Nei giorni scorsi, il Senato italiano ha bocciato una proposta europea (peraltro ancora preliminare); e cioè che i bambini registrati in uno stato comunitario come figli di una coppia (etero od omosessuale che sia) siano automaticamente riconosciuti in ogni altro paese dell’Unione. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, la spiega così: «Se sei genitore in un Paese, sei genitore in tutti». Il problema tocca (pare) qualcosa come due milioni di bambini che, in seguito a un trasferimento da un paese all’altro, sono caduti in un limbo.
La maggioranza di destra è contraria perché vede in questa norma un cavallo di Troia di pratiche a cui è (storicamente, culturalmente) contraria: adozioni per coppie omosessuali e soprattutto la cosiddetta « maternità surrogata » (GPA). Cioè quella in cui una donna porta avanti una gravidanza per conto di una coppia (anche qui, etero od omosessuale che sia). La decisione della maggioranza ha suscitato molte critiche e, sabato scorso a Milano, una manifestazione di protesta delle cosiddette “famiglie arcobaleno”.
La discussione, come spesso in Italia, si sta polarizzando istericamente. Da parte della maggioranza di governo, si sposta tutta l’attenzione sul tema della maternità surrogata, dimenticando che qui si parla di riconoscere bambini già nati, in altri paesi, e non di cambiare la legge 40 del 2004, che vieta la GPA in Italia e continuerebbe a farlo. Da parte di chi si oppone avviene spesso l’opposto: si parla esclusivamente dei diritti dei bambini e dei loro genitori, diritti che ci sono e vanno difesi (se una famiglia è tale in Olanda, dovrebbe esserlo anche in Italia. Come si sia formata, poco importa. Non riconoscerlo è un sofisma, un´inutile crudeltà). E si evita di affrontare esplicitamente il punto della GPA, che invece esiste, non può essere ignorato e andrebbe affrontato in modo un po’ più chiaro.
Mi ha colpito, in questo senso, una certa congiunzione astrale sul sito di Repubblica, il giorno in cui è uscita la notizia. A poca distanza l’uno dall’altro apparivano tre articoli. A commento della decisione del Senato, un´intervista al conduttore della trasmissione « Fahrenheit », su Radio 3, Tommaso Giartosio, e al suo compagno. Titolo: In Italia sui diritti dei figli delle coppie gay tira un vento di retroguardia. Così criminalizzano i nostri legami. Hanno due figli, nati da gestazione di supporto. (GPA, appunto). Non una parola di più. Subito sotto, un articolo sulla cerimonia degli Oscar 2023: trionfa il reggiseno, protagonista dei look in chiave empowerment (sic. Inglese, anzi inglesorum compreso). L’articolo precisa: l’obiettivo non è sedurre, quanto piuttosto liberarsi e mostrarsi senza tabù. Ancora un passo più giù: Riecco Playboy, il basic instinct del maschio medio. Un ritorno che, secondo l´autore (lo scrittore Francesco Piccolo), dimostra solo che il voyeurismo dell’uomo resiste a ogni cambiamento.
Ma santa pazienza. Mi dite come è possibile, nella stessa pagina, difendere risolutamente le attrici degli Oscar nel loro diritto di esibirsi in reggiseno senza essere accusate di « seduzione » (ammesso che sedurre sia una colpa), esaltarne l’ “affermazione di sé”, deridere il “maschio medio” che guarda le foto delle donne nude su Playboy (presente, ammetto di avere peccato; è capitato anche a me), e invece nascondersi dietro un dito (l’espressione neutra: « gestazione di supporto ») su un tema che a me sembra, anzi è, assai più rilevante? Dietro quell’espressione infatti c’è un corpo femminile « tecnicamente » usato da due maschi come « supporto ». Per ovviare all´impossibilità biologica (un dato non ideologico, ma di realtà) di fare un figlio tra loro. Repubblica si interessa moltissimo al corpo di attrici e modelle, e per nulla a quello di questa donna. Un corpo che infatti nell’articolo scompare, viene rimosso, nascosto. Possiamo immaginare (honni soit qui mal y pense, ma insomma) che lo abbia fatto per denaro.
Sono un libertario, e penso che entro certi limiti (quelli della libertà altrui, ovvio) ciascuno possa fare ciò che vuole, del proprio corpo e della propria vita. Ma in questo caso, lo ammetto, qualcosa mi disturba profondamente. Visceralmente. Irrimediabilmente. Correndo il rischio di sbagliarmi, penso proprio che i due genitori (per quanto illuminati, colti, progressisti) se lo siano comprato, quel corpo. Sfruttando rapporti favorevoli di potere sociale, economico, culturale. E attribuendo la qualifica di « diritto » (nel solco dello slogan pubblicitario “impossible is nothing”) al loro desiderio. Un desiderio che, non realizzabile per via biologica, si realizza per via tecnica, commerciale: su Internet (lo si trova facilmente), si trovano siti che propongono, come in un listino, « gestazioni di supporto”. Con tanto di presentazione del prezzo in stile supermercato (“a partire da 49 900€ »).
È giusto, secondo me, riconoscere universalmente il diritto di far parte della propria famiglia a chi è nato, poco importa il modo in cui questo è accaduto. E qui la destra sbaglia di grosso a negare questo riconoscimento. Ma non possiamo far finta di ignorare che non tutti i modi sono accettabili, e che la retorica dei « diritti » non dovrebbe essere usata pretestuosamente per giustificare cose che giustificabili non sono. Per dirla semplicemente (ma spero con una certa chiarezza), affittare l’utero di una donna per farsi fabbricare un figlio, sfruttando un favorevole rapporto di classe, secondo me è una cosa schifosa.
Maurizio Puppo
Grazie del contributo
Buon giorno, Ho une percezione differente:
La discussione apertasi sulle disposizioni del governo ostative alla trascrizione nei registri anagrafici dei bambini figli di coppie omogenitoriali si sta svolgendo tra molti equivoci, alimentati da una propaganda ideologica che per nascondere un intento discriminatorio non esita a ricorrere a volgarità inaccettabili.
Quella dello “spaccio di bambini” è veramente greve (https://www.adnkronos.com/coppie-gay-spacciano-bambini-per-loro-figli-roccella-rampelli-dice-verita_4X5FyjevR52kXlrD9T62QD).
Allo stato attuale un vuoto normativo che nessun Parlamento è riuscito a risolvere, nonostante le sollecitazioni rivolte al legislatore dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e da quella della Suprema Corte di Cassazione, sta comportando una lesione gravissima di un diritto fondamentale primario, quello di assicurare a tutti i bambini parità di trattamento e di tutela giuridica e sostanziale.
E questa parità può avvenire per la via maestra del riconoscimento alle coppie omogenitoriali dello stesso status assicurato alle coppie eterosessuali.
È quello che la destra vuole impedire.
Certo, sulla genitorialità è comprensibile che esistano concezioni diverse.
È un diritto, quello di essere genitori?
Ritengo sia un diritto condizionato.
In particolare, su questo tema, resto su una visione socialista classica, che tuttavia non è estranea alle costituzioni liberali contemporanee.
Le vite umane non sono assoggettabili al diritto privato individuale, nè famigliare, nè di gruppi sociali o religiosi.
I bambini sono patrimonio della comunità generale e la loro tutela fondamentale viene prima degli stessi diritti dei genitori.
Questa tutela è un compito primario dello Stato, che a tal fine può ingerirsi nei rapporti privati.
Per questo motivo ritengo che la vigilanza sull’esercizio della genitorialità abbia una giustificazione etica riconosciuta dal diritto comune.
Non penso che il diritto debba porsi il problema se in una coppia debbano essere obbligatoriamente presenti un maschio e una femmina biologici.
È una questione che nessuna scienza umana ha al momento risolto nel senso che una famiglia debba essere indispensabilmente eterosessuale.
L’uomo non sarà un animale comune, ma anche nelle specie animali evolute con caratteristiche sociali non si riscontra alcuna eterosessualità famigliare particolarmente conveniente e indispensabile per la continuità della specie.
Il diritto deve piuttosto occuparsi del fatto che un bambino, sia dentro una coppia eterosessuale sia dentro una coppia omogenitoriale, goda della stessa protezione, dello stesso accudimento, della stessa educazione ai rapporti umani, della stessa preparazione alla libertà e alle responsabilità di tutti gli altri bambini.
Si deve guardare (giuridicamente) con sfavore alla possibilità che un bambino non sia nato dal rapporto riproduttivo di una coppia eterosessuale?
L’istituto antichissimo dell’adozione testimonia che questo sfavore non si è mai riscontrato in nessuna civiltà.
L’impossibilità per motivi biologici non sempre diagnosticabili, per una coppia, di avere una filiazione naturale dev’essere considerata un impedimento giuridico ostativo al desiderio/disponibilità di avere figli?
Le moderne tecnobiologie hanno aperto l’opportunità di superare l’ostacolo biologico mediante la fecondazione assistita, persino eterologa.
Tutte pratiche lecite.
Resta la questione della fecondazione tramite gestazione personale esterna, quella che vien definita “utero in affitto”.
Qui effettivamente si pone un problema etico, ma anche sociale universale.
Stiamo al nostro diritto positivo.
Il Codice civile italiano, all’articolo 5, vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una permanente riduzione dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
C’è voluto tempo, per disciplinare in conformità ai principi costituzionali sui diritti fondamentali delle persone la donazione di sangue o di organi.
Sommariamente si può dire che anche la giurisprudenza penale ha accolto le donazioni a condizione che non abbiano carattere di commercio per finalità di profitto.
L’utero in affitto pone problemi analoghi.
Ma il fatto che sia una pratica consentita in molti ordinamenti esteri, anche europei, rischia di rendere inutile il divieto proibizionista di ricorrervi, presente nella legge penale italiana.
Varrebbe forse la pena (ma non ho ancora approfondito del tutto la questione: la suggerisco come tema di riflessione) di ragionare proprio sugli istituti di “donazione”, dove la disponibilità formalmente registrata sia garanzia di gratuità affrancata dal commercio.
Gratuità ovviamente assistita, oltre che incoraggiata, perché altrimenti vi sarebbe un incentivo al commercio in nero.
Aggiungerei che, prendendola proprio a largo orizzonte, così come per le adozioni (purtroppo molto meno assistite di quanto si pensi, perché quelle nazionali sono ormai impossibili, dato che bambini da noi ne nascono pochi e che per fortuna i neonati rischiano raramente di essere abbandonati, mentre comprensibilmente molti Paesi esteri sono diventati estremamente sensibili e restìi al depauperamento dei loro bambini tramite le adozioni internazionali), Italia ed Europa sono ormai obbligate ad affrontare non rassegnatamente il loro drastico calo demografico.