3. Se la sinistra piange la destra non ride

La Crisi del blocco politico del dopoguerra coincide con la crisi delle ideologie e dei valori etici della politica. La lezione di Salvemini e la fine della rappresentatività dei partiti. La videocrazia e la democrazia percepita.


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In realtà in Italia, dalla metà del novecento, la DC e il PCI si erano storicamente controbilanciati. Fin quando questo era stato possibile, il confronto tra i due grandi partiti di massa aveva favorito l’equilibrio politico e per certi versi sociale dell’Italia. Ma gli effetti della crisi dei blocchi, conseguente alla fine dell’esperienza socialista, già esaminati sommariamente sulla sinistra italiana, si sono, in diverso modo, riprodotti anche sulla destra e sul centro del panorama politico italiano di quello che fu detta la I Repubblica.

Voliamo basso

Lo sfaldarsi dei valori ideologici, politici, ma direi anche morali, in senso laico, della società portarono il CAF e tutta la sua diramazione nel territorio ad una sempre più spregiudicata, corrotta ed affaristica gestione del potere, fino al determinarsi di una sorta di sommossa popolare degna dei “Vespri siciliani”. Con l’affare Chiesa nasce “Mani pulite” una sorta di rivoluzione dei magistrati, così almeno nella immagine popolare, che di fatto mise fine alla I Repubblica. Quel sistema di corruzioni, di soprusi portati avanti dal sistema espresso da Craxi (che non ha caso, qualcuno dell’attuale governo vorrebbe riabilitare), Andreotti (già ampiamente riabilitato) e Forlani . La balena bianca (la DC n.d.r.) s’inabissa definitivamente nelle acque melmose della politica italiana, risucchiando con se tutti i partiti satelliti che l’avevano da sempre accompagnata nella gestione del potere.

La politica italiana, composto da una destra e una sinistra che guardano al centro, perde il suo punto di osservazione. Guarda un vuoto da cui tutti scappano. Vieppiù, la fine del blocco socialista, il Patto di Varsavia, la perdita del nemico, non rende più credibile l’immobilismo politico italiano che ha garantito 50 anni consecutivi di governo alla Democrazia Cristiana (un record inquietante per una democrazia moderna. N.d.r.).

Di fronte alla fine del “garante”, al “garantito” per eccellenza, non rimane che uscire allo scoperto. Nel 1994 il cavaliere, al secolo Silvio Berlusconi, scende in campo. Contro di lui vi è quella che fu definita la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, ultimo segretario del PCI e primo segretario del PDS (Partito Democratico di Sinistra), che diverrà DS (Democratici di Sinistra) e che poi, fondendosi con una “costola” della DC, La Margherita, darà vita all’attuale Partito Democratico.

Al cospetto di una crisi ideologica a cui non si dà risposta è finanche evidente che la “gioiosa macchina da guerra” finisse la sua corsa rovinosamente e che si spalancassero le porte ad una destra che è percepita erroneamente quale nuova. Salvemini, noto socialista, era solito dire che essere di destra è facilissimo, basta seguire il ferino istinto dell’uomo che è, per atavica abitudine alla sopravvivenza, indotto più verso quei disvalori (oggi largamente dominanti) che verso quelle regole e valori condivisi che si dà una sana società. Quella “nuova destra” assomma cinismo, egoismo, egocentrismo, sopraffazione del più debole, arrivismo, ed altro ancora, al sogno di farsi da se (incarnato dalla stessa storia di Berlusconi, e da come questa storia si sia compiuta). L’unica cosa che importa è la propria famiglia con tutto quello che si può immaginare dietro una visione così asfittica della società su cui è inutile dilungarsi.

Un qualunquismo brutale e selvaggio che ritrova in quel leader quei tratti ferini di cui parlava Salvemini.
Tuttavia, questa “nuova destra” è nuova solo nella concezione dello strumento partito, inteso come un’azienda, attenta al marketing, ai sondaggi, che non ha bisogno, sostanzialmente, di riflessioni o dibattiti interni, figurarsi di congressi, ma è molto simile negli scopi, non nei metodi, al fascismo. La sua forza persuasiva avviene non con l’intimidazione o la grossolana violenza fisica, ma attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione ed informazione, riuscendo a proiettare un’immagine della realtà che non corrisponde alla realtà medesima. Proiettando pretesi e rassicuranti modelli vincenti, che in realtà sono espressione di quello che chiamiamo con un neologismo “disvalori”.
Della cultura liberale, non eredita nulla.
Credo che qualunque sincero liberale potrà convenire che raramente si è visto, ad esempio, un governo così accentratore, monopolista, legato ad un affarismo spregiudicato, che vede la politica e il mercato identificarsi spesso nelle stesse persone, come oggi. Il tutto in un’assenza totale di regole e con leggi che senza alcuna logica, non seguono gli interessi del paese ma solo quelli economici del patron del partito-azienda e delle sue congiunturali necessità. Naturalmente il governo deve mantenere la sua maggioranza tra gli elettori, in tal senso basta qualche legge popolare o populista per garantire il consenso. La straordinaria macchina mediatica in possesso di diverse “democrazie” occidentali garantisce non solo la diffusione dell’immagine del governante, ma esercita una indubbia forza attrattiva e persuasiva sugli elettori.
L’Italia di Berlusconi ha fatto in tal senso scuola, e per questo già sembra avere dei discepoli attenti come il francese Sarkozy.

Semplifico parlando di televisione, ma penso al controllo di tutti i mass-media che oggi non raccontano la realtà, oppure la raccontano solo parzialmente e con tempi e modi atti a plasmare la coscienza e le convinzioni dei cittadini. Al diverso uso dell’informatica che solo apparentemente crea socializzazione ma che più spesso induce all’isolamento, allo straniamento dalla realtà empirica, alla superficialità e all’imitazione di modelli più che all’espressione originale della propria identità.
Siamo al Grande Fratello, non il noto reality televisivo, ma quello di Orwell.

Ecco quindi che si creano fenomeni sociologici nuovi, quali la “sicurezza percepita”, “l’economia percepita”, cioè non reali, ma che costituiscono allarme e convinzione in molte persone disorientate dall’assenza di una informazione oggettiva. Ecco allora che, ad esempio, il governo fa una legge contro gli immigrati, i quali sono percepiti (grazie ai mezzi di comunicazione) come pericolosi, oppure un’altra contro la microcriminalità e, non importa che questo fenomeno sia ormai da anni in regresso e che le statistiche, quelle vere, dicono che la maggior parte degli omicidi in Italia avvengono tra le mura domestiche all’interno della famiglia, seguito dai delitti legati alle grosse organizzazioni mafiose e che molto dietro vi sono i delitti da microcriminalità, la gente percepisce quel pericolo e quindi plaude al pressoché inutile provvedimento di legge.
L’alternativa a questa disgregazione sociale e a questo disorientamento, non c’è perché manca, sia a destra che a sinistra, una credibile alternativa politica ed ideologica. Manca quel sistema d’idee e principi su cui si fonda un progetto politico di trasformazione della società.
E’ bene ricordare che ogni dittatura si afferma quando una società è disgregata e disorientata.
Basta avere un po’ di memoria storica e ricordare tristi ed illustri precedenti.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.