Il 25 aprile è di tutti. Anche di chi non lo riconosce.

La “pillola” de Puppo. Ho l’impressione che la destra al governo dell’Italia stia perdendo un’occasione storica, insistendo con questa (maldestra) negazione dell’antifascismo e la reticenza a celebrare il 25 aprile per quello che è, cioè la festa della Liberazione. Questa reticenza incoraggia la parte opposta a gridare al pericolo fascista, e contribuisce ad avvitare la democrazia italiana in una nuvola di rancore.

Non si tratta di chiedere alla destra di nascondere le proprie origini, o di fare pubbliche abiure. Fratelli d’Italia viene dal mondo, per così dire, post-post-fascista, quello che ha portato dalla Repubblica di Salò al Movimento Sociale Italiano, nel 1946, e che è transitato in Alleanza Nazionale, negli anni Novanta. La storia è sempre complicata e ognuno ha la sua; la loro è quella. Sarebbe assurdo chiedere di negarla.  Si tratterebbe invece di prendere atto (con lucidità e coraggio) della realtà. FdI e il governo di Giorgia Meloni agiscono in un contesto che è quello, e non altro, della democrazia Repubblicana. È la nostra (nostra, sì) democrazia liberale che ha accolto nel « recinto della libertà » (per usare il sublime paradosso di Norberto Bobbio) anche chi, come FdI, proviene da una storia diversa. E siamo realisti: nessuno può davvero credere che il governo di Giorgia Meloni abbia le intenzioni o la possibilità di limitare le libertà politiche, instaurare uno stato di polizia, coltivare ambizioni imperiali, perseguitare minoranze etniche (perché questo vuol dire, “fascismo”.  Ha un senso storico preciso. Non è un un modo di etichettare qualsiasi cosa ci stia antipatica). FdI oggi ha semmai preso il posto di quella che un tempo era una parte della DC. Quella dell’Italia conservatrice, sospettosa verso i mutamenti della società, legata alle proprie tradizioni e a un sentimento nazionale geloso ed esclusivo. È una parte politica che esiste, ha diritto a una rappresentanza democratica, e può essere utile persino a chi, come me, non vi si riconosce. È un utile contrappeso a certe fughe in avanti della « modernità »: il conformismo della globalizzazione cosmopolita, l’identificazione automatica di ogni desiderio individuale in un diritto che la comunità dovrebbe riconoscere, lo scarso valore accordato al passato, alle appartenenze e identità culturali, il mito acritico del progresso.

Se questa, come io credo, è la realtà, FdI dovrebbe avere il coraggio di superare l’irresistibile tendenza alla provocazione e alla baruffa di certi suoi componenti (per tutti, il presidente del Senato La Russa), e quella alla reticenza e al “non dire” di Giorgia Meloni. Dovrebbe riconoscere che, qualunque sia il passato di ciascuno, oggi esiste un valore comune della comunità nazionale: la democrazia Repubblicana. E che quella democrazia è fondata (è un dato di fatto, non un’opinione) sulla lotta antifascista e sulla Liberazione dall’occupazione nazifascista. È grazie alla Liberazione, e alla Resistenza che l’ha preceduta, che l’Italia ha potuto riprendere in mano, nei limiti imposti dalla realtà post-bellica e geopolitica, il proprio destino. Chi tiene alla Patria, chi sventola il Tricolore, dovrebbe essere sensibile a un evento così fondativo. E quanto all’idea (usata a destra per giustificare le reticenze) che la Resistenza sia stata monopolizzata dai comunisti, con l’intento non di creare una democrazia ma di instaurare un regime autoritario di stampo sovietico, è una sciocchezza. Certo, c’erano turbolenze interne, come è ovvio in un passaggio complesso della storia. Ma i comunisti italiani hanno combattuto il nazifascismo accanto a socialisti, azionisti, liberali, monarchici, e con Terracini hanno messo la loro firma sulla Costituzione e la nascita della democrazia. Quella stessa democrazia che poi ha permesso ai reduci di Salò di andare in Parlamento. Una volta Giorgio Pisanò, del MSI, incontrando l’ex partigiano Vittorio Foa, gli disse: ‘Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano’. Foa rispose: “Abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore; avessi vinto tu, io sarei ancora in carcere’. Forse certi intellettuali più o meno vicini a FdI, ad esempio Franco Cardini, potrebbero aiutare la destra italiana a uscire dal recinto in cui lei stessa si rinchiude, e a elaborare questo passo: vedere il 25 aprile non più come data di una sconfitta, ma come quella in cui la Patria italiana si è rialzata, parafrasando Marx, con i piedi nel fango della storia e lo sguardo verso il cielo della democrazia.

Se la destra facesse questo passo, chi, come me, è di sinistra (nessuno è perfetto) perderebbe un facile argomento polemico e magari dovrebbe occuparsi un po’ di più di contrastare l’avversario sul piano delle idee, dei fatti e non degli slogan. FdI perderebbe le simpatie e i voti di chi (penso non molti) coltiva ancora simpatie per il regime fascista. Ma l’Italia farebbe un passo importante verso una democrazia un po’ più compiuta.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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