Maria Vitali-Volant, insegnante e ricercatrice, emigrata in Francia nel ’90, con la sua raccolta di brevi racconti dal titolo ‘Racconto dell’ombra. Dunkerque, 17 ottobre 2017’ (Delfino Editore 2018) raccoglie una serie di ritratti di espatriati italiani, riuscendo a dare la vastità e complessità di un processo migratorio che nelle sue varie fasi storiche non si è mai arrestato dalla fine dell’800 ad oggi. Un flusso continuo di anime, i cui contorni sfilano come ‘Ombre’.
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“Mi chiamo Ilaria. Sono lontana dal mio paese da tanti anni e qui ho fatto il nido, ma, come le cicogne, ho anche un nido altrove: là dove sono nata tanti anni fa”.
‘Da tanti anni’ e ‘Tanti anni fa’ sono due dimensioni precise, due spazi di tempo assolutamente antitetici e impossibili da riconciliare. Il passato compiuto e il presente in divenire, un presente fluido che scorre allontanandosi costantemente dal suo passato, mentre questo resta fermo, altrove, cristallizzatosi in un luogo mito: la ‘nascita’, il nido abbandonato sull’albero ormai privo di radici.
È da questo strappo interiore che la voce narrante, Ilaria, racconta la diaspora di questo paese “bellissimo, ricco di storia e di meraviglie”: l’Italia. Ci racconta le creature coinvolte in ‘viaggi, esodi, erranze’: migranti. Entità, quest’ultima, fluida e in eterno movimento, un presente in continua evoluzione. Anime senza volto, senza nome, sempre diverse, da diversi paesi provenienti, verso paesi nuovi destinati: “Quelli che sono partiti, che stanno partendo sempre più numerosi (…) e che popolano la terra”: Ombre.
“Viaggi, esodi, erranze anche nella propria camera”: dal nido eletto Ilaria scrive, invia mail a destinatari che restano muti, sviluppa un dialogo che si fa narrazione. Da Ombra a Ombra, Ilaria scrive ad una studentessa Erasmus, a Se stessa, di nuovo a Se stessa, ancora a Se stessa, a Valerio, le cui carezze si fanno violente, fino al colpo troppo forte che spinge lontano, decreta l’ “esilio volontario in un altro paese”, genera scisma.
Di mail in mail, di monologo in monologo la narrazione prende la forma di un diario intimo: ogni racconto, reale o di fantasia, chi può dirlo?, è un testo in cui vengono annotati avvenimenti personali e importanti. Il diario rivela la parte più intima dell’autore. Chi scrive lo fa per puntualizzare a sé stesso ciò che gli sta accadendo in quel periodo, narrando del passato e ponendo l’attenzione sul presente.
Il canto da assolo si fa corale. Le voci si confondono, in prima persona o in terza, la voce parla di sé o di un sé altro, nella cacofonia ogni tanto una voce s’alza, prende la scena e racconta o si racconta.
Il padre è in giardino e ricorda il figlio bambino che ci giocava dentro, ora il figlio è a Melbourne: quel figlio sempre in movimento ed era già questo un segno del destino. Anche Alessandro ha un figlio, in America del Nord, ma lui ne sente i passi mentre scende le scale per andare al liceo, all’università, sempre più lontano.
Carloforte si fa Indonesia, isola nell’isola: “Mi chiamo Pietro, mia moglie è dolcissima, si inchina passando davanti a mio padre quando lui viene a respirare l’aria dell’Oriente estremo come la sua isola ai confini dell’Europa, davanti all’Africa”.
Bella è Nazzarena, che tutti chiamano Nena, ha 95 anni e molti figli, li ha persi tutti, inghiottiti da un paese lontanissimo che chiamano Argentina. Sono foto ora i figli, che si sono trasformati in nipoti, moltiplicando distanza. Solo il penultimo si è salvato: “Anche lui sarebbe dovuto partire in Argentina con la moglie Olga, ma non se ne fece nulla perché la mamma di Olga si oppose. Fu brava Maria, allora, a impedire il viaggio, non come me che mi sono lasciata strappare i figli come le erbe nei campi”.
Ma questa è storia lontana, emigrazione storica, diventata quasi favola, racconto serale per incantare al sonno i bimbi curiosi. A noi interessa, se interessa, questa nostra storia, questa nostra Europa Unita, tutta intera, cosi vicina, questo mondo villaggio, sempre connesso, sempre raggiungibile, a due passi da casa, a due ore di volo:
“Sono una ricercatrice di Ferrara. Ho sempre creduto che il progresso fosse figlio del viaggio, del movimento: dei corpi e delle anime. Sono stata una studentessa di liceo geniale, poi un’universitaria capace e ho scelto la Macroeconomia. Mi hanno proposto di partire in Germania ed eccomi qui a Monaco di Baviera. Ferrara lontana, nebbie pure”.
Lavora in banca Ester e a starci dentro nel grande mondo, nelle grandi macro-economie, con gli economisti che fanno girare i soldi, ecco che la prospettiva cambia ed anche Monaco sembra meno bella.
Sono i ‘cervelli in fuga’, quelli bravi, che se ne sono andati a far carriera altrove, anime salvate altrove, rifugiati sociali, che cercano vita normale in un paese normale. Cosi è andata ad Ernesto:
“Pare che il mio cervello sia di quelli che vanno o che sono andati in fuga. Mi sembra di vederlo, tutto grigio e arzigogolato che si allontana da solo verso il Belgio, un giorno di sei anni fa. Questo organo vagabondo mi ha aiutato molto”.
Meraviglioso strumento la Lingua, questo sistema armato di segni e suoni che ci permette di metterci in relazione con il mondo altro: lo straniero. Dominare una lingua straniera è grande soddisfazione, sembra quasi di scippare la cultura altrui, comprenderne le sfumature, farla propria. Significa anche abbandonare la propria: “Mi chiamo Alessio e sono un ingegnere che viene da Milano. Ho scalato tutte le alture di questa sfida linguistica e culturale”.
Occorre morire per rinascere a vita nuova, occorre dar vita ad una nuova lingua uccidendo la propria, dimenticare e darsi completamente al nuovo mondo, ma nei momenti di riposo, quando i sensi si abbandonano, le ombre tornano e si fanno lingua madre che parla da lontano: “Quando mi riposo, però: ascolto la mia ombra italiana che sempre mi segue; prendo i libri italiani che mi sono portato da casa e, anche se non dovrei a causa dell’inglese, mi immergo nelle atmosfere italiane, nei paesaggi culturali del mio paese, nella lingua e mi perdo nei lunghi periodi dei racconti in italiano”.
Tra i tanti emigrati, ci sono anche gli emigrati a casa loro, quelli morti nei campi sotto il sole o dentro un capannone surriscaldato a raccoglier pomodori o a far belli i grappoli d’uva perché meglio si vendano al supermercato, in piedi dalle tre del mattino per 29 euro al giorno: “Siamo in Puglia, non in Africa, non in Perù o in India, siamo nel mio paese dove io ho condiviso la stessa situazione di Mohammed e di Joran che, anche loro, se ne sono andati per sempre, stremati dallo stesso lavoro”. Ombre uccise dal lavoro, che assomiglia tanto allo schiavismo.
Sono 15 le ombre a cui Maria Volant dà voce con estrema grazia e sensibilità. Un libro dal piccolo formato, ma che affronta un problema grande e lo fa con grande rispetto per le libertà di pensiero del lettore che, secondo la stessa autrice, non dovrebbe affogare nelle parole altrui.
Le ombre di cui l’autrice tratteggia i profili sono come rapidi ritratti, brevi e sfuggenti schizzi, quasi come un disegno, una sorta di ideogramma cinese dai segni essenziali, il resto lo disegna colui che guarda o legge o, ancora meglio, approfondisce.
Certamente questa è una piccola preziosa raccolta che invita alla riflessione, invita tutti a far uscire dall’ombra un argomento spinoso: l’emigrazione italiana attuale.
Tanto si parla di immigrazione interna proveniente dal sud del mondo, ma se dovessimo confrontare questi due flussi, i numeri ci getterebbero in un grande sconforto.
Gli italiani all’estero sono circa lo stesso numero degli immigrati stranieri in Italia. Al 1° gennaio 2017 i residenti oltreconfine e iscritti alľAire sono quasi 5 milioni, numeri che andrebbero raddoppiati secondo l’Istat, poiché molti espatriati italiani non sono iscritti all’Aire. Un’enorme perdita economica e di risorse umane. L’assillante e frustrante refrain ‘Aiutiamoli a casa loro’ andrebbe forse ribaltato e davvero dovremmo chiederci cosa si potrebbe fare, e perché nulla finora è stato fatto, per aiutare a casa loro le migliaia di giovani italiani che ogni anno lasciano la loro nazione, impoverendo sempre di più il tessuto sociale dell’Italia.
“Come Enea e Ulisse nell’Ade, ho conservato il corpo ma il mio spirito ha cambiato sembianze”, così Maria Volant lascia dire ad una delle sue ultime ombre e ad ognuna di loro offre ‘scena’, fornisce la luce giusta, si pone l’autrice come una delle sue stesse ombre: “Io sono il messaggero, il mediatore fra le ombre; sono il traduttore”.
15 ritratti di ‘Viaggiatori viaggianti’ abilmente scelti che ridanno la vastità e complessità del fenomeno, un processo migratorio che nelle sue varie fasi storiche non si è mai arrestato dalla fine dell’800 ad oggi. Un flusso continuo di anime perse, dimenticate, i cui contorni sfilano perdendosi nel tempo e nello spazio.
Carla Cristofoli
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Maria Volant sarà presente a Parigi il 30 novembre alle 18.30, ‘Chez ACLI Paris’, 28 Rue Claude Tillier, 12e Parigi. Ad animare il dibattito sarà la stessa autrice. ‘Altritaliani’ partecipa e vi invita a partecipare all’evento.
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Maria G. Vitali-Volant : nata a Roma, laureatasi all’Università di Roma; abilitata in Lettere, storia e geografia; insegnante e direttrice di biblioteca al Comune di Roma, diplomata in Paleografia e archivistica nella Biblioteca Vaticana, arriva in Francia nel 1990 e qui consegue un dottorato in Lettere, specializzandosi in Italianistica, con una tesi su Giuseppe Gorani, storico viaggiatore e memorialista nel Settecento riformatore. Autrice di libri in italiano su Geoffrey Monthmouth, in francese su Cesare Beccaria, Pietro Verri, è autrice di racconti e di numerosi articoli sull’Illuminismo, sulla letteratura italiana e l’arte contemporanea. In Francia: direttrice di una biblioteca specializzata in arte in una Scuola Superiore d’arte contemporanea è stata anche insegnante universitaria e ricercatrice all’ Université du Littoral-Côte d’Opale e a Paris 12. Ora è in pensione e continua la ricerca.
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Chi desidera acquistare ‘Racconto dell’ombra’ di Maria Vitali-Volant, edito da Carlo Delfino Editore, dovrà contattare la stessa casa editrice a questo indirizzo mail: amministrazione@carlodelfinoeditore.it