I giorno del Covid-19 #iorestoacasa con Gabriele De Masi, dall’Irpinia, provincia di Avellino, in Campania.
Dall’Irpinia, Gabriele De Masi, poeta, ci scrive e ci propone queste 5 poesie che pubblichiamo, con le quali esprime l’ansia che questi giorni ci impongono e la speranza che non ci lascia di rivedere presto un nuovo giorno.
Esprime De Masi la solitudine spezzata dal canto che dalle finestre altrui arrivano alla sua, come canto di sirena, una speranza, che s’intravede, un inno alla solidarietà.
Ogni voce si fa grido, ricerca dell’altro, ed è vero che in questi giorni di stretta quarantena, si è riscoperto il bisogno dell’altro, quell’io che si fa noi. Come api ronzanti stiamo alle finestre, cellette di un alveare, indaffarati tutti a placare l’affanno.
La natura ritorna a farsi sentire nel silenzio delle città che tacciono, ritorna la primavera, ritorna energia e la certa dignità di un domani nuovo e più forte “Con un po’ di sole e un sorso d’ acqua / la linfa riprende a verdi foglie”.
Vi lasciamo alla lettura delle sue belle e sincere poesie con le parole con cui lo stesso Gabriele De Masi ce le ha presentate:
“Fanno parte del dolore e dell’ispirazione di notti di brutte notizie che non ci lasciano. Può essere, la mia, una testimonianza dignitosa d’un figlio che riflette e spera? L’Irpinia, terra di malepassi, sofferenze, lupi, braccia migranti per il mondo, rughe sul collo, mani di solchi di vanga e croste di fatica, d’imploranti preghiere e dure tozze di pane, guarda attonita l’orizzonte. Anche nelle più terribili mancanze e laceranti tremuoti, mai ha smarrito la speranza di cuori semplici, infantili, genuini e fiduciosi dei suoi figli. Non vincano l’ansia e la paura. Rivedremo di nuovo le stelle. Ci rivedremo”.
Abbiamo tutti un bacio dalla sorte
proprio quando non ce l’aspettiamo,
distratti sempre, forse, perché è così,
questo eterno enigma del voler sapere.
Aspetta tutti un bacio nella notte,
castigo, salvezza, non ci si fa caso,
facce di dadi senza totale, persi,
diradanti tra i fumi del risveglio.
Lacera l’orizzonte una sirena, roca
procede, s’avvicina, s’allontana,
là, più in là, certo, scollina,
nella via neanche un passante,
m’affaccio al davanzale, netto giunge
dalle case popolari, l’Inno d’ Italia.
***
Ci si chiama dai balconi,
tu gridi, io più di te,
a farmi sentire da chi
neanche conosco, noi,
nelle cellette d’alveare
dei condomini, nell’ansia
che passi questo nuovo
tempo d’ affanno.
***
Non è stato, per caso, dato
a un grande popolo tanta
smisurata, abbagliante bellezza.
Penosi giorni d’attesa,
non saremo, Madre Italia,
novella Atlantide, sommersa
nei gorghi dell’oblio.
Smania la muta pretesa
all’amaro sapore di giornata,
ricerca, chiedere il domani.
Attendiamo. Ché soffi presto
il vento nuovo dal bosco
alla città, con la volpe, il gatto,
il merlo, la farfalla e l’uomo
che riattizza la fiamma nel camino.
***
Quasi, foglie secche in primavera
agli angoli delle strade senza vita.
Ricorda una mia vecchia zia
che ben sa di malanni e guai
che mai la speranza svanisce
alla pianta che lenta rinsecchisce.
Con un po’ di sole e un sorso d’ acqua
la linfa riprende a verdi foglie.
***
Stiamo nelle case,
ai vetri delle finestre,
lo sguardo con le nuvole,
sento tramontana,
fredda nelle carni,
tarda ancora primavera,
non ci basta.
Fai presto estate,
calda, questa;
nuova, prossima estate.
Gabriele De Masi
La poesia, la nostra isola di sopravvivenza.
Gabriele, strepitoso come sempre!
P.S. Ne aspettiamo una sulla benedizione del Papa Urbi et Orbi.
Un forte abbraccio.
Un italiano di grande sensibilità.
Un galantuomo.
Un amico.