Agli albori della Seconda Repubblica, prevalse l’idea che alle elezioni politiche il popolo sovrano dovesse esprimersi direttamente sul governo e non solo per eleggere i rappresentanti chiamati a dare in seguito la fiducia all’esecutivo.
A poco valsero i tentativi di chi si oppose all’idea, sostenendo che l’elezione diretta non è prevista in un sistema parlamentare. Confusamente, furono citati come esempi di sistemi nei quali la sera delle elezioni si conosce già il nome di chi sarà poi chiamato a formare il governo tanto quelli presidenziali e semi-presidenziali di Stati Uniti e Francia, quanto quelli parlamentari di Gran Bretagna a Germania.
Nel clima anti-partitocratico del tempo passò l’idea che durante la Prima Repubblica, quella dei partiti, vi fosse stata una democrazia incompiuta. Per lungo tempo ai cittadini era stato negato il diritto di esprimersi direttamente sul governo. Ciò a vantaggio dei partiti, principali responsabili di quella mancanza di alternanza al potere che è sempre fonte di limitazione della democrazia. Senza riflettere sul senso della vera limitazione del potere nazionale in paesi periferici come l’Italia, si pensò erroneamente di consolidare la democrazia dando ai cittadini il potere di ‘eleggere’ direttamente il governo. In tutto il mondo occidentale, del resto, aleggiava la fiducia che il futuro sarebbe stato nelle mani delle democrazie più solide.
Il sogno di una democrazia solida poiché competitiva si è infranto nel 2013, con l’affermazione del Movimento 5 Stelle. Fino a quel momento si era potuto ritenere che, nonostante i necessari meccanismi elettorali di tipo disproporzionale, le forze politiche avrebbero comunque dovuto competere per conquistare un consenso maggioritario nel paese. Questo era pensato possibile grazie alla divisione bipolare del sistema politico tra centro-destra e centro-sinistra. Ancora le primarie del centro-sinistra del 2012 furono vissute come un processo di selezione della leadership per il governo, così come negli Stati Uniti o in Francia.
Tuttavia, dopo il terremoto elettorale del 2013 Matteo Renzi (che quelle primarie le aveva perse) comprese per primo che occorreva cambiare la legge elettorale e la stessa Costituzione per salvare il principio della legittimazione diretta del governo.
Con l’Italicum e l’abolizione del Senato elettivo sarebbe bastato arrivare primi per governare, ossia senza conquistare quel consenso maggioritario nel paese reso difficile, se non impossibile, in un sistema tripolare.
Tuttavia, in un clima generale di preoccupazione per la democrazia, visto anche il proliferare di svolte autoritarie in paesi periferici come l’Italia, la fuga in avanti di Renzi apparve troppo pericolosa. Le riforme furono rigettate dalla Corte e dagli italiani (benché il voto di questi ultimi si fosse generato, a parere di molti, più dall’insoddisfazione rispetto al governo che per il timore di una svolta autoritaria).
A ogni buon conto, il Presidente della Repubblica ritenne poi opportuno evitare il voto degli italiani nonostante le dimissioni di Renzi. In molti apprezzarono questa scelta, sperando che così si potesse dar fiato a una democrazia in affanno.
Si stanno ora svolgendo le primarie del Partito democratico che vedono favorito lo stesso Renzi. Otterrà una rivincita? Riproverà a cambiare il sistema politico? Difficile dirlo. Di certo si tratta di primarie interne a un partito (benché aperte ai non iscritti) e non a un’alleanza per il governo. Non è un caso che quanto accaduto recentemente negli Stati Uniti o in Francia non abbia fornito elementi di riflessione.
Nel primo caso, la scalata del Partito repubblicano da parte di Trump ha garantito la stabilità del sistema politico nel suo complesso, mantenendolo bipolare e offrendo allo stesso partito del Presidente la possibilità di un equilibrio istituzionale grazie al ruolo del Congresso.
Nel secondo caso, i vincitori del primo turno francese non hanno vinto primarie di partito e, anzi, l’esito delle primarie è stato quello di aprire uno spazio politico al centro. Gli equilibri istituzionali dopo le elezioni legislative del prossimo giugno, inoltre, appaiono incerti. Le ragioni di queste differenze tra Stati Uniti e Francia non sono entrate nel dibattito italiano sul senso delle primarie in un sistema che da anni cerca di andare verso il semi-parlamentarismo. Non solo perché si stanno svolgendo elezioni primarie per la segreteria di un partito e non per un’alleanza di governo, ma anche perché in Italia è oggi assente una riflessione sul sistema politico dopo l’esito delle mancate riforme istituzionali, sul significato più ampio delle primarie senza presidenzialismo o sulla legittimazione diretta del governo.
Renzi è alle prese con una resa dei conti interna al Partito democratico. Nessuno pensa che le primarie del Partito democratico siano il primo passo verso una nuova leadership di governo… ma questo, se vogliamo, è l’unico elemento di chiarezza.
Emidio Diodato
Politologo, docente Università per stranieri di Perugia