Antonia Pozzi, poetessa italiana tra gli anni ’20 e ’30 (si tolse la vita a soli ventisei anni), e voce intensa e originale della poesie italiana contemporanea, è recentemente riproposta dalla Garzanti Editore con una selezione delle sue migliori poesie: una raccolta poetica dal titolo “Tu sei l’erba e la terra” (2020) di cui ci parla Rita Bompadre.
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“Tu sei l’erba e la terra” di Antonia Pozzi (Garzanti Editore, 2020) è una dichiarazione indistinta di solitudine sfumata nel disincanto dell’anima, appassionata e struggente, in un’unica e sconfinata poesia d’amore che la poetessa ha rivelato per tutta la sua breve vita.
La nostalgia, l’arrendevole passione, la ritualità evocativa delle sue confessioni, sono il terreno propizio custodito nei versi, avvolti da un’apparente quiete di grazia e rassegnazione, assorbiti nell’essenza crepuscolare e nella dissolvenza espressionista della malinconia. Le parole, commosse ed orgogliose, sostengono la perdizione dell’assenza.
La poesia di Antonia Pozzi accoglie il sortilegio dell’impulsività avvicendando il ricordo di una condanna sentimentale, nella sua passione per il suo amato professore, con il suo corteggiamento infelice e tormentato, consumato dal dolore e da un’aspettativa non corrisposta. I testi sono salvifico intervallo nella dilatazione emotiva e richiamano l’autentica e trascinante forza magnetica della natura, conforto originario di serenità e grembo di affinità romantica, oltrepassano le stagioni ostinate delle promesse e della dignità riconosciuta “sulla via dei luoghi amati”, dove l’avvenenza sussurra, sincera e fedele, l’estetismo poetico nello specchio dei movimenti sinuosi delle adorate montagne.
La poetessa è testimone della riservata e rigorosa decadenza che addensa l’ostilità delle ombre e scava nelle atmosfere desolate dello spirito. Il mondo, elegantemente violento e superbo, è fatto di desideri e illusioni, si nutre di lacrime e di attese e la poesia visiva di Antonia Pozzi è un’immutabile e rarefatta inquietudine scandita dallo squilibrio degli indugi.
Il destino della poetessa non ha via d’uscita se non nell’unico finale possibile e stringe intorno a sé l’esasperata povertà della sostanza di un sogno infranto, di una lacerante lusinga di chi desidera il ritorno alla vita, al vivere in poesia. I versi ascoltano il respiro di una sacrificata sensibilità, affondano nella memoria il rovescio di una pena abbracciata all’esistenza ferita. Le poesie di Antonia Pozzi giunte solo postume tornano a far luce e rumore da “un’esile scia di silenzio”. Presagio rappresentativo è la fatalità improvvisa di chi muore giovane e suicida condividendo nell’intreccio al male di vivere che accomuna altre importanti poetesse, l’impossibilità di colmare il vuoto interiore, premeditato nell’incompatibilità della disperazione di una morte intenzionale.
Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”
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Di seguito 5 testi selezionati da “Tu sei l’erba e la terra” di Antonia Pozzi (Garzanti Editore, 2020).
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Lampi
Stanotte un sussultante cielo
malato di nuvole nere
acuisce a sprazzi vividi
il mio desiderio insonne
e lo fa duro e lucente
come una lama d’acciaio.
(S. Margherita, 23 giugno 1929)
Sfiducia
Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe,
troppo leggére
per lasciare un’impronta –
tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue
– altre cose intendendo –
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.
(16 ottobre 1933)
Pensiero
Avere due lunghe ali
d’ombra
e piegarle su questo tuo male;
essere ombra, pace
serale
intorno al tuo spento
sorriso.
(maggio 1934)
Convegno
Nell’aria della stanza
non te
guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà
nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora – in lontani istanti –
sul mio volto.
(29 maggio 1935)
Brezza
Mi ritrovo
nell’aria che si leva
puntuale al meriggio
e volge foglie e rami
alla montagna.
Potessero così
sollevarsi
i miei pensieri un poco ogni giorno:
non credessi mai
spenti gli aneliti
nel mio cuore.
(8 giugno 1935)
Antonia Pozzi nasce a Milano nel 1912, originaria di una famiglia borghese di grande prestigio, padre, importante avvocato milanese, e madre di origini nobili. Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente, studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove intreccia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 a causa delle forti ingerenze da parte dei suoi genitori. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, e segue le lezioni del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. Antonia Pozzi tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, viaggia, pur brevemente, in molte nazioni europee, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, in provincia di Lecco, dove scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene.
La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all’università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili».
Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrisse quell’anno a Sereni.
A soli ventisei anni si tolse la vita in una sera di dicembre del 1938: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite.
LINK INTERNO: Una selezione di sue poesie è stata recentemente tradotta in francese e presentata in una delle RENCONTRES DE LA LIBRERIA a Parigi nel gennaio 2019: ANTONIA POZZI, UNE VIE IRREMEDIABLE