una versione rinnovata e più fresca del tradizionale appoggio della sinistra comunista al nazionalismo del Terzo Mondo, ora esteso ad un Sud Globale verso cui l’Italia dovrebbe guardare.
Nelle proposte concrete, tuttavia, non vi è nulla di rivoluzionario o di clamorosamente distante rispetto a quanto già introdotto nel dibattito italiano da altre forze populiste. Si pensi, in particolare, alla difesa della sovranità nazionale rispetto ai vincoli imposti dall’Europa. La stessa opposizione ai negoziati in stile TTIP la troviamo nelle posizioni della LN di Salvini.
Inoltre, il programma appare in linea con le proposte politiche restrittive del M5S in tema di immigrazione, benché non vi si faccia riferimento. Le reali deviazioni dal solco populista della ‘Seconda Repubblica’ sono la questione palestinese, con i suoi risvolti rispetto alle retoriche sul terrorismo islamico, e il riferimento al pacifismo espresso all’art. 11, che negli ultimi decenni è stato il punto di riferimento per tutti i movimenti anti-guerra che hanno contestato la partecipazione italiana al fianco degli Stati Uniti. Se tutto questo porterà consenso o no al M5S, lo diranno gli elettori.
Emidio Diodato
Professore associato di Politica internazionale
Università per stranieri di Perugia.