Pascoli. La voce alla poesia: La mia sera.

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Pubblicata la prima volta su «Il Marzocco» del 21 ottobre 1900, la poesia, nel racconto di una giornata tempestosa seguita dalla quiete serale (racconto che recupera un motivo leopardiano), ha un evidente significato metaforico e autobiografico (evidenziato, quest’ultimo, dal “mia” del titolo). Lo stesso Pascoli scriveva il 29 ottobre 1901 ad Alfredo Caselli: «Caro caro caro amico del mio tramonto! Ma il tramonto sarà, spero, luminoso più d’un’alba. Leggi La mia sera».

L’idea che la poesia (il «rivo canoro» del v. 18) tragga alimento dalle tempeste della vita, era stata esplicitata, con parole molto simili, anche nella prefazione ai Primi poemetti: «Sappiate che la dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno nell’intima cavità del dolore passato. Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero».

Il testo, che si presenta come un concentrato di espressioni e di immagini tipicamente pascoliane (dal gre gre delle ranelle alle «tacite stelle», dalle «tremule foglie» al «cupo tumulto», dall’«ultima sera» alla «garrula cena»), si chiude con il tema del ritorno al proprio passato, che è un ritorno al grembo materno: un viaggio a ritroso sollecitato, come nella poesia L’ora di Barga, dal suono delle campane e accompagnato, secondo una costante pascoliana, dall’annullamento della coscienza («sentivo mia madre… poi nulla…»).

La mia sera

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre[1] di ranelle.[2]
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre[3] una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera![4]

Si devono aprire le stelle[5]
nel cielo sì tenero[6] e vivo.
Là, presso le allegre[7] ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto[8]
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita[9] in un rivo canoro.[10]
Dei fulmini fragili[11] restano
cirri di porpora e d’oro. [12]
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.[13]

Che voli di rondini intorno!
che gridi[14] nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.[15]
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.[16]
Né io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

DonDon… E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi![17]
là, voci di tenebra azzurra…[18]
Mi sembrano canti di culla,[19]
che fanno ch’io torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.

Metro. Storfe di novenari, concluse da un senario. Le rime sono alterne, con due casi di rime ipermetre ai vv. 19 e 34. Ogni strofa si conclude con la parola sera.

[1] gre gre: si noti che l’onomatopea viene qui grammaticalizzata e diventa sostantivo.

[2] ranelle: raganelle (piccole rane verdi).

[3] trascorre: percorre (il soggetto è una gioia leggiera).

[4] giorno… sera: il chiasmo sottolinea la diversa situazione tra la tempesta del giorno e la pace della sera.

[5] Si… stelle: devono apparire le stelle. Pascoli utilizza, qui e altrove, una metafora, che assimila le stelle ai fiori.

[6] tenero: fresco (per la pioggia che è caduta di recente).

[7] allegre: aggettivo onomatopeico, che contribuisce a ricreare il verso delle ranelle.

[8] dolce singulto: dolce singhiozzo (ossimoro).

[9] infinita… finita: figura etimologica.

[10] rivo canoro: la tempesta si è conclusa creando un ruscello (rivo) che sembra cantare. Ma l’espressione ha anche un valore metaforico: le tempeste della vita hanno fatto scaturire la poesia pascoliana.

[11] fragili: aggettivo scelto per la sua sonorità, ma anche perché rimanda alla breve durata di un fulmine (il significato etimologico, dal latino, è: “che si spezzano con facilità”)..

[12] cirri… d’oro:piccole nuvole (cirri) rosse e dorate (sono i colori del tramonto).

[13] nell’ultima sera: a tarda sera.

[14] gridi: sono i canti delle rondini.

[15] La… cena: la fame sofferta durante il giorno, fa sembrare più lunga e più abbondante la cena canora.

[16] La… intera: durante il giorno, gli uccellini (i nidi) non ebbero mai un pasto completo, come quello di ora, che pure è piccolo.

[17] Don… Dormi!: sia l’onomatopea (Don… Don…) che gli imperativi Dormi! (in quadruplice anafora) riproducono il suono delle campane.

[18] voci… azzurra:il suono delle campane è una voce impalpabile come l’aria, è una voce che sembra provenire dal cielo.

[19] canti… culla: ninne nanne.

Testi e note tratti dall’antologia poetica “Giovanni Pascoli” (Firenze, Le Monnier-Univerità, 2011), di Giovanni Capecchi.

L’antologia di Giovanni Capecchi su Giovanni Pascoli si propone di dar conto dell’importanza e della complessità dell’opera pascoliana, prestando la dovuta attenzione alle raccolte poetiche “principali” (da Myricae ai Primi poemetti, dai Canti di Castelvecchio ai Poemi conviviali), senza trascurare le poesie giovanili – analizzate mettendo in evidenza elementi di continuità con la produzione successiva e aspetti originali e unicamente legati ad una stagione vitale e a tratti goliardica – e il lungo tramonto da poeta bifronte, “vate ufficiale” che canta il Risorgimento nazionale ma anche uomo che sperimenta la solitudine di fronte alla morte che incombe e la vanità di tutte le cose.

LINK AL DOSSIER TEMATICO ALTRITALIANI DEDICATO A “GIOVANNI PASCOLI”

https://altritaliani.net/category/dossiers-tematici/giovanni-pascoli/

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Giovanni Capecchi
Giovanni Capecchi è nato e vive a Pistoia (Toscana). E’ professore associato di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia. Ha dedicato i suoi studi soprattutto all’Ottocento e al Novecento, seguendo alcuni filoni di ricerca: l’opera di Giovanni Pascoli, la letteratura e il Risorgimento, la letteratura della grande guerra, il romanzo nel Novecento.

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