Le elezioni amministrative italiane del 5 e 19 giugno sono state un’occasione di voto importante. Il governo in carica non è stato eletto direttamente dal popolo sovrano. E’ quindi logico che ogni turno elettorale, ovviamente se con un qualche rilievo nazionale, si trasformi in una prova politica per il governo. Gli elettori hanno rinnovato le amministrazioni delle principali città italiane, inclusa la capitale.
Commentando i risultati del primo turno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi disse che a suo giudizio emergeva una chiara disomogeneità della geografia elettorale. Gli elettori avevano scelto facendo zapping con la scheda elettorale. Se un candidato li convinceva lo votavano, altrimenti no. Il punto è che quando gli elettori si sono ritrovati a scegliere tra due soli programmi, ovvero al ballottaggio del 19 giugno, in larga misura hanno scelto per il Movimento 5 Stelle. Ciò è accaduto in 19 casi su 20, per quanto – fatta eccezione di Torino e Roma – in comuni minori. Secondo molti commentatori comunque il segnale è fin troppo chiaro: il film di Renzi, quello della rottamazione della casta, non interessa più gli elettori italiani. Le vittorie dei 5 Stelle di Torino e Roma potrebbero ripetersi a livello nazionale, soprattutto se il sistema di voto sarà quello dell’Italicum che prevede un secondo turno di ballottaggio.
Un altro segnale del voto è che neppure il film anti-europeo e xenofobo del leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha ottenuto il gradimento degli italiani. Dopo il ritiro dalla scena del suo leader storico, Umberto Bossi, la Lega cercò di radicarsi nelle amministrazioni locali del nord del paese. Al ballottaggio del 19 giugno, la Lega ha perduto persino la guida del comune di Varese, dopo 23 anni di incontrastato dominio. Nonostante la continua presenza di Salvini in televisione, il suo tentativo di intercettare il vento populista che soffia in Europa si è risolto in un quasi fallimento. Così come la sua ambizione a ereditare la guida del centro-destra dopo la parabola discendete di Berlusconi.
Per molti versi la sconfitta del Partito democratico in una città come Roma poteva essere data per scontata. Le elezioni del 5 e 19 giugno sono state le prime dopo lo scandalo di Mafia capitale, un’inchiesta giudiziaria che ha direttamente coinvolto il partito del presidente del Consiglio. Ma occorre ricordare che anche il partito di Berlusconi è stato coinvolto nell’inchiesta. Quindi entrambe le formazioni politiche che hanno guidato l’Italia dai tempi di Mani Pulite sono state associate a un sistema di corruzione, questa volta gestito dai boss della criminalità. Il Movimento 5 Stelle ha cavalcato l’ondata di risentimento popolare che è scaturita dalla crisi che ha colpito la capitale (si legga l’articolo di David Broder tradotto da Internazionale, 17-23 giugno, p. 34).
Nulla del genere è accaduto a Milano, dove il confronto si è svolto tra due tecnici che ben incarnano la tendenza dei partiti della ‘seconda Repubblica’ a ricorre alla neutralizzazione del conflitto nei momenti di maggiore difficoltà. Occorre allora vedere se sarà Roma o Milano a guidare la volata verso le elezioni nazionali. Decisivo è a tal fine il referendum del prossimo ottobre, con il quale si deciderà se, come e quando gli italiani torneranno a prendere in mano il telecomando elettorale. Il modello delle elezioni di Milano è di tipo rituale, ossia quello di una democrazia che onora il popolo sovrano con un “inchino” (dandogli cioè l’illusione che sia lui a contare nel passaggio elettorale). Il programma non cambia e, nel caso di difficoltà, si ricorre ai tecnici per farlo passare come l’unica scelta razionale (o persino ovvia nella sua intrinseca efficienza).
Il modello delle elezioni di Roma mette viceversa in gioco il sistema politico o dei partiti, dal momento che si chiede al popolo un qualche “riconoscimento” (si veda Geminello Preterossi, Ciò che resta della democrazia, 2015, pp. 116-117). Il punto è che, come ricorda una trasmissione francese, le zapping reflète la télévision: il peut contenir des images non adaptées à un jeune public. Se prevale un disconoscimento, allora si apre un vuoto che deve essere coperto. E nel quale, oggigiorno, si insidiano con più facilità le forze populiste che esprimono la protesta post-democratica dell’elitismo tecnocratico piuttosto che una proposta alternativa.
Certo, a differenza di altri populismi, quello a 5 Stelle aggiunge alla protesta la proposta di un cambiamento radicale nel modo stesso di fare politica. Vedremo se è possibile quanto il Vice Presidente della Camera dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, scrisse il 28 marzo del 2015 su facebook (per poi ripeterlo a commento delle elezioni del 5 giugno): “Sarà una rivoluzione gentile della gente comune, di chi ha sempre vissuto onestamente e vuole cambiare le cose democraticamente. Sarà l’Italia della bellezza, contro l’Italia dei falsi e degli ipocriti. E noi abbiamo un vantaggio, i giovani (d’età o nello spirito) stanno con noi. È solo questione di tempo”.
Zapping.
Emidio Diodato
Professore associato di Politica internazionale
Università per stranieri di Perugia.
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