Un film che aveva colpito molto l’attenzione della critica e del pubblico all’ultima Mostra del cinema di Venezia, non italiano, ma forse fra i migliori della stagione, ci scrive il nostro Armando Lostaglio, con un magnifico Brendan Fraser che ha appena vinto l’Oscar del miglior attore. Per interpretare il protagonista Charlie si è sottoposto a un’incredibile trasformazione fisica, con il trucco prostetico. Al cinema anche in Francia (vedi Allociné)
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È pura letteratura visiva. Emozioni: riuscire a coniugare Melville e Leopardi. La Bibbia e Nietszche. All’ultima Mostra del Cinema di Venezia (in concorso) aveva ricevuto circa dieci minuti di applausi, meritatissimi. The Whale, il film diretto da Darren Aronofsky, racconta – nel chiuso di un appartamento – la storia di Charlie, un magnifico Brendan Fraser, che ha appena vinto l’Oscar. E’ un professore d’inglese che soffre di grave obesità (oltre 200 kg), tiene corsi universitari di scrittura online, tenendo sempre la webcam spenta, proprio per evitare che gli studenti lo vedano. Charlie ha perso ogni rapporto con il mondo esterno, compreso il legame con la figlia adolescente, Ellie (Sadie Sink), che non vede da diversi anni. L’unica persona che Charlie frequenta è Liz (Hong Chau, anche per lei un Oscar), l’infermiera che lo aiuta con le medicazioni e le cure. Ma la sua fine è tracciata, pertanto l’uomo decide di riavvicinarsi ad Ellie (la giovane Sadie Sink) per inseguire un’ultima possibilità di redenzione. Intanto, nella sua vita entra anche Thomas (Ty Simpkins), un giovane attivista di New Life Church il quale tenterà di approfondire passi biblici. Ma cosa ci sarà stato di così terribile nella vita di Charlie da lasciarsi andare su quel calvario del corpo?
The Whale è l’adattamento di una pièce dell’autore americano Samuel D. Hunter, scritto quando aveva una trentina di anni. La sceneggiatura (cui ha collaborato) ha il pregio di porre i personaggi in una equanime dimensione (c’è spazio anche per Samantha Morton, perfetta interprete della moglie): metafore esistenziali e riscatto da una vita di “errori” pur nel segno del suo amore sublime. Charlie insegue in fondo una missione, un paradiso ipotetico: fare solo del bene. Una specie di “medico dell’anima” pur in una condizione di eremo sociale.
Raramente l’obesità è stata raccontata sullo schermo con una tale “gravità”. La balena del titolo rimanda al Moby Dick, allusiva passione di Charlie, che poi è l’unica storia che rilegge con la figlia Ellie. Ma quella di Charlie è una reclusione forzata, un’espiazione e un martirio. Si sta lasciando morire, sotto il peso (non solo fisico) di colpe e ostilità di una famiglia che ha rotto i rapporti con lui.
Il film mantiene un impatto di impulsi ansiosi, racchiude persino un « gioco » cromatico: schermo nero e schermo bianco a voler suggellare l’andare altrove del protagonista. Non è, dunque, importante sapere che la fine incombe, è straordinario come la sceneggiatura (perfetta) pone lo spettatore a vivere ogni istante come primordiale, fra amore rimorsi e redenzione. La “balena”, nel finale, guadagnerà il cielo, lievitando nel bianco assoluto.
Il regista americano Aronofsky ritorna a “lavorare” sul corpo: lo aveva fatto anche con The Wrestler, (Leone d’oro a Venezia, 2008) recuperando un magnifico Mickey Rourke.
Il corpo quale terreno di conflitto per evocare una rinascita.
di Armando Lostaglio