Un buco nero con il nulla intorno.

Va bene. Anche io ho visto, come tutti, la « prima foto » di un buco nero. Letto i commenti entusiasti. «Un risultato scientifico straordinario», «una scoperta scientifica di immane valore» sul «più grande mistero dell’universo». Gli interminati spazi (e i sovrumani silenzi), l’orizzonte degli eventi, l’universo finito o infinito, le galassie. Gli scienziati entusiasti, con quell’aria di quieta razionalità sul volto, di chi sa, di chi è oltre, lontano dalle miserie del vivere, dal sudore umiliante dei contatti. Di chi posa lo sguardo su mondi lontanissimi. (Mentre noi, certo, siamo presi da cose stupide e vane). Anche se a ben guardare anche loro (come noi) portano sul viso la loro vita. I giorni di convegno, i laboratori, l’intelligenza, le carriere, le rivalità, la cattedra ambita, la direzione del dipartimento, i biglietti da visita con tanti titoli, le pubblicazioni, la recriminazione (la sera a casa) del perché lui e non io. Per poi, un giorno d’aprile (il mese più crudele), trovarsi con una fotografia che mostra un posto dove, se ho capito bene (probabilmente no), di luce non ce n’è.

Crédits : The EHT collaboration

Perché in un buco nero non c’è niente. Nada de nada. Come in una città di provincia (o nel XVI arrondissement a Parigi) la domenica pomeriggio, per capirci. In un buco nero (gli scienziati potranno confermare o precisare ove necessario) non c’è un caffé, un libro, non c’è la speranza di incontrare una ragazza a passeggiar : neanche un prete per chiacchierar. Questi buchi neri sono enormi, lontanissimi e non c’è niente dentro.

In una pagina dei suoi diari (o forse in una sua poesia, non so più) Paul Klee dice, parola più, parola meno : pensa di essere morto e che dopo molti anni ti venga concesso un solo sguardo verso la terra. Uno solo. Vedrai un lampione e un vecchio cane con la zampa alzata. « Singhiozzerai dalla commozione ». C’è il vecchio cane e poi certo, c’è anche dell’altro. Il buco nero. L’universo. Il fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza (i filologi dicono : canoscenza. Va bene. D’accordo). Ulisse, la tensione verso l’ignoto. Cristoforo Colombo, il mondo nuovo, un piccolo passo per un uomo ma grande per l’umanità. Le magnifiche sorti e progressive (anche se Leopardi, va pur detto, quell’espressione la usava in modo critico). Sì, c’è questa tensione verso la conoscenza, o canoscenza come dicono i filologi citando Dante. Io tutto questo lo capisco, ci mancherebbe. Però devo dirvi (e che resti tra noi) ciò che è orrendo conoscere, come scriveva il Pier Paolo.

A me del buco nero (mi dispiace) non frega niente. Ma proprio meno di zero. E in quella foto non trovo né bellezza né mistero. Se non nella rappresentazione, direi oscena e compiaciuta, pornografica, del nulla. E allora mi chiedo se l’ossessione della scienza, che è in fondo la religione secolare del nostro tempo, con i suoi sacerdoti e i suoi testi sacri , non sia l’espressione più compiuta del nichilismo. Dell’inseguire il vuoto e il nulla, del venerarlo. Mentre io credo che la vita (la porca vita che ci innamora) non sia altro che un tentativo, certo inutile e vano, ridicolo e sciocco, di sfuggire, a quel nada nostro che sei nei cieli. La fotografia (che poi fotografia non è) del buco nero probabilmente riesce a dare risposte alle domande degli scienziati, che sono giuste e importanti. Per loro. Ma non ci dice perché io sono io, e perché non sei tu. Come si chiedeva il bambino dell’elogio dell’infanzia di Peter Handke. (« Come può essere, che io, che sono, prima di essere, non ero, e che io, che sono, un giorno non sarò più quello che sono? »). Non svela nessun mistero. Nella tenebra il tesoro giace inalterato.

Quella foto (che foto non è) conferma invece, io credo, che non troveremo nulla di più, nell’universo infinito, di quello che portiamo dentro di noi. Poco o tanto che sia. E che lo schifo che siamo (un pozzo che fissa il cielo, per Pessoa) è il tutto che c’è. « E sento che hai ragione se mi vieni a dire che l’uomo sta correndo, e coi progressi della scienza, ha già stravolto il mondo », scriveva Giorgio Gaber. « Però non sa capire che cosa c’è di vero, nell’arco di una vita, tra la culla e il cimitero ». Forse non c’è nulla di vero, c’è solo il nulla che ci circonda. Temo che la scienza, che quel nulla insegue e venera e quel nulla ci mostra con entusiasmo, sia davvero la più crudele delle religioni.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

2 Commentaires

    • grazie. Ho anche ricevuto qualche commento di segno opposto. Che mi ha accusato di pregiudizi antiscientifici. Il che (anche se è difficile giudicare dei propri pregiudizi) non credo sia vero. Il suo commento mi conforta. Un cordiale saluto, Maurizio

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