Iniziamo la pubblicazione – a scadenza regolare – di alcuni racconti brevi che l’autore, Ennio Cirnigliaro, archeologo e storico, definisce “racconti psicogeografici”. Sono le cronache, le meditazioni di un “flâneur” attraverso luoghi reali o sognati di diverse città, quartieri, strade. Sono storie vere, a volte di fantasia ma sorgono tutte da un dove preciso, reale, dalla cartografia personale dell’autore.
Il nostro Autore ne parla così:
Dei racconti e delle strade mi piacciono gli spazi bianchi, le comparse, gli incisi, le parentesi, le sfumature, i particolari secondari che passano dopo essere durati il mero momento della loro percezione, per tornare nel nulla in cui erano, un po’ come la nostra esistenza. Su quegli attimi, su quegli spazi bianchi, su quelle parentetiche esistenze, flebili e labili come falene di cui vediamo solo l’ombra tremolante proiettata sul soffitto dal lampadario fioco, mi aggrappo con disperata tenerezza, come a voler comunicare tutto il bene che voglio loro, pur sapendo di non avere tempo. E allora cerco di fissarli quei particolari creduti insignificanti. Come Brassens con le passanti, fantastico orizzonti e vite negli anfratti di seconda o terza classe ai più indifferenti. Fotografo quello che passa non per catturarlo né per impedirgli di esistere senza che io lo sappia (il più gratuito, e dunque più bello, fra i diritti) ma semplicemente per omaggiare la vita, così enorme da creare universi di sconosciuti e universi sconosciuti […]
Piazza Caricamento, Genova
La mattina in piazza Caricamento la gente corre con lentezza, come nel famoso detto latino, davanti alla quinta perenne della tavolozza di Sottoripa, dove gli odori di lontano, mescolati alla focaccia ed al caffè, portano la Babele di voci e lingue, che nemmeno una radio a onde corte potrebbe trasmettere. E come la radio a onde corte, interferenze, suoni e rumori, si mescolano in Piazza Caricamento restituendo un rumore – o un suono – di fondo dal retrogusto di sale e viaggio come solo certe città, certi mari e certe latitudini ti sanno dare.
In certe mattine poi, quando il salmastro sale, incuneandosi nei vicoli come un viaggiatore curioso, la nostalgia ed il viaggio, che sanno di fado e di tango, di Buenos Aires, Valparaiso e Lisbona, ti fanno venire quella voglia di vederci chiaro, di alzare lo sguardo giusto quel centimetro oltre la strada, così da cercare di capirci qualcosa, di tutta questa vita, di tutti questi respiri, di tutta questa ambrata sensualità mescolata a stratigrafie di nostalgie e viaggiatori, e portolani e bauli, e addii e arrivederci in bianco e nero, e tutte quelle facce e voci.
E allora prendi il primo vicolo e sali, sali, sali, puntando a Castelletto, ansimando sulle strade di mattoni e pietra, con occhio curioso dietro ai cancelli, dove limoni, olivi e pini ti rimettono nel Mediterraneo, mentre pensavi di stare in qualche Oceano strano e indicibile. Da lassù, alla fine, tutto si fa più chiaro e l’orizzonte ti risolve i dubbi. Ma solo per un istante: i dubbi ti chiamano e vuoi tornare giù. E la voglia di farti domande, e l’odore del caffè e della focaccia.
Via Pré
La prima volta che scoprii l’Africa fu in Via Pré, non ricordo nemmeno l’età che avevo. L’Africa aveva il volto di una donna, anche lei senza età come me, anche se forse lei, a differenza di me, che ero un cosino saltellante con le gambe corte, sapeva l’età che aveva. Stava seduta al bordo della strada (perché a Genova abbiamo ancora le sedie in mezzo alla strada, nei vicoli, e la gente ovunque), con le rughe che segnavano intrecci sul suo volto, lo sguardo vivo, prospettico, profondo, e merci di ogni tipo esposte, dalle radioline a transistor ai legumi. In silenzio, come i mercanti antichi descritti dai Greci, attendeva l’arrivo degli acquirenti, che infatti si manifestavano da lì a poco, giungendo da ogni angolo del Pianeta: sudamericani , asiatici, magrebini e addirittura genti della Val Polcevera e della Val Bisogno, mescolati a dare quel particolare colore fatto di tanti colori che è Via Pré, la strada dove da più di mille anni si riunivano i marinai e le loro storie, nonché le loro promesse, incrociando gli odori , i sapori, il perenne salmastro che ti scende nell’anima, tanto che a molti si trasforma in sentina, perché qui sono dei sentimentali, con la N, cioè dei sentimentali non sempre limpidi, come in fondo è tutto il mondo – e scusate la rima non voluta, ma Genova è un blues, un rap e un rebetiko – e ancora di più Via Pré, che del mondo è sintesi.
Sarà per questo che Via Pré fa schifo e paura ai soliti molti, maggioranze silenziose a perenne garanzia dei soliti pochi (guai a chiamarli minoranze, ma Dante e il suo contrappasso cadrebbero proprio a fagiolo), quei molti che la vedono escrescenza, sud metastorico e metafisico, cancro da estirpare con diradamenti (parola magica che usano a Genova i coventrizzatori del centro storico , quelli – tanto per dire- che buttarono giù la casa di Paganini in una notte, salvo scordarsi di fare manutenzione a strade, autostrade e ponti), da negare, da tentare senza successo di gentrificare con botuliniche iniezioni di croceristi con sandali e calzini, che qui durano lo spazio di uno shopping.
Ero un bambino quando scoprii Via Pré, ed ogni volta in cui la riscopro, ritorno ad esserlo.
Ennio Cirnigliaro
Da scrittore e genovese faccio i complimenti a Ennio Cirnigliaro per il tono colorato e veritiero con cui ha scritto l’articolo. Io abito proprio sotto alla piazzetta dove i genovesi hanno posto una lapide, « colonna infame », come segno di disprezzo per i politici comunali che avevano deciso di abbattere un intero quartiere, Madre di Dio, di cui faceva parte la casa di Paganini. Quelle parole indignate, davanti a cui passo ogni mattina, sono uno stimolo a non rientrare nella maggioranza silenziosa, ma a protestare con coraggio quando la situazione lo richieda.