Monica Vitti ci lascia a 90 anni. Una immensa carriera.

Aveva da poco compiuto 90 anni, il 3 novembre scorso: ci lascia Monica Vitti, validissima interprete del nostro tempo, orgoglio del nostro Cinema, amata nel mondo. Forse l’ultima diva-non-diva di un cinema ineguagliabile. Resta il ricordo di una fra le attrici più acclamate ed eclettiche della storia del cinema.

Buon viaggio Monica

Monica Vitti, nome d’arte di Maria Luisa Ceciarelli, una carriera fra le più sfolgoranti (il suo esordio a soli quindici anni) che però non l’ha mai vista primeggiare come una vera diva, secondo tradizione. Forse a causa o in virtù del suo carattere versatile, o forse per la sua innata capacità di rendere uniche le sue interpretazioni, dal teatro alla televisione al grande cinema. E persino come scrittrice e regista.

Originale il suo libro “Il letto è una rosa” (Mondadori), del 1995. La ricordiamo in un gremitissimo auditorium del Centro sociale di Rionero in Vulture, quando nel 1996 venne a presentarlo. Una serata indimenticabile, per la sua affettuosa condivisione verso un pubblico che le dimostrava una incommensurabile stima. E lei, con la sua inconfondibile voce, rispondeva ad ogni curiosità, mentre il Cineclub “De Sica” le consegnò una targa e una pergamena con una poesia a lei dedicata.

Monica è stata, anche la protagonista di Qui comincia l’avventura, girato a Matera e a Gravina in Puglia nel 1975, diretto da Carlo Di Palma, già direttore della fotografia di successo, alla sua seconda regia. Al suo fianco una splendida Claudia Cardinale: due ragazze spericolate su una moto, ben prima di Thelma e Louise (il film cult di Ridley Scott del 1991). Monica è una giovane donna che gira con padronanza a bordo della sua moto, fa tappa in Puglia e in Basilicata, in un on the road che la condurrà a Milano per raggiungere l’uomo che ama. Il suo carattere libero e avvincente suscita l’ammirazione di una stiratrice che lascia marito e figlio per continuare con lei il viaggio, ricco di disavventure. Va ricordato che fra le comparse del film, nei panni di un molestatore, un cammeo anche di un giovanissimo Gaetano Di Matteo, l’affermato artista (originario di Nova Siri in Basilicata) amico di intellettuali e poeti, da Dario Bellezza fino a Pasolini.

Nel ‘95 Gillo Pontecorvo, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, le ha conferito il Leone d’oro alla carriera. Meritatissimo, se si considera quanto valore aggiunto ha offerto al cinema da diverse angolature, da quella drammatica, alla commedia, a quello introspettivo: autori italiani e stranieri si sono contesi la sua presenza sulla scena, per rendere le opere drammaturgicamente autentiche ed intense.

Teatro e film un po’ minori all’inizio della sua carriera, tenuto conto che durante gli anni ‘50, quando la Vitti entra in scena, si vive una fase interlocutoria dopo il neorealismo: il grande cinema che proprio in Italia celebra la sua imponenza. Eppure viene notata da un già affermato Michelangelo Antonioni con il quale intreccia una relazione artistica e sentimentale. Diventa la sua musa, protagonista della sua celebratissima tetralogia della “incomunicabilità”.

È la inquieta Claudia nel primo capolavoro “L’avventura” (del 1960); sarà l’anno dopo la tentatrice Valentina de “La notte”; la impenetrabile Vittoria de “L’eclisse” (1962) e, inoltre, la nevrotica Giuliana del “Deserto rosso” (due anni dopo), film che si aggiudica il Leone d’oro a Venezia. È un sodalizio sentimentale fra il maestro e l’attrice (ben più giovane) alquanto discreto e riservato, lontano dai riflettori, ma che tuttavia non sfugge, specie per la critica sui film di un autore maestoso ma di non facile fruizione. Monica Vitti è anche doppiatrice per “Il grido” del maestro ferrarese: è la voce di Dorian Gray. E sarà anche la voce di Ascenza nel capolavoro di Pasolini “Accatone” e la voce di Rossana Rory ne “I soliti ignoti” di Mario Monicelli. Sarà proprio quest’ultimo maestro a mettere in luce la caratteristica brillante e forse più popolare della Vitti.

Con “La ragazza con la pistola” (1968) si inaugura una stagione di nuove energie per il cinema visto al femminile. Con il capolavoro di Ettore Scola “Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca” (del 1970) accanto a Mastroianni e Giannini, Monica Vitti entra di diritto nell’olimpo dei grandi mattatori del cinema italiano.
Nel maggio 1968 viene persino nominata presidente della giuria al XXI Festival del cinema di Cannes, proprio nell’anno delle contestazioni, per cui nessun premio cinematografico verrà attribuito.

Monica Vitti con Anna Magnani. Archivio A Magnani

Con gli anni ‘70 sarà protagonista indiscussa di indimenticabili commedie, da Nanni Loy, a Zampa, a Magni, a Risi, da Festa Campanile a Maselli, e nel contempo saranno anche molti i registi fuori dei confini nazionali a volerla sul set. Prima l’ungherese Miklos Jancsò ne “La pacifista” del ‘74 e quindi il controverso Luis Bunuel con “Il fantasma della libertà” tre anni dopo. Quindi, il francese André Cayatte la vuole in “Ragione di stato” mentre nello stesso anno recita per la televisione nella commedia “Il cilindro” di Eduardo. Del 1973 forse il successo di maggior risonanza popolare, al fianco di Alberto Sordi che la dirige in “Polvere di stelle”.

Gli anni Ottanta la vedranno anche regista con l’esordiente Roberto Russo per il film “Flirt” (la colonna sonora è di De Gregori con la sua bellissima “Donna cannone”) per il quale viene premiata a Berlino; quindi dirige “Francesca è mia” (1986).

Intensa e riservata anche la vita sentimentale, sempre con autori di cinema. Dopo Antonioni sarà con il direttore della fotografia Carlo Di Palma (che l’ha anche diretta in tre film a metà anni Settanta, stupendo “Teresa la ladra”) ed infine con Roberto Russo, che ha sposato nel Duemila. Da allora, per ragioni di salute è pressoché sparita dalla scena. Ma non la sua figura, la sua immediata ironia e l’empatia con il pubblico che continua ad amarla.

Un ricordo del tutto personale: Napoli, ristorante Zi’Teresa, fine anni ’80: la Vitti è seduta al tavolo con Walter Chiari ed altri loro amici. Ci avviciniamo per un ossequioso saluto. Lei si alza e ricambia, salutando con un bacio i bambini che erano con noi. Un sorriso per nulla formale. Lo stesso che l’ha caratterizzata sulla scena, così come nella vita.

Armando Lostaglio, dalla Basilicata

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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