Sebastiano Satta e Pasquale Dessanay, due intellettuali, due poeti. A penna di Giovanni Graziano Manca l’articolo ritraccia il profilo di Sebastiano Satta avvocato, giornalista e poeta e Pasquale Dessanay misterioso e rivoluzionario poeta. Entrambi nati a Nuoro, in Sardegna, nella seconda metà dell’Ottocento. Un periodo di grandi rivoluzioni sociali e politiche, in una città che all’epoca era definita l’Atene della Sardegna per il suo grande fervore intellettuale, animata da grandi letterati tra cui Maria Grazia Deledda (Premio Nobel nel 1926).
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Sebastiano Satta (Nuoro 1867–Nuoro 1914) e Pasquale Dessanay (Nuoro 1868–Uras 1919) vivono, operano e scrivono nella loro città in un contesto storico e sociale tempestoso che inizia nei tardi anni Sessanta dell’Ottocento e si spinge nel tempo fino ai primi lustri del secolo successivo. Giova precisarlo: sono i decenni immediatamente successivi alla rivolta cosiddetta de Su connottu, avvenuta nel capoluogo barbaricino nel 1868 e messa in atto da una popolazione portata allo stremo e ridotta in povertà dalla legislazione sulle chiudende risalente agli anni Venti del XIX secolo.
Anni tormentati per l’isola, in modo peculiare per le zone più interne di essa: in Sardegna sono particolarmente avvertiti gli effetti negativi della atavica limitante situazione di fatto che deriva dall’insularità, della disastrosa e generalizzata crisi dei commerci, dei risultati di una economia delle campagne condotta a livelli di mera sussistenza, della mancanza di infrastrutture, soprattutto ferroviarie, per la introduzione delle quali tanto si batté il politico e giurista bittese Giorgio Asproni.
Questi anni turbolenti sono gli anni di una acquisita maggiore consapevolezza, anche da parte dei sardi di Barbagia, di una condizione diventata ormai insostenibile. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo XX, infatti, l’ideale socialista inizia a sensibilizzare buona parte delle popolazioni dell’interno dell’isola coinvolgendo intellettuali, artisti e letterati. A Nuoro iniziano a svilupparsi una orgogliosa volontà di partecipazione alla lotta contro l’ingiustizia e una vigorosa incontenibile passione civile. In una temperie di grandi cambiamenti economici, politici e sociali densa di irrepetibili fermenti culturali, in quella che viene definita la ‘Atene sarda’ opera una moltitudine di personaggi rilevanti per indole e cultura che ne animano la vita altrimenti poco vivace: oltre a Sebastiano Satta e a Pasquale Dessanay (i due poeti saranno tra i migliori interpreti delle condizioni in cui all’epoca versa la gente di Nuoro e del centro Sardegna), Grazia Deledda, Francesco Ciusa, Antonio Ballero, Giovanni Antonio Mura, Giacinto Satta; questi ed altri intellettuali fanno parte di una ‘folla’ di personaggi di gran merito che contribuiranno a rendere importante e conosciuta ben oltre i confini regionali la città di Nuoro.
Di Sebastiano Satta, vate sardo per eccellenza, conosciamo molto. Sono innumerevoli, peraltro, gli studi sulla sua figura di avvocato, giornalista e poeta, numerose le pubblicazioni monografiche che ne approfondiscono la vita e l’opera e/o che contengono suoi scritti e poesie.
Su Satta avvocato si è detto che fu grande per la sua oratoria e per il senso vivo della dialettica forense; “Aveva una pronta intuizione; intuiva rapidamente il fulcro della questione che gli veniva sottoposta. In più aveva una conoscenza perfetta del tessuto ambientale in cui operava.” (Priamo Siotto in “Atti del convegno nazionale di studi Sebastiano Satta nel centenario della morte 1914-2014. Un canto di risarcimento”).
Sul Satta giornalista valgano per tutte, invece, le parole di Vincenzo Soro, che ne parla come di un cronista di primissimo ordine e di un artista della cronaca.
Il poeta, infine: nell’opera del Satta sono riconoscibili le influenze esercitate dal Carducci, da D’Annunzio, dai poeti minori del secondo Ottocento e dalla poesia sarda semicolta. Da una parte, sullo stile sattiano, Giuseppe Petronio in un convegno tenutosi a Nuoro nel 1964 (l’insigne docente aveva appena lasciato la cattedra di letteratura presso l’Università di Cagliari) ebbe a dire che la poesia del nuorese aderisce a “[…] un gusto che il Carducci aveva diffuso, o del quale il Carducci aveva dato i documenti maggiori, ma nel quale uno scrittore diverso – anche se «minore» rispetto al Carducci – poteva pur dire cose e affetti suoi ed esprimere un mondo, che era suo, anche se non complesso e non ricco come quello del Maestro. In casi come questi dire «carducciano» è, perciò, solo definire largamente un gusto […]”, dall’altra, sulla valenza “politica” dell’arte sattiana, Giovanni Pirodda scrive che “La formazione radicale e l’orientamento socialista di Satta hanno dunque un ruolo importante nel determinare la fisionomia del poeta e la peculiarità del suo linguaggio poetico. Egli risente non solo, in generale, degli influssi del socialismo umanitario italiano, ma anche dei caratteri che annunciano in Sardegna le prime manifestazioni intellettuali del movimento, in cui salvo rari casi, l’astrattezza delle proposte, il carattere intellettualistico delle elaborazioni erano prevalenti.”
Significative, sull’impegno profuso dal poeta nuorese per la sua gente, le parole dello stesso Satta tratte dall’introduzione ai Canti barbaricini (1909):
“Questo libro che ha in fronte il nome del mio bambino e si chiude con i ricordi di una pena indimenticabile, canta o, meglio, narra il dolore della mia gente e della terra che si distende da Montespada a Montalbo, dalle rupi di Coràsi fino al mare, e canta di madri, odio di uomini, pianto di fanciulli. ‘Barbaricini’ ho voluto chiamare questi canti perché sono accordi nati in Barbagia di Sardigna, ed anche quando essi non celebrano spiriti e forme di quella terra rude ed antica, barbaricini sono nell’anima e barbaricine hanno le fogge e i modi.”
Poco, a ciò che si è detto, possiamo aggiungere senza cadere nel ripetuto. Solo, esemplificativi del grande pathos di cui l’arte sattiana era spesso capace, pochi versi dalla poesia “I morti di Buggerru”, che ben esprime la malinconia del poeta per le vittime innocenti dell’esercito (furono quattro gli uccisi) in occasione degli scioperi operai avvenuti nel paese dell’iglesiente nel 1904:
[…] Ché non son morti. Nell’ignava fossa/ non posan essi verdi azzurri stanchi/ Cadaveri… Ma vanno/ oltre letée fiumane, sul profondo/ Cuor della terra, e scavano/ Ancora. Van tra il rombo di altre mine/ Per altre vie. Su loro/ è il festoso scrosciar delle acque e il coro/ delle selve, divino. Ardon le lampane/ pari ad astri non mai prima veduti// […].
Di Pasquale Dessanay, si sa poco, pochissimo. La circostanza concorre ad accrescere il grande carisma che ancora oggi il poeta suscita e l’aura di mistero che lo avvolge.
Scrive, almeno agli inizi, in sardo logudorese; le sue prime esperienze poetiche sono raccolte in ‘Neulas’, libro scritto a quattro mani da Pascale e dal poeta Amico Cimino e pubblicato nel 1890. Di indole caratterialmente originalissima, il personaggio viene descritto in alcune lettere che Grazia Deledda invia al giornalista sassarese Stanis Manca e a Epaminonda Provaglio: Dessanay, poeta semicolto e in ritardo con gli studi, viene di volta in volta definito povero impiegatuccio, scapigliato, aderente a un socialismo non privo di venature anarchiche.
Dessanay percorre la prima parte del suo percorso poetico scrivendo versi amorosi in logudorese illustre. Sulla rivista Vita sarda pubblica altri testi poetici che secondo Giancarlo Porcu non portano “a risultati veramente rilevanti né stilisticamente, né sul piano dei contenuti”.
Le poesie scritte nell’età artisticamente più matura del poeta, peraltro, appaiono notevolmente più interessanti e ispirate alla ribellione. In esse Pasquale Dessanay recede dai canoni della poesia sarda classica.
Le poesie dialettali nuoresi di Dessanay esprimono più compiutamente la personalità indomita e il carattere intollerante del poeta alle imposizioni dell’ordine costituito. Dopo l’assassinio di Umberto I di Savoia avvenuto a Monza il 29 Luglio del 1900, Dessanay fu condannato ad un mese di prigione per aver scritto a matita su un tavolo di taverna una composizione satireggiante e anarcoide sull’argomento.
Le più rimarchevoli prove nella parlata nuorese (Sa morte de Pettenaju, A unu signoriccu divertiu, Siccagna, Sos campanones de Santa Maria, In s’abba, Torrau, Nue, Cherrende) appaiono in larghissima parte caratterizzate da un atteggiamento ideologico che può certamente essere definito di denuncia sociale e di realismo tragico (Giancarlo Porcu). In “A unu signoriccu divertiu”, Dessanay scrive:
“Curre puru a sos ballos signoriccu/in bratzos de s’amante iscandalosa/supra su pettus suo ti reposa/e sutza su velenu a ticcu a ticcu!//Atter gherret sa vida chin su piccu,/pro te bastat sa vida lussuriosa!…/e sichi puru… chie ti muttit cosa?/Tottu a tibi si passat sende riccu.//Diverti e zoca in su lettu caente… /e cando ses istraccu ‘e tantu jocu,/de durches e rosolios ti tacca.//Nudda t’importet si pro àttera zente,/a pacu a pacu, fumiet in su focu/una padedda de sola irmulatta!… //”.
[traduzione: “A un giovane signore che si diverte”: “Corri pure ai balli, signoricco/nelle braccia della tua scandalosa amante/riposa sul suo petto/e succhia veleno a poco a poco//Lascia ad altri il guadagnarsi la vita con il piccone/a te basta la vita lussuriosa/e continua pure, chi può rimproverarti, del resto/tutto a te viene perdonato, dal momento che sei ricco//Divertiti e gioca nel letto caldo/e quando sei stanco di tanto giocare/saziati di dolci e di rosolio//Non pensare che per gli altri/poco a poco, fuma sul fuoco/una pentola di ravanello selvatico!”].
Satta e Dessanay sono poeti di un tempo ormai lontano ma il messaggio che essi hanno lasciato appare decisamente attuale. Dolore e ingiustizie continuano purtroppo a prosperare, anche nel mondo odierno.
Giovanni Graziano Manca