“Ma a chi spetta il primato dell’autenticità? Se l’autenticità è un atteggiamento mentale, allora è storica, locale e cool; ma se invece è un diritto sociale, allora è anche povera, etnica e democratica. L’autenticità sta per il diritto di una città e di un quartiere ad offrire a chi vi abita, a chi vi lavora, ai proprietari di negozi e ai venditori ambulanti l’opportunità di mettere radici – di rappresentare, paradossalmente, sia le origini che i nuovi inizi” (Sharon Zukin – L’altra New York, Il Mulino pag.46)
Nello stabilire l’identità di un luogo è certamente importante il gruppo dei residenti tradizionali, che è custode della memoria locale, dei suoi simboli e dei suoi patrimoni. Esso interverrà in maniera imponente differenziandosi nella costruzione dell’identità territoriale. Al contempo la globalizzazione tende a creare una rete di accessibilità non solo informativa ma anche culturale che coinvolge il mondo e permette ad ogni individuo di uscire dal suo “minimondo” per conoscere gli enormi spazi metropolitani dall’elevato impatto turistico. Ad esempio la “mcdonaldizzazione” mette in contatto diversi mondi, culture e viaggiatori diversi, creando una relazione tra interno ed esterno, tra individuo e universale, tra particolare e globale.
Un incontro-scontro tra la tradizione e l’innovazione, tra il turismo di nicchia e quello di massa, tra la napoletanità e l’esterofilia, è stato l’analizzare la gentrificazione-autenticità nel mutamento del Centro Storico di Napoli e nella “zona alta” del Vomero mediante una ricerca sul campo, mettendo a confronto due realtà partenopee opposte: lo storico e tradizionale Gran Caffè Gambrinus, nel cuore di Napoli, nato nell’800 frequentato da illustri esponenti del mondo delle arti e della cultura e la recentissima caffetteria Cup Cap’s Coffee al Vomero, dallo stile americano, frequentato per lo più da studenti con la voglia di bevande e dolci dal sapore “a stelle e strisce”.
Il lavoro parte da un approfondimento storico per capire come è cambiata Napoli a livello di pianificazione territoriale con i Piani di Gestione, toccando le corde della politica governativa, urbana e di gestione della città partenopea. Mi è sembrato opportuno partire dalla fase storica poiché i vari piani territoriali, a partire da quello del 1939, hanno portato ad uno sventramento del Centro Storico ed una, seppur minima, salvaguardia degli interessi culturali.
A contrastare questi progetti di modifica territoriale è stato un gruppo di intellettuali chiamato “Napoli nobilissima” (periodico italiano pubblicato, in tre distinte fasi 1892-1907, 1920-1922, 1961-oggi), con diverse cadenze editoriali, per far conoscere e valorizzare la storia, l’archeologia, la topografia e le arti visive della città di Napoli, diretto, tra i tanti, anche da Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, i quali nello scrivere la storia artistica di Napoli, si sono soffermati sul tema della conservazione e sull’importanza della tutela di tutto ciò che rappresentava l’identità antica e originaria della città partenopea.
L’autenticità di Napoli, dal punto di vista urbanistico, turistico, gastronomico, rappresenta il fil rouge dell’intera tesi, e come essa, nonostante lo scorrere dei secoli, l’alternanza delle diverse dominazioni e governi della città, abbia resistito agli attacchi esterni e reso la città unica nel suo genere. Non potevo non accennare, seppur in maniera breve, allo sviluppo urbanistico sia del centro storico che la zona collinare di Napoli, il Vomero, e ai vari eventi tragici, quali il colera e il terremoto, che condizionarono la vita e le successive pianificazioni edilizie che si sono succedute nel tempo, alcune delle quali hanno devastato le tre aree verdi naturalistiche di Napoli: collinare, alluvionale e vulcanica. Ho preso in prestito dal professore Amato Lamberti la tesi secondo la quale il quartiere Montecalvario con il suo impianto reticolare, fatto di “bassi” e viuzze, si presterebbe bene a diventare una futura Montmartre, lasciando intatta la sua identità, rappresentata dal folclore e colore dei Quartieri Spagnoli, vero cuore pulsante. Quel carattere identitario che poco si ritrova nella “zona alta”, il Vomero concepito per lo più come quartiere residenziale con i suoi spaccati in stile liberty, le sue scuole raffinate e i suoi centri di svago destinati ai signorotti della “Napoli bene”. E sarà proprio questa zona, come vedremo più avanti, quella maggiormente aperta alle influenze esterne, destinata ad ospitare luoghi che ben si allontanano dalle tradizioni partenopee, come bar e locali in puro stile americano.
Il racconto sull’autenticità napoletana non poteva non tener conto di una tematica fondamentale, quella del turismo. Napoli è una città che si presta perfettamente, a mio avviso, al tipo di “turismo responsabile”, un turismo di nicchia, contrapposto a quello di massa che punta sulla quantità rispetto alla qualità, si contraddistingue per l’importanza che affida all’interazione tra il viaggiatore e l’autoctono. Un reciproco scambio culturale che affonda le sue radici nel “vissuto quotidiano” di chi ospita, il turista entra a far parte di quel mondo, lo fa suo, si immerge nelle sue abitudini, usi, costumi e gusti culinari, divenendo socialmente responsabile del territorio che lo ospita. La ricerca di autenticità e di appartenenza al territorio trova nel cibo un veicolo fondamentale di espressività, per questo motivo mi sono soffermato sul turismo enogastronomico, intaccato successivamente dal diffondersi, a macchia d’olio, di catene internazionali di fast-food che prediligono tempi rapidi e cibi quasi preconfezionati.
Ma Napoli, in particolar modo il centro storico, anche in questo, ha dato prova di resistere alle correnti esterne ed esterofile, lasciando poco spazio a chi volesse mettere da parte la sua tipicità culinaria, e mentre si cominciano a diffondere piccoli locali per la vendita di “patatinerie olandesi”, subito osteggiati dai tradizionali venditori di “cuoppi” fritti, c’è chi non potrà mai chiudere i battenti: il Gran Caffè Gambrinus, luogo simbolo della città, tappa fissa per passanti e viaggiatori. La sua storia inevitabilmente rappresenta una parte quasi a sé della tesi, con i suoi numerosi e illustri clienti, il suo ricco patrimonio fatto di aneddoti che raccontano di un viaggio pieno di insidie attraversato dai proprietari per mantenere in vita e gestire tale piccolo scrigno. Immergendomi sempre più nella storia del Gran Caffè partenopeo ho scoperto un tesoro di enorme valore racchiuso in un solo locale: dai frequentatori napoletani, seduti ai tavolini a confabulare animatamente di politica e filosofia, alle varie e piccole storielle sarcastiche nei confronti di personaggi anche noti. Particolare scoprire come è nato uno dei testi della canzone napoletana “’A Vucchella” scritta da Gabriele D’Annunzio al cameriere per ripagarlo dei propri debiti.
La sfida sull’autenticità passa attraverso una ricerca che ho realizzato mettendo a confronto il Gambrinus con il Cup Cap’s Coffee del Vomero, figlia della nota catena internazionale Starbucks. Essa è una piccola e recentissima realtà che, coniugando lo stile americano con il caffè napoletano, ha cambiato il modo di prendere il caffè. L’oro nero è servito in bicchieri di grandi dimensioni, arricchito da dolcissime creme e panna, affiancato da dolci dal pure sapore americano, il tutto su comode poltroncine colorate che richiamano i vari Coffee degli States. Nata da pochi anni, la caffetteria in stile americano del Vomero non vanta una ricca storia alle sue spalle, ma la cordialità e disponibilità del direttore, Fabio Aldolino e del suo staff, nel distribuire, insieme a me, ai clienti i 50 questionari hanno alleggerito il mio lavoro di ricerca. Facilità non riscontrata al più famoso Gambrinus, dove ogni giorno mi sono recato per consegnare pro manibus i questionari ai clienti, infatti sia i proprietari che i gestori sono stati molto restii a consegnare i miei quesiti ai clienti, quest’ultimi invece si sono mostrati ben lieti di lasciare i loro pareri all’uscita del bar. Le domande poste nel questionario erano diverse, ad esempio chiedere a entrambi i fruitori del locale cosa preferiscono tra il made in Naples o lo stile americano oltre alle diverse domande racchiuse in sezioni come informativa/descrittiva, servizio consumo, valutativa e socio-anagrafica.
In conclusione, quindi, la tesi ha dimostrato un incontro scontro tra la tradizione e l’innovazione, tra il turismo di nicchia (Gambrinus) e quello di massa (Cup Cap’s Coffee), tra la napoletanità e l’esterofilia. Una tradizione volta alla autenticità storico-sociale del centro storico napoletano con il Gambrinus e l’innovazione cosmopolita vomerese di Cup Cap’s Coffee. Lo scontro tra la napoletanità e l’esterofilia non è “negativo”, è stato dimostrato come anche in una città come Napoli, gelosa e fedele delle sue tradizioni e radici, possa esistere un locale che non offra solo sfogliatelle e babà ma anche muffin e pancake, ottenendo il parere favorevole della gente.
Vincenzo Vinciguerra
Il libro:
DALL’AUTENTICITÀ ALLA “MCDONALDIZZAZIONE” DI NAPOLI
CONFRONTO TRA STORIA E MODERNITÀ DI DUE REALTÀ PARTENOPEE
PM Edizioni
Collana: Sociologica cum laude
Autore: Vincenzo Vinciguerra
Prefazione di: Fabio Corbisiero
ISBN: 978-88-99565-54-1
Pagine: 110 – Formato: 17 x 24 cm
Prezzo : 10€