“Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto”. Come in questa pagina di Borges, anche Sergio Staino, con le sue strisce e il suo personaggio Bobo, ha raccontato soprattutto sé stesso. Capita quasi sempre così a chi scrive, disegna, racconta. Ma, per uno di quei miracoli che accadono talvolta, in quell’immagine riflessa nello specchio (l’ho fatto solo un po’ più brutto di me, diceva) in tanti hanno potuto ritrovare il proprio volto.
Quello del militante della sinistra italiana del dopoguerra: “infanzia cattolica, adolescenza ingraiana, giovinezza maoista, tarda giovinezza filoalbanese, pre maturità togliattiana, post maturità tra Arbasino e García Márquez”. Un mondo pieno di vita, di speranza, di cose (intendiamoci) non tutte belle e non tutte sante. Spesso alle prese con contraddizioni inestricabili. La foto di Che Guevara nel portafoglio e le vignette per dire a Fidel Castro di liberare i dissidenti. I viaggi in gioventù in Albania, e il disegno magnifico e terribile nel 1989 (dopo la repressione cinese di piazza Tienamen), di Bobo che tiene tra le braccia una ragazza sanguinante con le sembianze della figlia, e dice: bel lavoro, “compagno” Deng. Lì dentro ci sono tutti i tormenti e le contraddizioni della sinistra. Da un lato, la convinzione, e quasi l’imperativo categorico di essere dalla parte giusta: quella di chi vuole giustizia e pace, di chi non sopporta che qualcuno abbia tutto e altri niente. Dall’altra parte l’angoscia di chi vede che anche dalla parte “giusta” (virgolette d’obbligo) ci sono cose terribilmente sbagliate e intollerabili: i regimi autoritari e totalitari, i dissidenti imprigionati e uccisi, le promesse tradite, il “paese pulito in un paese sporco”, come diceva Pasolini, che a volte si accorge di non essere davvero tale.
Quelle di Staino sono caricature che forzando un tratto apparentemente semplice, evidente della realtà ne rivelano l’intima complessità. Svelano quell’essere “con te e contro di te” (così diceva Pasolini di Gramsci) che ha caratterizzato la vita di tanti militanti di sinistra. La polarizzazione estrema del dibattito pubblico attuale, che trasforma ogni discussione in uno scontro tra cieche tifoserie, ha quasi cancellato nella percezione comune l’idea che si possa aderire a un campo, e nello stesso tempo esserne i primi critici, e talvolta (come suggeriva Norberto Bobbio) accogliere in sé le ragioni del campo avverso, attraversarle. Ed eppure (qui sta la vitale contraddizione del suo racconto) nel racconto di Staino l’esercizio del dubbio non incrinava, ma anzi confermava quella lunga fedeltà al proprio campo.
Staino non aveva la misteriosa enigmaticità di Altan, nelle cui vignette il non detto prevale su ciò che è pronunciato, e in cui, come nelle narrazioni mitologiche, il racconto evoca un mistero, non lo svela. Aveva invece questo formidabile intuito, questo istinto da segugio per la semplicità, la capacità di conoscere sé stesso, di pronunciare ad alta voce ciò che molti già pensavano in cuor loro. Era un bell’uomo, con gli occhi taglienti. Quegli occhi su cui era caduta una crescente oscurità; per paradosso (la “sublime ironia di Dio”, diceva sempre Borges a proposito della sua cecità) proprio nel momento, verso i quaranta anni, in cui aveva cominciato a fare le sue “strisce” per il Linus di Oreste del Buono.
Sergio Staino, nel 2017, era venuto a Parigi, con sua moglie Bruna, bella come la Bibi delle strisce (“ma tu sei Bibi!”, le avevo detto quando l’avevo vista). Dopo i vari incontri, c’era sempre chi chiedeva un disegno. Vedeva pochissimo. Si chinava, il volto vicinissimo al foglio, quasi a toccarlo, e disegnava. Fino a un istante prima non c’era nulla, la pagina bianca; e ora dal pennarello era spuntato Bobo, immediatamente riconoscibile, inconfondibile. Avevamo assistito al rinnovarsi di un antico miracolo. Lui alzava il volto dalla pagina e tornava a fissare qualcosa che non vedeva.
Ora restano quei disegni, quei segni neri sulla pagina bianca, e il fruscio di un tempo, quello che ci ha portato all’oggi, che sembrava eterno ma ormai è trascorso, proprio come ogni vita. Sergio Staino è morto il 21 ottobre, e noi siamo qui, sempre più soli.
Maurizio Puppo
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LINK ALTRITALIANI PER APPROFONDIMENTI:
Sergio Staino a Parigi: Le storie che ci ha raccontato.
Il disegnatore satirico Sergio Staino, che ha raccontato con Bobo e altri personaggi, l’Italia nei suoi ultimi 40 anni, è stato ospite in Francia una settimana a novembre 2017. Lo aveva intervistato per temi il nostro Maurizio Puppo.