Al centro del romanzo di Antonella Graziuso vi è una storia di smarrimento e di rinascita: è la storia di Ludovico, un ragazzo irrequieto, “ribelle, senza educazione, senza freno, sempre in mezzo alla strada”, che prova sulla propria pelle e sulla propria anima il dolore, la privazione, la sofferenza, la paura, ma anche la speranza, sorretta dalla fede, il desiderio di non arrendersi neanche in situazioni estreme, la voglia di riscatto e di liberazione.
È insieme un romanzo psicologico, di memorie, di storie, ma anche di “formazione” perché riguarda l’evoluzione del protagonista, che, lasciandosi alle spalle un’infanzia povera e turbolenta, in cui si avverte la dimensione conflittuale, dovuta all’irrequietezza tipica dell’età, con l’ambiente che lo circonda, con la famiglia, con la scuola o con il mondo adulto in generale, si emancipa concretamente dalla famiglia e dal suo paese, fino a compiere nuove esperienze e a progettare il proprio futuro in modo autonomo.
Le vicende assumono per il giovane il valore simbolico di ostacoli da superare ed hanno la funzione di fargli acquisire conoscenza di se stesso in rapporto agli altri. Nell’affrontarle, il protagonista fa una serie di esperienze, incontra l’opposizione di alcuni e l’aiuto di altri, ma, al termine di tali prove, superate con tenacia e determinazione, porta a compimento il processo di formazione e riconquista un nuovo equilibrio: è diventato consapevole delle insidie del mondo e delle proprie qualità morali.
La storia di Ludovico, “I ricordi di una vita”, inoltre, raccontata in prima persona, che si intreccia con altre storie di minori “difficili”, sapientemente raccontate in terza persona dall’autrice, si svolge tra Gragnano e la Romagna, al tempo del fascismo, dal 1938 al 1945, quindi in un arco di tempo ben definito, il periodo del collegio, con un continuo andare dal presente al passato al presente in un rapporto di interazione continua.
La narrazione è pertanto condotta con una tecnica originalissima dall’Autrice, alla sua prima fatica letteraria, che, sorretta da una nutrita esperienza di psicologa e psicoterapeuta infantile, compie da un lato una sorta di analisi “a posteriori” di Ludovico fanciullo, dall’altro, attraverso il recupero memoriale, ricostruisce pezzi del vissuto di suo padre, (Ludovico, per l’appunto), vivificandone la memoria, tenendo insieme i fili del ricordo, arpionando il più possibile brandelli del passato.
La storia di Ludovico è anche una storia esemplare, è una storia piccola, che diventa grande nel momento in cui, nel ricostruire i fatti occorsi al protagonista, con tutti gli stati d’animo, i moti interiori, le emozioni e le riflessioni, mette in relazione la “piccola storia” con la “grande storia”, attraverso il racconto, che è anche testimonianza, quindi fonte storica, fonte orale, con tutti i “pericoli” che tale operazione comporta, con la storia del fascismo, della seconda guerra mondiale, fino alla fine del conflitto e l’avvio della ricostruzione.
E’ certamente un libro questo da leggere con attenzione, da rispettare e maneggiare con cura per tutti i rimandi personali, familiari, forse nervo ancora scoperto, e storici che contiene. Un libro delicato, dalla prosa fluida, tutta femminile, corredato di tante cartoline postali prepagate che Ludovico inviava alla mamma dalla Romagna, bellissime nella loro semplicità, talvolta struggenti, che tracciano lo spaccato del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, ancora vicino, ma per certi versi lontanissimo, e che parla di sentimenti, quali amicizia, solidarietà, attenzione per l’altro, capaci di commuoverci ed emozionarci ancora.
Adele Tirelli
Lo sai che stasera si mangia un’altra volta
Di Antonella Graziuso
pubblicato da Kairòs
15€
« Come se sfogliassi il diario della mia attività di psicologa, mi tornano alla mente i miei piccoli pazienti e quelli che, bisognosi del mio aiuto psicologico, hanno interagito con me. I vissuti interiori sollecitati in me, che a suo tempo hanno permesso lo sviluppo della relazione terapeutica, grazie ad un processo similare mi portano a leggere le vicende vissute da mio padre, quando, a soli 10 anni, fu portato in collegio in Emilia Romagna, dal 1938 al 1945. In un contesto politico e sociale ben noto, dove la povertà e la fame hanno il sopravvento, le cartoline postali prepagate e le piccole lettere inviate dal piccolo alla mamma a Gragnano, unica modalità di comunicazione, fanno di volta in volta scoprire un bambino coraggioso, affettuoso e diligente. In questo intreccio di tempi, luoghi e sentimenti differenti, c’è una strana linea che unisce il prima e il dopo, Nord e Sud, nostalgia e fame d’affetto. E stato quasi un processo naturale donare a quest’uomo, il mio papà, la realizzazione del ‘suo libro’, che desiderava scrivere e che non ha mai scritto. Lo leggo nutrendo il mio animo colmandolo di sapori semplici, profondi e rigeneranti. » (Antonella Graziuso)