“Tempo e lavoro. Storia, psicologia e nuove problematiche” è un libro di Pierenrico Andreoni che mette affianco i due termini da sempre oggetto di analisi e confronto tra storia, psicologia e attraverso le nuove problematiche socio economiche. Uscito nel 2005 è un’opera che coniuga poesia ed esistenza per un tema che spesso sembra solo per fredde analisi politiche ed economiche. Un indubbio contributo per il nostro mensile.
Può sembrare un titolo impegnativo, troppo impegnativo ed invece assume un significato riflessivo, che proprio non guasta. Vedete che incipit.
“La luce accettò la notte, la ingoiò, si tinse di buio: il colore informe della notte. Poi la notte si lasciò invaghire dal traballante luccichio che proveniva da uno sconosciuto tempo lontano e reiterato, nel lungo farsi della luce, che produce il colore del giorno, che appare all’alba, estrema ebbrezza dell’aurora: la balbettante dalle dita di rosa, appare il flebile annuncio della rugiada, che segnala il trasmigrare dalle tenebre. La luce ritornò ed ingoiò la notte e distese, nel tempo che le rimaneva, il mantello pieno di luci che inventa i colori nella inevitabile attesa del loro affievolirsi, per riaccettare la notte. In questa reiterata danza noi viviamo. E in questo spazio che l’anima misura il tempo…”
Partendo da questa intensa poetica dell’essere, Pierenrico Andreoni ci conduce per mano con il suo libro “Tempo e lavoro. Storia, psicologia e nuove problematiche” (Bruno Mondadori, 2005 pp.292, euro 16,00) alla riscoperta del tempo, quello maiuscolo, del quale non ne riconosciamo talvolta le coordinate, se non quelle legate a delle lancette che segnano i movimenti e la fisiologia dell’uomo moderno, perseguendo (suo malgrado) una “soggettività rimossa”.
L’anima, il tempo, il lavoro. L’uomo immerso in un universo di obblighi e leggi che talvolta prescindono dal suo tempo individuale, quello soggettivo e cairologico, dove “le affezioni costituiscono l’unica misura effettivamente sperimentabile che possa dare un senso alla nostra permanenza nel mondo…”
Perfino nelle cure mediche – sostiene Andreoni – lo scopo appare sempre di più come il tentativo di prolungare la permanenza cronologica nel tempo (…) il nobile tentativo di un aumento della qualità del benessere nel tempo che accompagna alla fine”.
Eppure Borges scrive “Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume…”
Ma il tempo è altro da noi oppure siamo noi a determinarne la scansione? Interrogativi che Andreoni – quale docente di Psicologia del lavoro – lascia affiorare, cercando spiegazioni logiche in conflitto con quelle filosofiche e poetiche. Come nell’Infinito di Leopardi: i poeti e gli artisti – asserisce – collocano la loro creazione fuori ed oltre il tempo cronologico.
Ma è nel ripensare il tempo che ci consente di rifondare il concetto di lavoro, partendo dalla “soggettività e dalle relazioni tra gli uomini, per la creazione di un senso soggettivo e sociale”.
Andreoni affonda la sua analisi fino al mondo greco e romano, ai concetti di libertà e di schiavitù. Ad Atene, i cittadini tenevano in grande disdegno tutte le attività che comportassero fatica fisica, secondo la concezione platonica che vedeva la bellezza dell’anima andare di pari passo con quella del corpo, e quindi ogni attività che deformasse il corpo, abbruttiva anche l’anima.
Fino all’età moderna (spiega l’autore) non esisteva una vera e propria classe operaia, ovvero una classe priva di proprietà che deve la sua sussistenza alla sola opera delle sua mani. Il cosiddetto lavoro libero altro non era che l’opera di liberi negozianti, commercianti e artigiani.
L’animal laborans, nel corso della storia, ha avuto varie incarnazioni nelle eterne forme di schiavitù dal lavoro e per le necessità vitali.
L’avvento della tecnica come condizione universale ha assunto un ruolo totalizzante fino a dissolvere tutte le altre attività umane, con la perdita di creatività ed abilità individuali. La tecnica, quindi, che domina la natura e domina l’uomo. Secondo il filosofo Umberto Galimberti l’unica categoria che si pone all’altezza dello scenario dischiuso della tecnica è quella di assoluto, inteso come “sciolto da ogni legame”, quindi da ogni orizzonte di fini e di condizionamenti. Mentre nell’età pretecnologica era possibile riconoscere l’identità di un individuo dalle sue azioni, perché queste – scrive ancora Galimberti – erano lette come manifestazioni della sua anima, oggi le azioni dell’individuo non sono più leggibili come espressioni della sua individualità, ma come possibilità calcolata dell’apparato tecnico.
Nella breve storia culturale del lavoro, Andreoni analizza tutte le istanze che emergono nei percorsi dell’uomo fra lavoro, capitalismo e marxismo, fino all’attuale società postindustriale. Non più produzione di beni, bensì programmazione dell’innovazione, con il sapere quale nuova attività produttiva. Parla infine di come ripensare il lavoro, non trascurando le aspettative. Rispetto alle epoche passate, l’uomo contemporaneo occidentale non è mai stato così protetto: non è invulnerabile – sostiene l’autore – ma è fortemente garantito.
Sebbene tali garanzie vanno man mano riducendosi. Nuove figure nel mondo del lavoro avanzano: il precario, il flessibile e a tempo determinato, lavoratori a rischio.
Oggi siamo tutti flessibili…in un tempo che vorremmo sempre più liberato dal lavoro.