Rubrica Un libro Una città.
Dominique Vivant Denon (1747-1825) era un diplomatico, incisore, scrittore e egittologo francese che ha accompagnato le spedizioni napoleoniche. Dal 1804 fu direttore generale dei Musei e come tale fu il primo organizzatore del Museo del Louvre. Questo viaggio in Calabria è del 1778 (Rubbettino Editore pp.56, 8€).
Il testo a cura di Antonio Coltellaro, inedito in Italia fino al 2002 e fino a pochi anni anche in Francia, raconta un itinerario che attraversa tutta la Calabria fino a Reggio. È una testimonianza interessante e in controtendenza rispetto agli altri viaggi che hanno descritto questa terra come inospitale, infestata da banditi e poco bella.
Vivant Denon invece ne fa un terra incantata da “giardino delle Esperidi”, una sorta di paradiso terrestre, sospesa tra leggenda e storia come piace a me, specie per la mia città di Reggio: la visione è di prosperità feconda della natura a prescindere dai casolari abbandonati o dai monasteri fatiscenti che incontra.
Dal testo “Calabria felix” di Dominique Vivant Denon, pag. 40
Saliti a cavallo, giungemmo ben presto alla punta delle Armi, un tempo Leucopietra o Finis Appennini. È proprio in questo luogo che termina la principale catena degli Appennini. Le onde sbattendo contro la base della montagna l’hanno totalmente scoperta dalla cima alla base, formando un dirupo perpendicolare di 250 piedi. Gli strati spigolosi e simmetrici attestano che questa montagna finiva a pochissima distanza dallo stretto cammino dove si passa attualmente. La natura di questa pietra è friabile, impossibile da tagliare e lucidare e della stessa natura del quarzo. Dopo aver superato questa punta che ha 200 passi di diametro, il terreno si allarga, le montagne si allontanano e la campagna diventa fertile, coperta di gelsi e di abitazioni dove si alleva il baco da seta. È là che si scopre il bel bacino che formano la Calabria e la Sicilia incrociandosi al faro di Messina, ciò che dà a questo stretto l’aspetto d’un immenso e superbo lago, coperto di edifici, terminante in anfiteatro, con le più belle montagne, le più coltivate e con le due città di Reggio e Messina. La vastità di questo quadro, sublime da dipingere è quasi impossibile da descrivere. Non sono che case separate da boschi di limoni e aranci, boschi cedui attraversati da lunghi pergolati, impenetrabili al sole, d’un verde intenso, sul quale si distacca così riccamente il colore d’oro delle arance, che, sospese dalle mani, sembrano invitare a coglierle. Il fiume Calencia che attraverso dei canali innaffia e rende fertili tutti questi giardini scorre in un canale dalla parte del sentiero. Il sentiero è coperto di pergolati elevati i cui pampini promettono frutti maturi per il tempo in cui gli aranci offrono solo i fiori. Questa strada che sembra preparata per il trionfo di Bacco, conduce sino alla città di Reggio, che non conserva niente del suo antico splendore ma che è ancora piacevole e abbastanza popolata.
Arrivando a Reggio, la nostra prima preoccupazione fu di rinviare i muli e le loro guide più testarde degli animali, benchè con la condiscendenza più umile; io non chiedevo mai quante miglia ci fossero da un luogo all’altro per non sentirmi rispondere: come ordinerà Vostra Eccellenza Illustrissima, ma nonostante le loro gentilezza, facevano sempre di testa loro.
Comunque è questo il solo modo di viaggiare e consiglierò sempre di preferire il basto alla sella, perchè, quantunque dapprima sembri più scomodo, finisce con l’essere meno stancante e meno soffocante. Guardammo sulla carta l’immmenso giro che avevamo fatto dalla nostra partenza da Napoli: 756 miglia in 25 giorni di marcia e di cammino effettivo. Avrei con piacere veduto a Reggio la tomba della famosa Giulia, figlia di Augusto e moglie di Tiberio, che vi morì in esilio di fame e di miseria, ma, a quanto pare, essa non vi ha mai avuto un monumento che l’abbia conservata alla posterità, quanto la celebrità dei suoi amori, delle sue dissolutezze e delle sue disgrazie.
Gaetanina Sicari Ruffo