Non poter dire addio ai propri cari è un lutto nel lutto. Gae Sicari Ruffo ci offre una riflessione sulla morte, sul bisogno di attenuare il dolore della perdita e la necessità di commemorare i ‘caduti’ in questa lotta contro il Covid-19.
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Nella guerra che si sta combattendo accanitamente contro il virus che ancora è tra noi, si è imposta la spietata legge della lontananza e della solitudine umana che impedisce, secondo le regole dettate alla comunità tutta per scongiurare il contagio, di stare vicini ai propri cari che in gran numero se ne vanno senza un saluto ed un ultimo abbraccio.
È una tragedia che non conosce limiti, un modo traumatico e disumano di relazionarsi con la morte e di vivere una sofferenza acuta. Siamo impietriti da questa realtà che non concede dilazioni di sorta e che ha un numero così elevato di vittime cui è negato l’onore del compianto e dell’ultimo addio.
Da sempre gli uomini hanno studiato risorse per attenuare il dolore della perdita della vita e creato alternative per consolarsi. Oltre ai grandi riti cristiani perenni è nata un’imponente arte funeraria, una musica perpetua per tutti i secoli ed una letteratura che ha spesso dialogato col sublime.
Più recentemente ricordo i caduti della Seconda Guerra mondiale che ultimamente abbiamo commemorato, commuovendoci al pensiero del loro estremo sacrificio, lontani dalle loro dimore e dalle loro famiglie. Finalmente, a distanza d’un secolo, dopo tante polemiche, hanno ricevuto il plauso di tutti, sono stati onorati con una medaglia di bronzo dalla benemerita regione Friuli Venezia Giulia e da tutta l’Italia, iscritti in un albo d’oro e i loro parenti accolti benevolmente con tutti gli onori, chiamati a rivivere i momenti drammatici della loro esistenza, a partecipare non solo a solenni riti religiosi, ma pure ad indimenticabili riconoscimenti pubblici (Link interno all’articolo).
Le pubblicazioni per ricordarli e ringraziarli sono state innumerevoli e molti problemi allora rimasti insoluti hanno trovato infine una decifrazione accetta.
Mai nessuno però avrebbe potuto immaginare la realtà di oggi. S’impone una necessaria riflessione. Anche ora più che mai ci sono tantissimi combattenti caduti in questa che è una guerra mondiale non dichiarata, senza nemici visibili, ma perfida ed oscena, che toglie qualsiasi identità e riconoscimento, riduce la persona ad un numero tra tanti, toglie ogni possibile conforto e consegna le ceneri del corpo al fuoco distruggitore.
Come ricordare le loro vite spente senza colpi di cannoni e bombe in angoli oscuri di ospedali, insufficienti a curarli a dovere, sovraffollati, lontani dai loro cari, soffocati da una malattia sconosciuta?
Ho visto con orrore le loro urne cinerarie ammassate in lunghe file di vagoni o di camion che le trasportavano. Non c’era nessun sacerdote che le benedicesse, né un poeta che come Foscolo sciogliesse per loro un carme che fosse eterno di fronte al sole che continua ad illuminare le rovine umane senza pianto.
Questo immane scempio dovrà essere pensato dai sopravvissuti con una pietà che dovrà superare le normali e consuete onoranze. Dovrà non solo penetrare la commemorazione e comprenderla, ma far rivivere i fatti taciuti, dare corpo a quelle ombre silenziose che non hanno potuto parlare, raccontare lo strazio dei corpi, ma soprattutto l’indicibile pena delle anime dolenti, sia quelle che si sono affidate a Dio, sia quelle che non hanno potuto, ma che sono state lo stesso accolte ‘dalle grandi ali del perdono divino’.
Vorrei tanto evocare l’armonia d’un tempo futuro forse avvenire che superi d’un balzo la miseria del presente e renda giustizia a chi non ha più la forza di gridare la propria esistenza cancellata con un tratto di penna sul lunghissimo elenco indefinito di vittime. Vorrei dir loro che non hanno vissuto invano, che hanno dato testimonianza di coraggio e di lotta estrema che non saranno mai dimenticati e che il mondo li abbraccia e che li onorerà sempre, finchè ci sarà l’ultimo vivente. Ci hanno solo preceduti in un’eternità che speriamo luminosa ed incorrotta.
Gae Sicari Ruffo
(Da Reggio di Calabria)
Sarà istuzionalmente possibile creare una giornata in memoria delle vittime di coronavirus? Già molti lo auspicano.
Sicuramente è solo un simbolo per commemorare e non dimenticare al quale deve far seguito una profonda revisione della sanità in Italia.
Cordialmente, Stefania Volta