Rubrica Un libro Una città. Nell’immaginario di tutti, Bologna è una delle città più vivibili d’Italia, forse la più organizzata. Bologna è anche al centro dell’Emilia-Romagna, una regione tra le più gioviali, goderecce ed opulente. Con la maggiore crescita economica, con il più significativo calo di disoccupazione, con la più antica università d’Italia che raccoglie studenti provenienti da tutto il mondo. È colta, laboriosa e creativa. Bologna, pur essendo ricca, è da sempre il simbolo della più sanguigna sinistra, ed ancora oggi è tra i pochissimi baluardi di un Paese che da alcuni anni ha virato verso il populismo e verso la destra. «Almost Blue» di Carlo Lucarelli è un romanzo uscito nel 1997 (tradotto in francese nel 2001, ed. Gallimard) e mostra una società che va trasformandosi contraddittoriamente in una realtà multietnica e quindi multiculturale, forse il primo esempio del genere in Italia, per effetto della globalizzazione.
Bologna è solare ed allegra, efficiente e vivibile, ma è proprio tutta solo così? Il funzionario di polizia Matera, nel romanzo «Almost Blue», un giallo da brividi, dice di no. Bologna non è, o non è solo, come ce la rappresentiamo. Bologna è un’altra cosa. È una città che nel suo benessere è piena d’inquietudine, è un luogo multiforme, non è la classica città che si divide tra centro storico e periferia, o meglio i due concentri si fondono e confondono continuamente, a seconda dei punti di osservazione o finanche della luce. Bologna cambia, si trasforma, sembra continuamente nascondere e far ricomparire i suoi tesori, i suoi segreti. È la città con più porticati d’Italia, dove persone e cose scompaiono e poi ricompaiono come d’incanto. Una città piena di fascino, imprevedibile, dove in una delle società più accoglienti, si muovono le tensioni, le solitudini e le inquietudini di ognuno di noi.
Testo tratto da “Almost Blue”:
«Grazia sorrise, il labbro inferiore storto in una piega cattiva, stretto tra i denti a staccare pezzetti di pelle dall’interno, poi gettò sulla bancarella il libro che fingeva di guardare, con tanta rabbia che il commesso si allungò sulla tavola per voltarlo e vedere il titolo.
Questa città le aveva detto Matera, non è come le altre città. Prima, mentre correvano in macchina a cercare una ragazza che divideva l’appartamento con la studentessa uccisa, Matera aveva battuto le nocche sul vetro del finestrino e piegato la testa su una spalla, a indicare fuori. Questa città, le aveva detto, non è quello che sembra. Lei dice piccola perché pensa a quello che sta dentro le mura, che è poco più di un paese, ma questa città lei non la conosce, ispettore, non la conosce proprio. Questa che lei chiama Bologna è una cosa grande che va da Parma fino a Cattolica, un pezzo di regione spiaccicato lungo la via Emilia, dove davvero la gente vive a Modena, lavora a Bologna e la sera va a ballare a Rimini. Questa è una strana metropoli di duemila chilometri quadrati e due milioni di abitanti, che si allarga a macchia d’olio tra il mare e gli Appennini e non ha un vero centro ma una periferia diffusa che si chiama Ferrara, Imola, Ravenna o la Riviera.
L’amica della ragazza uccisa stava in una delle case occupate di via del Lazzaretto. Sara: ventitré anni, capelli corti e rosa, un orecchio traforato da una fila di anellini sottilissimi, le braccia ritirate dentro le maniche della camicia scozzese a quadretti enormi, le dita appena visibili, agganciate al bordo dei polsini. Nervosissima: avanti e indietro per l’appartamento che sembrava in tutto e per tutto quello di una normalissima casa popolare.
No: con Rita non ci abitava più da un pezzo. Soldi: finché faceva lettere moderne suo padre le mandava un vaglia da Napoli, poi aveva mollato e allora lui col cazzo. Quattro mesi fa: ciao Rita, ho trovato un posto in una casa occupata in via del Pratello, così non spendo niente, poi quando il Comune aveva fatto sgomberare si era trasferita con gli altri in via del Lazzaretto. Però prima le aveva trovato un’altra compagna per dividere l’appartamento.
La luce, in aprile, cambia in fretta quando cala il sole. Le ombre sotto i portici si arrossano, si macchiano, quasi, tagliate dai raggi giallastri che entrano dritti sotto le volte, scivolano veloci sui muri a fissarli, tenendo lo sguardo fermo verso il fondo delle colonne, brillano insanguinati agli angoli degli occhi. Quando il sole sparisce dietro i tetti e la luce diventa più opaca, velata dal filtro violaceo delle nuvole più basse, le ombre sotto i portici si fanno prima grigie, di un grigio metallico e un po’ elettrico, poi azzurre, di un azzurro carico da ferro, cromato e quasi blu. Anche piazza Verdi cambia in fretta come la luce e alle sette e un quarto è già diversa da come era alle sette.
Grazia se ne accorse quando passò davanti alla biblioteca universitaria. Il bidello che stava chiudendo la porta fece scrocchiare la chiave nella serratura e le lanciò un’occhiata cattiva, perché si era fermata accanto a lui e aveva messo un piede su un gradino, come per entrare. Invece voleva solo allacciarsi la scarpa e appena alzò la testa vide che sotto i portici, tra i manifesti dei concerti appesi uno sopra l’altro sui muri, tra le scritte in arabo schizzate sulle colonne e i volantini delle copisterie accartocciati per terra, non c’erano più studenti e anche il tossico che chiedeva gli spiccioli davanti al Comunale aveva infilato le mani nelle tasche del giubbotto ed era andato a sedersi sugli scalini del teatro.
Questa città, le aveva detto Matera, non è come le altre città. Perché non è soltanto grande, è anche complicata. È contraddittoria. Se la guardi cosi, camminandoci dentro, Bologna sembra tutta portici e piazze ma se ci vai sopra con un elicottero, è verde come una foresta per i cortili interni delle case, che da fuori non si vedono. E se ci vai sotto con una barca è piena di acqua e di canali che sembra Venezia. Freddo polare d’inverno e caldo tropicale d’estate. Comune rosso e cooperative miliardarie. Quattro mafie diverse che invece di spararsi addosso riciclano i soldi della droga di tutta Italia. Tortellini e satanisti. Questa città non è quello che sembra, ispettore, questa città ha sempre una metà nascosta.»
(Almost Blue – Carlo Lucarelli ed. Einaudi, pagg. 99 a 102)
La Redazione di Altritaliani
Descrizione di Almost Blue:
Un ragazzo cieco ascolta la città con lo scanner, unica compagnia Almost Blue suonato da Chet Baker. Un assassino si reincarna nelle sue vittime, mentre nella sua testa vibra il rock più metallico. Una giovane detective molto determinata scopre di essere donna, e tutta intera, in un universo tutto di uomini. Nessuno vuole ammetterlo, ma a Bologna c’è un assassino seriale: è l’Iguana, che assume di volta in volta l’identità delle sue vittime, per sfuggire alle «campane dell’inferno» che gli risuonano nelle orecchie. Tocca a Grazia Negro cercare di prenderlo, e più delle sofisticate tecnologie che usa, le servirà l’intuito e la capacità di ascolto di Simone, cieco dalla nascita. Mentre cacciatore e preda si scambiano continuamente i ruoli, vediamo la scena ora con gli occhi attenti e ansiosi di Grazia, ora con lo sguardo febbricitante e doloroso dell’Iguana, o la percepiamo come un concerto di suoni e di voci, quando la soggettiva è di Simone. E la città che prende forma sotto i nostri occhi è insieme la sorprendente megalopoli italiana che si stende su tutta l’Emilia, e anche il teatro magico dove tutte le storie possono accadere. Un thriller nervoso e impeccabile, una storia d’amore e solitudine, una scrittura che sa dosare tensione emotiva e colpi di scena.
Carlo Lucarelli: Nato il 26 ottobre 1960 a Parma, lo scrittore « noir » ormai di culto del panorama letterario, attualmente vive tra Mordano, in provincia di Bologna, e San Marino.