I legami napoleonici di Napoli ricordati da Maria Teresa Caracciolo ai “Rendez-vous de l’Histoire” di Blois 2019.
Compie cent’anni l’Istituto Francese di Cultura a Napoli. Anche dopo il suo trasferimento nel 1933 da Palazzo Corigliano a Via Crispi 86, rimane noto come “Il Grenoble” per essere stato creato dall’Università di questa città per lo sviluppo dei rapporti culturali tra l’Italia del sud e la Francia. È diretto dal Console Generale Laurent Burin des Roziers, già consigliere per i rapporti culturali internazionali al Consolato a New York, all’Ambasciata a Londra, ai Ministeri della Comunicazione e degli Affari Esteri a Parigi, e appassionato dell’Italia anche per motivi familiari. L’Istituto è dunque sopravvissuto (come quello di Palermo) alle reiterate voci d’una sua riduzione o chiusura per i soliti budgets da contenere, voci azzittite dall’importanza delle relazioni storiche tra Napoli e la Francia, come ha ancora una volta dimostrato, ai “Rendez-vous de l’Histoire” di Blois dal 9 al 13 ottobre dedicati all’Italia, Maria Teresa Caracciolo che ha ricordato il decennio napoleonico a Napoli (1806-1815), ossia tutte quelle riforme e quegli scambi culturali avutisi durante i regni di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat a Napoli.
Il fratello e il cognato di Napoleone, nonché la sorella Caroline reggente quando suo marito aveva partecipato alla campagna di Russia, avevano portato avanti la modernizzazione del Regno anche opponendosi alla nobiltà, con la creazione delle province, il passaggio delle proprietà dai feudatari e dal clero ai privati, l’imposizione del codice napoleonico e la creazione di nuove infrastrutture sia in città (Via Posillipo) che nelle province allora create.
La passione di Murat e Caroline per Napoli, il Regno con i suoi scavi archeologici e per gli altri beni artistici era divenuta tale per cui, dopo la sconfitta a Lipsia della Francia, s’erano alleati con la nemica Austria, in modo da estendere il loro Regno fino alla Sicilia. Rovesciatasi la situazione con il ritorno di Napoleone dall’Elba, Murat aveva poi combattuto contro i presidî austriaci a nord dello Stato Pontificio e aveva cercato di raggiungere Napoleone. La sconfitta di Waterloo l’aveva quindi indotto a tentare di riconquistare il Regno di Napoli sbarcando in Calabria dove venne ucciso dai Borboni.
Sul successivo periodo (dopo quello in Austria) di Caroline, a Firenze fino alla morte nel 1839, ha influito la passione artistica avuta a Napoli, compresa quella per gli scavi che seguiva personalmente. Questo ha influito sul suo “destino italiano”, più lungo di quello delle sorelle. Elisa, Granduchessa di Toscana fino al 1814 (e mecenate ancora più di Caroline), ritiratasi a Cervignano e Trieste, muore nel 1820, mentre Paulina, ritiratasi a Firenze con il marito Camillo Borghese, si spegnerà lì quattro anni dopo di lui nel 1825.
La scelta d’affidare il ricordo di questi legami tra Napoli e la Francia a Maria Teresa Caracciolo (ricercatrice del Centre National de la Recherche Scientifique e dell’Università di Lille dove ha insegnato, membro della Direzione editoriale de “Les cahiers de l’Histoire de l’Art”) è stata fatta, ben opportunamente, per la sua passione per questi argomenti che si è concretizzata negli anni con le pubblicazioni, tra l’altro, di: “Le royaume de Naples à l’heure française: Revisiter l’histoire du decennio francese (1806-1815)” di cui è coautrice; “La seconde vie de Pompéi: Renouveau de l’Antique, des Lumières au Romantisme 1738-1860”; “1775-1840: Lucien Bonaparte: Un homme libre” (il fratello di Napoleone, morto esiliato a Viterbo – per la mostra del 2010 al Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts d’Ajaccio); e “Les sœurs de Napoléon: trois destins italiens” per la mostra omonima al Musée Marmottant–Monet da lei curata nel 2013. Dunque, il suo intervento a Blois dell’11 ottobre dal titolo “1806-1815: une tranche napoléonienne à Naples” è frutto tanto della sua conoscenza dei Bonaparte quanto del mecenatismo di Caroline a Napoli e dintorni, fino agli scavi di cui Caracciolo (storica dell’arte) ha pure curato la mostra dal titolo “Pompei e l’Europa 1748-1943” del 2015 al Museo Archeologico della città partenopea.
Caracciolo a Blois ha ricordato tra l’altro che la personalità di Caroline poteva meglio adattarsi a Napoli essendo cresciuta in Corsica, e non essendovi dunque arrivata con tutti i pregiudizî delle dame di compagnia giunte lì da Parigi. Perciò poteva allora costituirsi come il “trait d’union” migliore tra la mentalità, il modo di vivere e le idee francesi, e il contesto politico, sociale e culturale partenopeo. Tanto alla Corte, quanto nelle iniziative esterne: tra queste la creazione della «Real Fabbrica del Corallo di Sua Maestà la Regina» con gioiellieri francesi e italiani, inizialmente a Torre del Greco e poi nel “Reale Albergo dei Poveri”, affidata al marsigliese Paul Barthélémy diventato a Napoli “Paolo Bartolomeo” Martin. È così che la lavorazione del corallo, oltreché “a liscio” ossia prevalentemente in figure geometriche, s’è ulteriormente sviluppata “a cammeo” ossia ad imitazione delle figure scolpite negli scavi. Ed è così che si sono installati a Via Toledo e a Chiaia i gioiellieri Pierre Alleva, Théodore Block e altri francesi. Intanto la moda francese penetrava sempre di più non solo a Corte.
La passione di Caroline per gli scavi è nota (a tal punto che anche Stéphane Bern l’ha considerevolmente trattata nei suoi “Secrets d’Histoire”), ma la descrizione che ne ha fatto Caracciolo proietta ai tempi attuali i criterî con cui li ha fatti eseguire. Fino ad allora si scavava lì solo per estrarre i tesori da collezionare a Corte, o nelle case o nei musei finché Caroline, arrivata con gli architetti François Mazois ed Etienne-Chérubin Lecomte, gli storici Aubin Louis Millin e Charles de Clarac e altri di fama sia per gli incarichi poi avuti sia per i loro scritti, ha pienamente imposto il principio per cui gli scavi dovevano continuare a far emergere all’aperto le città antiche nella loro interezza. A questo fine il lavoro di Mazois a Pompei è durato anche dopo la caduta napoleonica, e i suoi rapporti e disegni sugli scavi di lì testimoniano sia l’apertura di Murat e Caroline all’inizio per queste iniziative, sia alla fine lo sviluppo di queste con i vari percorsi tracciati.
L’attuale Museo Archeologico di Napoli era precedentemente il Real Museo Borbonico, derivante dal Museo Reale al Palazzo degli Studi, dove dagli scavi sono in maggior parte confluite le opere che Caroline non aveva fatto venire al “Museo della Regina” del Palazzo Reale (a loro volta poi ritrasferite all’attuale Museo Archeologico).
Quanto allora Napoli deve ai Murat (sempre presente con la sua statua davanti al Palazzo Reale), e i sentimenti che i Murat devono a Napoli (a tal punto d‘esserne vittima nel 1815 in Calabria nel suo tentativo di riconquista), sarebbero stati possibili se essi fossero stati (come ha osservato Caracciolo) dei sovrani ereditari anziché “rivoluzionari”? Non fossero stati “rivoluzionari”, non avrebbero certamente creato quel legame storico tra la Francia e Napoli che giustifica ancora pienamente la presenza dell’Istituto “Il Grenoble” a Napoli, e che tuttora appassiona non solo gli storici, i lettori e gli interlocutori di Maria Teresa Caracciolo qui in Francia.
- Immagine in evidenza: Palazzo reale di Napoli.
Lodovico Luciolli