Di Alberto Casadei: Dante, Storia avventurosa della Divina Commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata.

Cura omeopatica preventiva contro quella prevedibile, epidemica diffusione di libri su Dante e la Divina Commedia che rischia di sommergerci nel 2021 dell’anniversario (un assaggio lo si è già avuto con A riveder le stelle di Aldo Cazzullo, libro su cui “il tacere è bello” per restare con il Sommo Poeta) è uscita, battendo tutti gli altri sul tempo, la Storia avventurosa della Divina Commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata (il Saggiatore, 2020, pp. 195, € 18) di Alberto Casadei.

Le credenziali dell’autore sono, credo, ampiamente note: ordinario all’Università di Pisa, studioso dell’Ariosto, di Montale, di Fenoglio, ecc., oltre che di Dante, con numerosissime pubblicazioni all’attivo, si spende in questa Storia per offrirci un ritratto del grande fiorentino e un’analisi delle sue opere sullo sfondo dell’Italia del  suo tempo chiarendo anche alcuni punti controversi della critica dantesca. Il titolo del libro potrebbe tuttavia portare fuori strada: nessuna concessione a letture “avventurose”, se per avventuroso intendiamo un Dante alla Dan Brown,  ma un volume invece di solide radici filologiche e, nello stesso tempo – qui uno dei suoi non pochi meriti –, rivolto anche a coloro che hanno solo ricordi danteschi vaghi e confusi.

Casadei infatti, interpretando nel modo più giusto la missione dell’Accademia, non ha mai cessato di occuparsi anche di didattica della letteratura italiana nelle scuole superiori, di cui ha, crediamo, tastato il polso, con il risultato di saper produrre un volume di alta divulgazione che, senza a nulla abdicare sul piano della dottrina, risulta, per chiarezza di scrittura e lucidità di argomentazione, di scorrevole fruizione. Di ciò che è uscito in questi anni, insomma, non saprei consigliare nulla di più adatto per chi vorrebbe riprendere il rapporto con uno degli autori più grandi della nostra letteratura e del canone occidentale, si tratti di studenti della scuola secondaria, o semplicemente, di persone interessate a vivere la “tempesta” dantesca prossima ventura con qualche cognizione di causa e un po’ di capacità di separare il grano dal loglio. Comunque, entrare nel dettaglio e seguire passo passo l’articolato discorso di Casadei, obbligherebbe a lunghe parafrasi. Ci limiteremo dunque a qualche osservazione di carattere generale.

Dante, di Agnolo Bronzino 1530 (immagine © Marsailly/Blogostelle)

In primo luogo assolutamente apprezzabile la scelta di non separare una sezione “vita” dalla discussione delle opere come in quei manuali su cui la mia generazione (i nati negli anni Cinquanta) ha cominciato a fare i conti con Dante. I cinque o sei anni di studiosa applicazione sulle prime due cantiche da parte del grande fiorentino e i sette che impiega per il Paradiso, per non parlare delle opere cosiddette minori, coprono un arco di vicende personali e storiche che hanno influito, lasciandone spesso un segno nei temi e nell’angolatura ideologica, sul prodotto poetico. Iniziata la stesura dell’Inferno Dante è costretto, “esul immeritus”, all’esilio; lontano da Firenze riprenderà l’opera interrotta (a partire dal V canto, ipotizza Casadei), con tutte le difficoltà di un intellettuale che va ramingo privato non solo dei suoi libri (probabilmente pochissimi, il libro era cosa preziosa nel Medioevo) ma, e ciò più conta, delle biblioteche di riferimento, per arrestarsi poi di nuovo, prima di concludere il Purgatorio, perché conquistato dal progetto imperiale di Arrigo VII di Lussemburgo. È il momento del rinnovato impegno politico, con la stesura della Monarchia e delle Epistole.
Dopo il fallimento della spedizione italiana dell’imperatore, che muore vicino a Siena nel 1313 senza aver piegato la città toscana, Dante rimette mano al Poema. Una “sfida”, per la “ancora più ardita progettazione”, titola Casadei il capitoletto dedicato: si tratta di “rendere narrativamente plausibili complesse questioni teologiche”, per la cui trattazione è probabile che Dante si “prepar[asse] adeguatamente”. Cade nella fase della stesura del Paradiso il rifiuto di rientrare a Firenze, nel 1315, a condizione di ammettere pubblicamente la propria colpa di corruzione (baratteria). Dante è ormai uomo sicuro di sé, dei propri mezzi e della sua missione. Un ruolo etico-profetico su cui getterebbe un’ombra ogni compromesso. L’esilio come destino diventa la solitudine per scelta dell’uomo giusto che non si piega alle avversità.

Cantica XII, « Paradiso », di Gustave Doré © Gallica/BnF

In secondo luogo, piace del libro di Casadei l’insistenza sul Paradiso: tutti coloro che sono entrati in un’aula di Liceo o all’Università con il compito di spiegare Dante cercando di vincere la naturale svogliatezza dei discenti avranno osservato come le maggiori difficoltà si incontrino con la terza Cantica. Gli studenti capiscono, e come non potrebbero, perfino i bizantinismi teologici ma sono spesso incapaci di sentirla propria, di viverla con quella immediatezza con la quale, siamo ben post-romantici per qualcosa!, si rapportano all’Inferno (soprattutto) e al Purgatorio. Ebbene, pur senza prodursi in un commento puntuale per il quale servirebbero migliaia di pagine, Casadei riesce nel compito difficile di avvicinarci al Paradiso chiarendone alcune fondamentali caratteristiche, quelle che, forse, in un contesto di conoscenze scientifiche come l’attuale, che ha reso familiare il concetto di scambio materia-energia a livello di particelle elementari, fa apparire la straordinaria costruzione dantesca meno strana di quanto non sembrasse all’epoca della fisica classica. “Il Paradiso”, spiega Casadei, “assume la valenza, diremmo oggi, di una realtà ‘virtuale’, fatta di luci sempre più eccelse, di melodie celestiali, ma pure di momenti di silenzio e di buio assoluti, quando Dante deve acquisire nuove capacità intellettive nonché, almeno in parte, corporee per procedere nella sua salita verso l’Empireo”. Una particolare disciplina di intelligenza e di affabulazione che culmina negli ultimi canti della Commedia, dove entrano in gioco, a partire dal XXX, “analogie e immagini che devono spingere il lettore a un ‘immersione completa’ nel non-luogo in cui è giunto”: “non siamo in uno spazio fisico”, spiega Casadei, ma in una “pure virtualità fatta di luce ormai alla massima intensità”. Vi era altra strada per avvicinare al mistero dell’Incarnazione? Straordinaria forza della poesia che rende concepibile (e rappresentabile) l’unione, nell’“essenza divina” della “pura astrazione e della concretissima carne”.

Terzo aspetto su cui vorrei richiamare l’attenzione è la messa a punto, da parte del critico pisano, di un plausibile, aggiornato canone dantesco. Ne rimane fuori quel Fiore, che un’illustre attribuzione ascriveva al Dante giovane, magari reduce da un viaggio in Francia, ne resta esclusa la Quaestio e, soprattutto quell’Epistola a Cangrande (quanti di noi, studenti di Liceo, sono impazziti sulla dottrina dei quattro sensi che vi era esposta, e che ci pareva sfuggente per i suoi accavallamenti logici?) che Casadei giudica come un’enfiatura prodotta a partire da un frammento autentico per mano di uno o più eruditi veronesi interessati a esaltare la figura di Cangrande legandola a colui che ormai appariva come il massimo scrittore dell’epoca.

Mi fermo qui, in una recensione che, come si è ormai capito, è dichiaratamente ‘per difetto’, per i tanti risvolti del Dante di Casadei lascia fuori. Un modesto invito alla lettura dunque, per un libro che, in solo duecento pagine, soddisfa non poche curiosità ed offre tante sollecitazioni.

Fulvio Senardi

Il libro:
Alberto Casadei
Dante. Storia avventurosa della Divina commedia
dalla selva oscura alla realtà aumentata
Il Saggiatore, Milano 2020 (https://www.ilsaggiatore.com/libro/dante/)
pp. 200, euro 18,00

L’autore:

Alberto Casadei è ordinario di Letteratura italiana all’Università di Pisa. Si è occupato di testi dal Tre al Cinquecento, e di poesia e narrativa contemporanee, anche in una prospettiva comparatistica e teorica. Ha pubblicato sulle principali riviste italiane e straniere, e ha tenuto conferenze in molte sedi internazionali. Fra i suoi ultimi studi, Stile e tradizione nel romanzo contemporaneo (2007), Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente (2011), Dante oltre la Commedia (2013), Letteratura e controvalori. Critica e scritture nell’era del web (2014),Ariosto: i metodi e i mondi possibili (2016), Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia (2018). Per PisaUniversity pressa ha pubblicato Nuove inchieste sull’epistola a Cangrande. Atti della giornata di studi (Pisa, 18 dicembre 2018). Esce ora per Il Saggiatore il suo volume Dante, Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, in cui ripercorre le tappe della Divina Commedia, dalla prima circolazione nelle mani di Boccaccio e Petrarca fino alle più recenti interpretazioni, artistiche e persino informatiche.

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Fulvio Senardi
FULVIO SENARDI ha insegnato nelle scuole e all’università in Italia e all’estero. Attualmente presiede l’Istituto Giuliano di Storia Cultura e Documentazione di Trieste e Gorizia. Oltre a numerosi saggi di argomento storico-letterario, traduzioni e curatele, ha firmato varie monografie. Fra di esse: Il punto su d’Annunzio (1989); Gli specchi di Narciso: aspetti della narrativa italiana di fine Millennio (2001); Il giovane Stuparich – Trieste, Firenze, Praga, le trincee del Carso (2007); Saba (2012). Sua la curatela di miscellanee che raccolgono gli atti di Convegni promossi dall’Istituto Giuliano: Scrittori in trincea. La letteratura e la Grande Guerra(2008); Riflessi garibaldini – Il mito di Garibaldi nell’Europa asburgica (2009); Silvio Benco, «Nocchiero spirituale» di Trieste (2010); Scipio Slataper, il suo tempo e la sua città (2013); Profeti inascoltati. Il pacifismo alla prova della Grande Guerra (2015)

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