Zen Circus. Un qualunquismo per nulla rassegnato. Intervista a Appino.

“L’idea che ho dell’Italia è volgare”. Non usa mezze misure Appino, un terzo degli Zen Circus che abbiamo sentito qualche giorno fa telefonicamente. Anche se, a dire il vero, le mezze misure i tre Zen non sanno cosa siano e il titolo dell’ultimo album, « Andate tutti affanculo » sta lì a dimostrarlo. E se non vi bastasse fatevi un giro tra i testi di questi tre toscanacci, amati tra gli altri da Brian Ritchie e dall’Australia.

zen_circus_copie.jpgAndate tutti affanculo (qui la recensione al loro ultimo album) è una raccolta di storie autobiografica e non, ed è “l’offesa più qualunquista che tu possa dire”, qualunquista come l’Italia in cui viviamo. Con Appino abbiamo parlato di questo e altro. Della morte, della volgarità, dello stato della musica e di quelle realtà che rendono l’Italia un paese da (ri)scoprire: l’associazionismo su tutto. Ma Appino ci ha spiegato anche come è nato l’incontro con Nada e quello mancato con Paolo Villaggio. Il Circo è tornato, che lo spettacolo abbia inizio:

(Dopo diversi tentativi per beccarci al tel. Andrea mi spiega che si era dimenticato che aveva un’altra intervista prima). Hai appena finito l’ennesima intervista, non posso allora non chiederti qual è la domande che più odi?

Prima era che genere fate ora… non ce n’è una in particolare.

In quest’ultimo album sembra che gli Zen Circus siano incazzati?

La prima cosa che dicevamo quando parlavamo prima che uscisse era che era un disco serio, il più serio che abbiamo mai fatto, quindi non è il termine incazzato che ci veniva in mente. Poi uno dice “Andate tutti affanculo” e cerca di mescolare le acque. La realtà dei fatti è che con quest’album era l’idea di qualunquismo che volevamo mettere bene in chiaro, fuori dal disco per parlare dell’Italia di oggi.

Certo, incazzato, ma ovviamente ironico, come il vostro album. Un’ironia amara…

Sì assolutamente, penso anche che sia l’offesa più qualunquista che tu possa dire. Non c’è nulla di incazzato, quanto piuttosto di rassegnato, sebbene noi non siamo affatto rassegnati, anzi sto cazzo! Abbiamo una gran voglia di fare casino. Il disco vuole essere una fotografia fatta da un piccolo angolo dell’Italia, senza censura, quindi con tutta la volgarità che io vedo ogni giorno, non vedo perché dovrei censurarmi

“Andate tutti affanculo » è un titolo forte e poco radiofonico (immagino quando dovranno lanciare il songolo dicendo il titolo dell’album dal quale è estratto), non avete paura che la discussione sul titolo forte possa distrarre da quello che è il contenuto?

Ci poteva anche stare all’inizio, ci abbiamo pensato. Poi è successa una cosa che non ci aspettavamo: questo è il disco che è andato meglio di tutti nella nostra storia: nelle prime tre settimane, per i nostri piccoli canoni, ha venduto un sacco, quindi abbiamo pensato che no! Sta andando benissimo. Un disco che si chiama così, insomma è assurdo, ma vuol dire che la gente lo compra e lo sente. Per quanto riguarda le radio, beh la Virgin etc hanno passato soprattutto il pezzo di Nada, dato che abbiamo cercato di non fare singoli, quindi quello che senti in radio non è quello che vedrai nei video: sarà un anno in cui mescoleremo le carte. In fondo, è il disco che vogliamo promuovere, l’idea di disco, non una canzone più dell’altra, e noi siamo contenti perché è un’idea che sta funzionando quindi probabilmente per una volta non c’è bisogno del music control, certo di un po’ di promozione sì, ma soprattutto c’è bisogno, come abbiamo fatto noi per dieci anni, di gironzolare e alla fine vedi dei risultati.

Vabbè diciamo che questo poi è il lavoro del vostro ufficio stampa, lo lasciamo a loro…

Beh sì alla fine quasi non ci credevamo nemmeno noi. Uno fa un disco che si chiama “Andate tutti affanculo” non se lo immagina poi che sia il disco che va meglio…

…sebbene « Figlio di Puttana » sia stata la canzone, diciamo, simbolo di Villa Inferno…

Certo, ma paradossalmente è tutto involontario, non è che ci siamo messi lì a tavolino: usiamo le parolacce. Anche il pezzo della compilation degli Afterhours (“Il paese è reale” è la compiletion, il brano è “Gente di merda”) c’è finito per caso.
Morale della favola, ci siamo presentati con queste parolacce, e alla fine sono anche contento, perché l’idea che ho io dell’Italia adesso è quella ed è volgare e se vogliamo fare quello che vogliamo fare noi, ovvero non fare troppo i poeti, ma fotografare quello che vediamo, quello che vediamo è pieno di parolacce, volgarità e qualunquismo, quindi non mi vergogno di cantarlo esattamente così com’è.

E in più lo cantate in italiano… Come cambia secondo voi la vostra accoglienza all’estero?

Siamo pazzi perché proprio quando stiamo andando forti in Australia, abbiamo fatto il disco in italiano. Sì son d’accordo con te, infatti non è per niente una cosa definitiva, nel senso che stiamo già meditando un disco per il mercato australiano.

Ma sarà un po’ come il lavoro che hanno fatto gli Afterhours con “Ballate per piccole iene”?

No, no, non riusciamo a fare questa cosa qua. Ci sarebbe piaciuto, ti risparmi un po’ di lavoro. Abbiamo provato a farlo con « Figlio di Puttana », ma non era cosa. Sono canzoni nuove che facciamo per il mercato estero. Poi cantare in italiano ci siamo arrivati piano piano, non è neanche una vera e propria svolta…

È un percorso che si è chiuso insomma.

Sì però sicuramente il prossimo disco sarà solo per il mercato australiano, poi vediamo se lo facciamo anche qua.

Se c’è una cosa difficilmente attaccabile è il fatto che quest’album “suona bene”. Cioè la musica, i testi, ti si attaccano addosso dopo pochi ascolti. Qual è la cosa che preferite di quest’album?

È la prima volta che volevamo fare una cosa e l’abbiamo fatto, quindi è venuto esattamente come l’immaginavamo, solitamente si parte da un’idea e si arriva a tutt’altro, siamo stati incredibilmente programmatici. Volevamo fare un disco di questo tipo, con questi suoni, con queste canzoni, che parlasse di questi argomenti e con un certo taglio e quello che ne è venuto fuori è quello che avevamo in mente due anni prima. Quindi la cosa che ci è piaciuta di più è quella lì.

Uno dei files rouges è la religione. Preti, il senso di colpa, la morte, il Vangelo di Giuda, il dio coglione… Cosa rappresenta per voi, è solo uno dei tanti problemi dell’Italia?

Credo nessuno possa liquidare il discorso religione come facciamo nel disco, perché è enorme. Nel momento in cui noi cantiamo, da quale parte stiamo credo lo si capisca, però l’idea non era quella di fare i profeti – noi tre siamo tutti, non solo atei, ma fermamente atei – però l’idea era che cantassero altri per noi. Io credo sinceramente che la questione fondamentale sia la famiglia. Tu chiami dalla Francia, dove la famiglia viene dopo la comunità, qua invece abbiamo la famiglia come primo status e poi forse la comunità, ben dopo; quindi l’incazzatura sta in quello, sta nel fatto che è un dogma che ha fallito, filosoficamente parlando, poi non che la famiglia debba essere abolita, ma la famiglia tradizionale, cattolica, in Italia non può più essere presa come esempio. Questo è sicuramente un concetto chiave, poi per quanto riguarda le questioni ecclesiastiche, beh come la pensiamo è abbastanza chiaro, come ho detto, ma non vorrei che un pezzo come “Gente di merda” sia preso ad esempio del pensiero degli Zen Circus, perché non è solo quello, noi volevamo solo fare dieci canzoni che trattassero dell’Italia così come la trattano gli italiani…

Beh affrontate anche l’idea della morte, a me è piaciuto molto il modo in cui voi speigate, in “It’s paradise” la morte…

Eh appunto quella viene proprio dall’idea che la religione intenda livellare tutto, perché nel momento in cui ci sono paradiso e inferno, è chiaro che se uno è stato stronzo poi dopo sarà punito tutta l’eternità e se uno è stata una brava persona ma l’ha presa nel culo tutta la vita dopo sarà nel creato, nel paradiso. Quest’idea, tramanda anche un’idea di perdono che non mi piace troppo; è chiaro che il perdono è una figata, ma certe cose, certi personaggi non vanno perdonati, o almeno ricordati per quello che erano. È questo che mi fa paura della religione, questa idea che tutto si livella grazie alla buona mano di dio.

Da buon napoletano non posso non vederci un riferimento a Totò…

E sì, la Livella di Totò. L’idea è partita da quella, ci piace…

Parlavamo prima di quell’immagine di It’s paradise, ecco come nascono le vostre canzoni?

Tantissime cose sono autobiografiche, quindi mi contraddirei se dicessi che non si parla dell’italiano medio, forse sono l’italiano medio io. Quella cosa del grillo ad esempio a me è successa, ma con un formicaio: mi ricordo il giorno in cui distrussi questo formicaio e di fronte a quella macchiolina di roba nera, morta dissi “Che cazzo ho fatto!”m o comunque anche altre cose, perché comunque il passato degli Zen Circus ci darà lo spunto per scrivere ancora 150 mila canzoni. C’èmolto di autobiografico, ma c’è molto anche di persone che sono intorno a noi e che sono finete nel disco senza saperlo… ed è meglio che non lo sappiano.

Sì, infatti queste canzoni sembrano tante piccole storie, un bozzetto dell’Italia che ci circonda.

L’idea era quella lì. Poi immagina, un gruppo come noi, nato anglofono, con la voglia di andare in giro per il mondo, ed è una cosa che io esalto – quando mi dicono che i gruppi devono cantare in Italiano… no! Non devono cantare in italiano, se vogliono cantano in italiano, se no fanno quello cazzo gli pare. Fa bene alla cultura italiana questo multilinguismo. A breve dovremmo parlare tutti almeno due lingue se non più, e io non vedo l’ora che dischi cantati da maghrebini scalino le classifiche su internet. Dicevo, tu pensa a questo gruppo che nasce col rock americano, con excursus fuori, più che altro l’anno scorso – prima era più cosa che andavamo col camper e mentre sognavamo – e facevamo questo rock and roll di stampo americano, ci siamo trovati a girare l’Italia, facendo sempre casa per casa, come i Testimoni di Geova e ci siamo trovati ad adorare il paese Italia, a conoscerlo. “Villa Inferno” è stata la quadratura del cerchio, mentre “Andate tutti affanculo” era la voglia di raccontare l’Italia come l’abbiamo vista in giro dal furgoncino, dal finestrino: già l’idea era nata con “Figlio di puttana”, “Vent’anni” e… c’è piaciuto tanto, pensa tu che assurdità, questo sognare il mondo ci ha portato ad apprezzare di più casa nostra…

Un percorso appunto…

Sì, sono convinto che ci siano delle forze assurde, come abbiamo conosciuto Brian, come stanno andando le cose, ci sono delle storie che rtornano continuamente…

Hai nominato Brian Ritchie che è stato vostro colaboratore, amico, ed è stato anche il simbolo delle collaborazioni del disco passato, mentre con quest’ultimo, a parte lo stesso Ritchie, siete arrivati a Nada… e a “Vuoti a perdere”che è una delle vostre migliori canzoni e quella che le radio stanno passando. Come è nata la collaborazione?

È nato perché facendo il primo disco in italiano volevamo collaborare con un artista che la musica italiana la conosce e l’aveva vista dalla A alla Z. Noi eravamo fan, Nada poi è livornese di origine anche se vive a Roma da tanto tempo, però avevamo dei contatti e ci era venuta subito lei in mente: avevamo chiesto anche a Paolo Villaggio, ma purtroppo non c’è stato tempo, con lui avremmo voluto mettere un’intro. Volevamo, insomma, qualche artista italiano che rispettiamo e adoriamo. Lei l’abbiamo chiamata, si è innamorata degli Zen, ha conosciuto tutto un mondo indipendente che comunque già conosceva in parte molto e più di altri cantanti. Ha conosciuto il nostro produttore e adesso sta registrando il disco a Ferrara dove l’abbiamo registrato noi: io e Karim stiamo suonando chitarra e batteria e io sto scrivendo un pezzo per lei e quindi alla fine è ancora il discorso del cerchio che torna; è venuta per cantare una canzone e adesso stiamo collaborando noi con lei. Nada è grande, ha una voce meravigliosa e pensare che è dal 69 che canta, poi ha una vitalità incredibile. Abbiamo fatto un concerto qua a Pisa, è salita sul palco e sembrava di avere una ragazzina di 16 anni..

È molto rock&roll insomma…

Eh sì lei è veramente rock&roll. Lei e suo marito, che è il bassista dei Camaleonti, ogni tanto si creano questi cortocirciuiti storici fra me, Nada e lui. Una bellissima esperienza artistica, ma lo sapevamo, e umana che, invece, non sapevamo.

Insomma aspettiamo la prossima collaborazione allora. Dopo Ritchie, Nada…

Vedremo, vedremo, ma noi li vogliamo solo di una certa età. Nada, Brian, ma anche Giorgio (Canali ndr). Involontariamente finiamo sempre a lavorare con queste persone, e anche lì non l’avevamo mica scritto…

Cosa c’è di buono in Italia, cosa salveresti?

Beh sarò di parte, ma sempre gironzolando abbiamo conosciuto delle realtà, tremila realtà che strameritano, e spesso non hanno sovvenzioni, spesso sono completamente autofinanziate dai ragazzi che ci lavorano e ti parlo sia di musica che di associazioni, E io lì vedo il futuro dell’Italia, di quell’Italia che quando il vecchiume finirà e si capirà che le risorse vengono da lì, farà un salto avanti. Io credo che ci sia molto da salvare, tutte queste realtà ognuna con le sue peculiarità, persone civili (che non hanno alcuna carica istituzionale) che fanno la civiltà del paese. Quindi io vedo questo, vedo i volti di migliaia di volti di ragazzi così.

In Francia esiste uno statuto, quello di artista, che dà dei vantaggi, fiscali ad esempio. Voi siete un gruppo che ha girato molto il mondo. Cosa vuol dire essere cantante oggi in Italia tra X Factor e compagnia bella?

Sul fatto di X Factor mi rifaccio a quello che ha detto Manuel Agnelli degli Afterhours, ovvero che non è il male X Factor, c’è anche quello e ok, ma non c’è altro. X Factor è tutto. Non starò qui a dire che non abbiamo aiuto etc – la cosa che mi fa più ridere è che gli Zen, così come gli altri gruppi si confrontano sul mercato, come Berlusconi, nel senso che il nostro rapporto è imprenditoriale, non c’è niente che ci aiuti, tutto quello che facciamo è assolutamente legato alle capacità imprenditoriali che abbiamo: mi fa ridere usare questa parola, ma purtroppo è così. La fortuna è che il giorno che crolla tutto noi siamo pronti, io sono contentissimo di come è andata, ma è un delirio, sono due anni che viviamo di questo e otto ne abbiamo passati tutti e tre al limite del baraccato. Insomma non credo che debba esserci un grande aiuto, ma almeno un minimo… Non tanto al musicista, quanto alla chi deve creare affinché la gente poi lo capisca. Io vorrei semplicemente un posto dove la cultura di una certa regione sia in mano a dei ragazzi che la fanno davvero, non a delle persone che spesso sono messe lì per caso. In più essere musicisti in Italia è preoccupante… per i parenti, che ti chiedono ‘che lavoro fai?’ ‘ Il musicista’, ‘ah! E quando vai a Sanremo?’. L’idea quindi non è che solo lo stato ci debba dare una mano, ma è la cultura italiana che deve cambiare in modo che si capisca che ci sono mille realtà e mille modi diversi di sbarcare il lunario. La cultura è in mano a persone che non hanno la minima idea di cosa sia!

Senti e 5 gruppi italiani da mettere nell’iPod…

Ti dico quelli che ho io. Pan del Diavolo e Mariposa, Teatro degli Orrori e assolutamente Criminal Jokers, che sono un gruppo di Pisa che mi piacciono molto e abbiamo anche prodotto e il quinto non me la sento perché ce ne sarebbero altri centomila. Io ci credo vivamente che si possano cambiare le cose, quello del Teatro ad esempio è un disco che può farlo. Insomma gli anni novanta sono finiti e quindi vediamo di ricreare qualcosa partendo dalle ceneri di quella che è stata la musica degli anni 90 in Italia, che è stato un momento florido e meraviglioso. Quando ho sentito il disco del Teatro degli Orrori ci ho creduto tanto in questo possibile cambiamento…

Intervista a cura di Francesco Raiola pubblicata ugualmente sul portale Freakout.it

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