Ad un anno dal debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto è approdato per la prima volta a Milano al Teatro Sala Fontana “LaVertigine del Drago”. Incontro con Michele Riondino, regista ed interprete dello spettacolo tratto dal testo scritto da Alessandra Mortelliti.
Sul pezzo dei 99 Posse, che racconta gli atroci episodi di violenza dei neonazisti verso gli extracomunitari, si apre il sipario de “La vertigine del drago”, esordio alla regia di Michele Riondino per il testo scritto da Alessandra Mortelliti con lui sul palco.
La storia è quella di Francesco (Michele Riondino), naziskin alle prime armi che, durante un agguato ad un campo rom ad opera di un gruppo di neonazisti, rimane gravemente ferito. Per riuscire a mettersi in salvo, prende in ostaggio Mariana (Alessandra Mortelliti) zingara zoppa ed epilettica. Due personalità agli antipodi legate però dalla medesima condizione di solitudine e rabbia. Entrambi sono ingabbiati in una esistenza da cui vorrebbero riscattarsi, e abbandonati dai loro stessi clan d’appartenenza.
Michele Riondino, che abbiamo incontrato al Teatro Sala Fontana di Milano, dove lo spettacolo è andato in scena dal 18 al 23 febbraio, racconta che il suo personaggio è un ragazzo con un rapporto turbolento con il padre, che ha perso il lavoro di muratore, già precario, a causa della manodopera a basso costo degli immigrati. Non è solo uno skinhead rozzo e violento ma rappresenta l’italiano medio ignorante che parla per luoghi comuni. “Succede infatti che” – dice – “giudichiamo le altre culture senza conoscerle, ed è così che fa Francesco giudica Mariana senza conoscere la sua storia. Dall’altra parte Mariana non è una semplice zingara, ma una donna che vuole emanciparsi, magari studiare medicina”.
“Il lavoro sui personaggi” – continua – “nasce dall’esasperazione dei cliché mettendoci anche un pizzico di ironia. Così, da una tragicità iniziale, si passa ad una
situazione quasi grottesca”.
Nonostante la drammaticità della tematica, Riondino riesce a realizzare una regia fresca e d’impatto attraverso la simbiotica alternanza delle musiche dei Moderat
e dei Tool (sapientemente mixate da Francesco Traverso) e il gioco di luci quasi psichedeliche ad opera del light designer Luigi Biondi.
“L’odore degli zingari è come il mare / come il mare arriva e non sai da dove…” cantava nel “Canto di primavera” il grande Francesco Di Giacomo da poco scomparso. Mentre per De Andrè: “Gli zingari sono un popolo che gira il mondo da più di 2000 anni, afflitto o affetto … forse semplicemente affetto da quella che gli psicologi chiamano “dromomania”, cioè la mania dello spostamento continuo, del viaggiare, del non fermarsi mai in un posto. E’ un popolo, secondo me, che meriterebbe – per il fatto che gira il mondo da più di 2000 anni senza armi – il premio Nobel per la pace in quanto popolo”.
Lontani echi rivoluzionari di tolleranza e amore che ormai non ci sono più.
Chiara Lostaglio