Le parole di Trump sul Canada. 51° Stato USA?

Ci arriva questa riflessione di Claudio Antonelli, un “altro” italiano che vive da anni a Montréal. Donald Trump ha (davvero) intenzione di annettere il Canada? Idea realistica o provocazione? In ogni caso, questa dichiarazione del nuovo presidente americano stabilisce il tono delle future relazioni tra i due vicini.

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Donald Trump ha esordito nel peggiore dei modi nei confronti del Canada, suo fedelissimo alleato. Il neoeletto presidente ha minacciato tariffe del 25% sulle importazioni dal Canada; che ha trattato inoltre da assistito economico degli USA e da parassita e scroccone sul piano militare perché godrebbe, a sbafo, della protezione statunitense. Ha quindi proposto che il Canada abbandoni la propria sovranità e diventi il 51° Stato USA.

Certe stravaganze del presidente USA si associano ad un’imprevedibilità che sfiora talvolta l’irrazionalità. Da tener conto però che il confine con gli Stati Uniti, scarsamente controllato dalle autorità canadesi a causa anche della sua enorme stensione, preoccupa legittimamente il governo americano sia per l’immigrazione illegale sia per l’afflusso di stupefacenti.

Il messaggio di Trump è forse solo un “ballon d’essai”. Sono da aspettarsi comunque misure unilaterali svantaggiose per il Canada. Trump non sembra avere gran rispetto di uno Stato-nazione come il Canada, suo confinante ed amico, che ha una propria identità storica ben distinta: l’indipendenza canadese, al contrario dell’americana, non ha richiesto una rivoluzione né ha conosciuto una guerra civile.

Credo che Trump con queste sue estemporanee uscite sul nostro Canada abbia perso una notevole dose di credibilità anche presso coloro che non disdegnavano la sua irruenza contro il politicamente corretto, la sua difesa dei valori tradizionali e la sua implicita difesa dell’uomo bianco occidentale, assurto nell’epoca odierna a personificazione del male. Il suo tono e le sue parole nei confronti del Canada rassomigliano, purtroppo, allo stile di uno spregiudicato palazzinaro che, intenzionato a concludere un colossale affare immobiliare, ricorresse a velate minacce condite però di qualche lusinga.

Donald Trump e Justin Trudeau

Il governo del Canada è attualmente fragile: dovrebbero ben presto esserci le elezioni federali. Chi dovrebbe scendere in campo, oggi, per difendere il Paese? I canadesi dovrebbero prendere coscienza del carattere declinante dell’identità del proprio Stato-nazione. Il messaggio di Trump dovrebbe suonare la diana del risveglio e suscitare un sentimento di coesione e di unità tra i canadesi. Sarebbe anche l’occasione per sottoporre a vaglio critico i risultati di una certa ingegneria politico sociale, voluta da Pierre Trudeau e perfezionata dal figlio Justin, che abbonda di universalismo e di mondializzazione attraverso il culto dei diritti umani e un individualismo di stampo britannico che difetta di spirito unitario. Diciamolo: il gran pericolo per il Canada è di apparire sempre più come un contenitore di nazionalismi importati, i cui aderenti sono pronti a confrontarsi e a scontrarsi nel nome delle loro lontane patrie di origine.

I temi che andrebbero approfonditi per una migliore comprensione di ciò che è l’identità canadese e di quanto sta accadendo tra il Canada e gli USA sono vasti: i rapporti tradizionali USA-Canada, i fattori dell’identità canadese tra cui il dualismo francese-inglese, il patto federativo, il multiculturalismo di Stato, il bilinguismo, i rapporti tra le province, un certo comunitarismo di stampo tribale, la tragedia degli aborigeni, l’immigrazionismo, la mondializzazione consumistica e culturale, il crollo dei miti tradizionali di fondazione del Paese, un passato storico che il “wokismo” odierno considera un insieme di nefandezze, l’idea dello Stato transnazionale cara a Justin Trudeau, il colonialismo culturale americano, ecc.

Un Canada 51° Stato USA segnerebbe inoltre la fine della realtà politica, sociale, culturale che il Canada ha ereditato dalla Nouvelle France. In effetti, il mare anglofono da cui i francofoni del Canada sono circondati, come essi spesso ripetono, rischierebbe di divenire per loro un oceano dove è facile l’annegare. Come è avvenuto per il carattere francese della Luisiana. Che si rifletta quindi sull’importanza che il Québec e i franco-canadesi hanno nella definizione dell’identità del Canada intero. Il carattere francese del Québec, provincia canadese, è al cuore stesso della diversità del nostro Paese rispetto agli USA.

Con l’elezione di Donald Trump, ai tradizionali caratteri distintivi e divisivi esistenti tra Canada e USA si è aggiunta una contrapposizione ideologica riguardo al “politicamente corretto”. Ricorderò che Justin Trudeau, la prima volta che incontrò Giorgia Meloni, le rivolse a muso duro l’accusa di rappresentare un governo considerato da lui pericoloso per la comunità Lgbtq+; la quale, nel multiculturalismo canadese, ormai si appaia alle varie comunità distinte tra loro per origine nazionale. Essa è un’altra tessera, insomma, del virtuoso mosaico.

Fu il padre di Justin: Pierre Trudeau, che da primo ministro del Canada introdusse nel 1968 un progetto di legge, poi adottato, a favore degli omosessuali. È sua la frase, divenuta celebre in Canada: “Noi non invieremo la polizia nelle camere da letto per vedere cosa succede tra adulti maggiori, consenzienti, in privato. […] Noi estromettiamo dal Codice Penale l’idea del peccato.” Ma l’idea del peccato, da allora, ha fatto un enorme balzo in avanti lasciando alle spalle la camera da letto: sono considerati peccatori, oggi, quelli che si dimostrano timidi nell’applaudire la comunità LGBTQ+ che si arricchisce continuamente di nuovi attivisti.

Il Canada sotto la guida di Justin Trudeau si è fatto il campione mondiale del “wokismo”. In questo Paese, il rivolgersi a chi si sente maschio, ma è nato femmina, usando il pronome femminile, o viceversa, è « offensivo, degradante, e riduttivo » ha stabilito un tribunale. La complicazione per tutti noi, ben decisi a non violare i diritti dei trans, nasce dal fatto che chi ci appare donna, può sentirsi invece uomo, e chi ci appare uomo, può sentirsi donna.

La vittoria di Trump ha intaccato l’egemonia detenuta in Nord America, Messico escluso, dal politicamente corretto e dal pensiero unico. Infatti, a Kamala Harris, donna multiculturale, multirazziale, femminista gli elettori e le elettrici USA hanno preferito un maschio bianco dai tanti difetti: Trump, accusato di essere un reazionario, un populista, un macho, un puttaniere.

Con il cambiamento al vertice che avverrà in Canada in seguito alle prossime elezioni, e con la frustata inflitta da Trump al Canada, trattato come una succursale degli USA, si assisterà forse al risveglio dei canadesi nei confronti del modello identitario nazionale; che un tempo era basato sul principio della dualità, o delle due nazioni, ma che sembra ormai finito ai ferri vecchi, con l’abolizione inoltre del passato e dei miti fondativi del Paese.

Justin Trudeau sembrava fino a ieri marciare tranquillo lungo il sentiero della sua ridefinizione del Canada, da lui considerato quasi come un paese postnazionale, transnazionale, globalizzato, perché improntato ad una gloriosa diversità: il multiculturalismo che sarebbe il suo nuovo fattore unitario. Ma, specularmente, anche il “melting pot” americano, entrato in crisi nel corso degli anni, avrà bisogno di essere rivitalizzato: uno dei tanti compiti che attendono Donald Trump, l’imprevedibile.

Quanto al multiculturalismo canadese ritengo che i nuovi arrivati dovrebbero imporsi un fondamentale dovere di lealtà verso la nuova patria. Non si può obbligare, beninteso, chi è venuto qui già adulto, ad abolire i propri valori culturali e sentimentali. Ed è bene cercare di trasmettere ai figli la ricchezza del proprio mondo di partenza, ma non certo le fiaccole di ingiustizie storiche – vere o presunte – subite per mano di antichi nemici. Non si dovrebbe alimentare in loro un senso di vittimismo etnico o religioso. I padri non dovrebbero incoraggiare i figli, nella terra del giglio e della foglia d’acero, a diventare nazionalisti in nome di altri simboli nazionali e di altre bandiere, o di sottomettersi al giogo di testi sacri intrisi di fanatismi e superstizioni.

Claudio Antonelli

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Claudio Antonelli
Claudio Antonelli (cognome originario: Antonaz) è nato a Pisino (Istria), ha trascorso la giovinezza a Napoli, oggi vive a Montréal (Québec, Canada). Bibliotecario, docente, ricercatore, giornalista-scrittore, è in possesso di diverse lauree in Italia e in Canada. Osservatore attento e appassionato dei legami che intercorrono tra la terra di appartenenza e l’identità dell’individuo e dei gruppi, è autore di innumerevoli articoli e di diversi libri sulle comunità di espatriati, sul multiculturalismo, sul mosaico canadese, sul mito dell’America, su Elio Vittorini, sulla lingua italiana, sulla fedeltà alle origini e la realtà dei Giuliano-Dalmati in Canada, sull’identità e l’appartenenza...

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