Nel Dossier dedicato ai 30 anni dalla scomparsa di Leonardo Sciascia, ospitiamo un breve intervento di Salvatore Pappalardo, docente di Letterature comparate alla Towson University di Baltimora. Pappalardo racconta cosa significa, oggi, insegnare Sciascia oltreoceano.
*
Il trentesimo anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia rappresenta un importante momento di riflessione sulla sua opera e sul suo ruolo di intellettuale nella storia della cultura siciliana e italiana. Cercherò quindi di riflettere sulla sua opera, ma lo farò in maniera obliqua, forse anche paradossale, da una prospettiva cioè esterna al contesto siciliano e italiano.
Sono docente di letterature comparate in un dipartimento di letteratura inglese negli Stati Uniti, più precisamente alla Towson University, una università statale che si trova a Baltimora, a metà strada tra Washington D.C. e Philadelphia, a due ore di treno da New York. Insegno dunque a studenti americani che, pur preparati e mossi da curiosità intellettuale, spesso non conoscono bene il mondo italiano e europeo. L’anno scorso ho tenuto un corso sul postmodernismo europeo, che si è sviluppato cronologicamente dal secondo dopoguerra fino ad arrivare ai giorni nostri. Nel piano di letture figuravano due opere di Leonardo Sciascia: Il giorno della civetta e Il consiglio d’Egitto. A queste opere facevano compagnia alcuni scritti di Samuel Beckett, Jeanette Winterson e Elena Ferrante. Non avevo dunque incentrato il corso su Sciascia e sull’America, impostazione che mi avrebbe spinto a includere Gli zii di Sicilia in conversazione con altri testi, come per esempio i racconti di Maria Messina o Nuovomondo di Emanuele Crialese. Il corso era infatti nato come esplorazione di temi letterari, storiografici e filosofici del secondo Novecento europeo; grazie a Sciascia, tuttavia, le discussioni con i miei studenti, una trentina di laureandi, hanno preso una piega diversa.
Per quasi tutti gli studenti, questo è stato il primo incontro con Sciascia. Il loro approccio iniziale è stato un misto di cauto scetticismo e profonda curiosità. La prima questione è sorta dopo la lettura de Il giorno della civetta a proposito del rapporto tra l’operato del capitano Bellodi e l’immagine della civetta dell’Enrico VI di Shakespeare, evocata nell’epigrafe che apre il romanzo. Gli studenti hanno compreso presto la strategia di Sciascia: il protagonista Bellodi, ex partigiano che prima della mafia aveva combattuto il fascismo, appare come la civetta notturna del testo di Shakespeare (“like the owl by day, If he arise, be mock’d and wonder’d at”) che, presentandosi di giorno, stravolge i paradigmi di riferimento. Bellodi suscita un misto di sconcerto e derisione negli altri personaggi del romanzo quando la sua indagine diventa un attentato al potere sociale, economico e politico della mafia. A una popolazione studentesca che spesso conosce la questione mafiosa solo attraverso il filtro della cinematografia americana ho spiegato il potere totale e totalitario della mafia all’interno del romanzo di Sciascia. Ne è emersa una questione interessante, con studenti che hanno posto le seguenti domande: quale rapporto intercorre tra mafia e fascismo? Esiste un’ideologia della mafia? Secondo quali dinamiche sociali e politiche il fascismo appare come criminalità organizzata intenta a sottomettere il potere economico dello stato? Gli studenti sono giunti alla conclusione che se la mafia, con la sua corruzione sistematica, si presenta come anti-stato, il fascismo opera con la stessa corruzione strutturale, anche se all’interno dell’apparato statale, ergendosi a ideologia che si sovrappone allo stato stesso. La conclusione cui sono giunti i miei studenti è che le differenze si trovino nella posizione e nella prospettiva di base: con procedure simili la mafia opera in alternativa allo stato, il fascismo ne strappa la rappresentanza unica e assoluta.
Per un pubblico americano la lettura de Il consiglio d’Egitto richiede una contestualizzazione storica della Sicilia all’interno di una geografia politica spesso ignorata. Suscita interesse la mia collocazione della Sicilia nell’ambito di un mediterraneo arabo e islamico, contesto che fa da cornice alla menzogna saracena dell’abate Vella, il quale produce due documenti storici falsi che riscrivono la storia spostando gli equilibri di potere nell’isola. A molti miei studenti è sfuggito il paradigma mediterraneo di scambi commerciali, rapporti culturali e intese transfrontaliere che, accanto a divergenze politiche e scontri militari, hanno costituito gran parte della storia siciliana che tanto affascinava Sciascia. Forse per questa ragione sono rimasti particolarmente colpiti anche dalla discussione sulla tradizione illuminista europea, francese ma anche italiana, che secondo Sciascia non penetra a sufficienza in Sicilia. Alla mia citazione di Cesare Beccaria e le sue posizioni sulla tortura e la pena di morte, si è alzato un mormorìo in aula, seguito da un dibattito sulle differenze sostanziali tra illuminismo europeo e illuminismo americano, tra la rivoluzione francese e la rivoluzione americana. Sono queste differenze paradigmatiche che, secondo alcuni studenti, invitano ad una profonda riflessione sul concetto stesso di mondo occidentale.
“Ma Elena Ferrante ha letto Sciascia?” mi chiede a bruciapelo una studentessa, sbirciando da dietro una copia dell’Amica geniale. Faccio spallucce, rispondendo che Ferrante ha sicuramente letto, fra tanti altri, Virginia Woolf e Lev Tolstoy, ma su Sciascia non posso rispondere con altrettanta sicurezza. “Me lo chiedo per come entrambi raccontano il Mezzogiorno d’Italia,” incalza la studentessa. Ammetto di non conoscere la risposta, ma la invito a esplorare questa possibilità in un saggio, un research paper, come si chiama qui. Esco dall’aula assorto nei miei pensieri, pensando più in generale alle influenze letterarie di Sciascia sulla letteratura italiana contemporanea e mi vengono in mente Igiaba Scego e Amara Lakhous. Ma questo sarebbe un altro corso, da impostare in maniera diversa, magari concentrandosi sulle domande e l’eredità che Sciascia ha lasciato agli scrittori di oggi.
Se dovessimo giudicare il contributo delle opere e del pensiero di Sciascia da questo tipo di discussioni in un’aula universitaria è facile intuire che a trent’anni dalla morte di un autore che ha detto e si è contraddetto, la critica culturale di Sciascia è più che mai viva, in quanto suscita ancora dibattiti, interrogativi e, perché no, in alcuni casi, accese polemiche anche oltreoceano.
Salvatore Pappalardo
+ Link ai diversi altri contributi del nostro dossier tematico «Leonardo Sciascia 30 anni dopo».