Non è facile spiegare perché il governo ha responsabilità nell’attuale crisi economica.
Può aiutarci l’impiego di alcune metafore economiche.
L’analogia tra la politica e il mercato e, quindi, l’immagine della democrazia come di una competizione oligopolistica che ha per oggetto il voto popolare, sono alla base della scienza politica novecentesca. Alla fine del secolo scorso, quando giungeva al tramonto l’esperienza della cosiddetta Prima Repubblica italiana, Alfio Mastropaolo (Il ceto politico, Roma 1992) avanzò la proposta di fissare un’analogia ancor più stringente tra politica ed economia introducendo la metafora dell’”inflazione d’autorità”. A livello economico l’inflazione è offerta in eccesso di moneta. A livello politico è offerta in eccesso d’autorità, considerando quest’ultima come un medium simbolico che svolge un ruolo analogo al denaro per il funzionamento del mercato politico.
Secondo Mastropaolo, la metafora dell’inflazione poteva funzionare in tutte le democrazie, ma soprattutto per quella italiana. Anzi, la Prima Repubblica si era caratterizzata proprio per un singolare processo inflazionistico o di dispersione d’autorità. A fronte del fatto che non era possibile un’alternanza al governo, poiché il Partito comunista non poteva essere cooptato a pieno titolo nel processo di legittimazione democratica, si tacitava l’opposizione mediante l’offerta di sempre nuovi spazi pubblici di para-governo e di governo periferico. In tal modo l’autorità era inflazionata, ma ciò serviva come alternativa funzionale all’impossibilità di un duopolio perfetto tra Democrazia cristiana e Partito comunista, ovviamente entro l’arco costituzionale.
Sennonché, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta questo modello inflazionistico iniziò a scricchiolare. Per Mastropaolo fu la marcia dei quarantamila quadri Fiat il 23 ottobre 1980, a Torino, a segnare la morta della Prima Repubblica (poiché certificò il dissolversi della mobilitazione simbolica rappresentata dal movimento operaio). Probabilmente occorrerebbe risalire a qualche anno prima e all’omicidio di Aldo Moro. Ma sta di fatto che la stagione avviata dai governi Craxi, negli anni Ottanta, segnò una svolta importante che Mastropaolo ha spiegato molto bene e sempre riferendosi all’economia. A suo avviso, la crescita del debito pubblico italiano iniziata a quel tempo – e di cui in questi giorni paghiamo il saldo – fu un’alternativa funzionale al primo modello della dispersione dell’autorità. Nel senso che, con la riduzione dell’inflazione (quella reale o del denaro), i governi iniziarono a manovrare l’autorità inflazionata non più aumentando l’offerta di spazi pubblici, ma incoraggiando costose pratiche di spartizione di risorse finanziarie ottenute grazie al debito.
Ma c’è dell’altro in questo passaggio – un qualcosa che, in realtà, Mastopaolo ha osservato solo marginalmente. Alla politica del debito si accompagnò il protagonismo del capo del governo (Craxi) e il suo abile uso di politiche simboliche, impiegate per occultare la politica del giorno per giorno. Ciò avvenne “sollevando continuamente nuovi temi a scapito della soluzione dei problemi” (p. 159, in nota). Questa osservazione è molto preziosa, perché ci consente di cogliere il passaggio dalla metafora dell’inflazione d’autorità non tanto al dato oggettivo (ed economico) del debito pubblico, quanto a quello altrettanto simbolico e metaforico della “finanziarizzazione della politica”. In altri termini, nel momento in cui l’inflazione si riduceva in economia, ma aumentava il debito pubblico mediante il ricorso al credito, qualcosa di analogo accadeva in politica: dall’inflazione di autorità per tacitare l’opposizione comunista e il movimento operaio, si passava al decisionismo solo apparente del leader, quindi a un personalismo basato sulla quotidiana ricerca di credito a dispetto della concreta attuazione di politiche incisive (ciò che abbiamo definito, appunto, finaziarizzazione della politica).
Capire questo passaggio può oggi tornare utile. Serve a comprendere i falliti tentativi delle manovre economiche dell’attuale governo. Il ciclo ventennale di Berlusconi è al capolinea perché è giunta al tramonto la finaziarizzazione della politica avviata con Craxi. Il fallimento delle rassicurazioni di Berlusconi dei mesi scorsi, vere e proprie esortazioni all’ottimismo basate sulla presunzione che si trattasse di un problema di credito dei mercati, non segnala soltanto l’errore economico di non aver compreso la gravità della crisi finanziaria, ma l’errore politico di non aver compreso la fine della seconda fase del modello d’inflazione di autorità o, meglio, del primo modello di finaziarizzazione della politica.
Questa considerazione serve inoltre a capire il ruolo dell’Europa, impegnata a evitare che il “genio” italiano trovi un nuovo modello inflattivo o speculativo grazie al quale il ceto politico riuscirebbe a sopravvivere alla crisi della Seconda Repubblica, così come riuscì a sopravvivere alla Prima. La differenza, però, è che oggi c’è l’euro, non più la lira; e un’analogia asimmetrica tra medium economico europeo (il denaro) e medium politico nazionale (l’autorità) non può reggere. Ecco perché quanto accade in Italia riguarda l’Unione europea – altro che attentato all’autorità nazionale, come va ululando l’ex giudice della Prima Repubblica, Di Pietro.
(Nelle foto dall’alto in basso: La marcia dei quadri intermedi della Fiat negli anni ’80; Moro cadavere; Craxi e Berlusconi a mare).
Emidio Diodato
(Politologo dell’Università per Stranieri di Perugia)