Un viaggio, una brillante carriera, una vita: Michele Tito, uno dei grandi giornalisti e corrispondenti italiani (nato in Libia nel 1925) che ha testimoniato la Storia della seconda metà del Novecento con i suoi articoli e i suoi editoriali, raccontato attraverso lo stratagemma narrativo di Raffaele Bussi a lui legato da un profondo e duraturo rapporto di lavoro e amicizia.
*
“Il taxi proveniente a velocità sostenuta dai Parioli frena la sua corsa, sostando sul piazzale della stazione dell’Urbe all’altezza dell’ingresso principale.”
Comincia così “Michele T.”, il nuovo romanzo di Raffaele Bussi, pubblicato a febbraio di quest’anno dalla Marcianum Press di Venezia e candidato al prossimo Premio Campiello.
Stupisce, sulle prime, che nel titolo al nome di battesimo del protagonista segua non il cognome per intero, ma semplicemente una T. ed è solo andando avanti nella lettura che si comprende che non c’è bisogno di cognomi, sia per la grandezza del personaggio, che viene raccontato e riconosciuto per le sue capacità nel campo del giornalismo, sia per l’affetto che l’Autore ha nutrito e nutre ancora per lui. Una T. puntata che leggiamo come una carezza discreta, appena accennata al collega e amico di una vita.
La coppia (Tito e la moglie) si avvia alla stazione, in attesa del treno. Lui, Michele, nasconde il nervosismo e l’emozione del momento in battute lapidarie e leggermente ironiche, lei, Marisa, appare preoccupata e premurosa verso il marito, il compagno di una vita, la donna che sceglieva per me anche l’abito da indossare al mattino quando uscivo di casa, come si legge nelle ultime pagine del romanzo. L’invito è a sbrigarsi per non perdere il treno e a riguardarsi, accettando di salutarsi in fretta, frutto di una complicità d’amore fatto di partenze e ritorni e di un eterno ritrovarsi.
Un treno senza destinazione sul quale il protagonista prende posto, non uguale agli altri, con i vagoni trasparenti dalla prima all’ultima carrozza, che accoglie passeggeri di varie nazionalità, con volti stralunati e sguardi persi nel vuoto. I sedili, poi, presentano lo schienale rivolto in senso opposto alla direzione di marcia e i finestrini bloccati. Ai lettori più giovani potrebbe venire in mente il treno che trasporta Harry Potter alla scuola di Hogwarts, altro riferimento letterario e all’ultima novella di Luigi Pirandello, “Una giornata”, in cui il viaggio in treno e l’arrivo in un paese familiare eppure sconosciuto diventa la metafora della morte. In realtà anche qui i viaggiatori sono, come Michele comprende ben presto, persone che non possono guardare avanti perchè non hanno futuro, morti di morte violenta.
Siamo ancora nell’atmosfera surreale, dove domina la metafora, ma comprendiamo che, da questo momento in poi, il treno e il suo percorso saranno solo la cornice di un viaggio ben più importante, quello della intera esistenza di un uomo, un giornalista, che continua ad esprimere la sua curiosità verso il mondo che lo circonda. Il punto di contatto tra fantasia e realtà, tra sogno e Storia, viene abilmente creato dall’Autore, Raffaele Bussi, attraverso un incontro. Alla stazione di Napoli fa il suo ingresso nello scompartimento un giovane dall’aspetto distinto, Antonio Delle Fratte, che si accorge subito di aver sbagliato treno: lui non ha lo stesso destino degli altri viaggiatori, è l’unico vivente a viaggiare su quel treno, dove è salito per sbaglio. Rassicurato da Tito sulla possibilità di poter fare ritorno alla stazione di partenza ed il conforto che mentre per lui la posizione è corretta, potendo solo rivolgere lo sguardo al passato, tale non è per il giovane che deve guardare in avanti, verso il futuro. Scopriremo dopo un po’ che esercita la stessa nobile professione del suo vicino di posto. Continueranno il viaggio insieme fino a quando il giovane Antonio potrà scendere, ma intanto avranno modo, come in un ideale passaggio del testimone, di ripercorrere i principali avvenimenti storici dagli anni Cinquanta del Novecento fino alla caduta delle Torri Gemelle, materia di esercizio della professione dell’anziano giornalista.
Delle Fratte, apprendista alle prime armi, ascolta affascinato i racconti del più famoso collega, che finalmente si presenta, a lui e ai lettori: si tratta di Michele Tito, che ha testimoniato la Storia del secolo scorso, con i suoi articoli e i suoi editoriali, scrivendo per il Mattino, il settimanale Il Mondo, il Messaggero, la Stampa, il Corriere della Sera, il Secolo XIX e, infine, negli ultimi anni della sua vita, insegnando presso la Scuola di Giornalismo dell’Università di Tor Vergata.
Al sentire il suo nome, Antonio Delle Fratte non può fare a meno di esclamare: il famoso giornalista, direttore di tanti quotidiani? La risposta dell’anziano è disarmante ed eloquente: Famoso! Un giornalista è un giornalista e basta.
Per saper scrivere bene, per diventare testimone di eventi fondamentali del proprio tempo, bisogna avere gli occhi ben aperti sulla vita e sul mondo, e qui Bussi, attraverso il suo amico e mentore, ci offre un altro prezioso insegnamento: occorre una buona dose di umiltà, dote che solo i grandi possiedono. Il dialogo prosegue per tutta la durata del viaggio, raccontandoci, con puntuale approfondimento, i più grandi avvenimenti storici del cosiddetto “Secolo breve”, per altri versi lunghissimo, se ne consideriamo i rivolgimenti, le guerre, i genocidi, i regimi nati ed abbattuti… tutti fatti frutto della ricostruzione certosina e appassionata di Bussi, che ha avuto la possibilità di compiere ricerche nel grande archivio degli articoli di Michele Tito.
Si inizia con le elezioni politiche del 1952 a Napoli: comunisti, ex monarchici, qualunquisti, democristiani e, su tutti il carisma e la carriera politica discutibile ma emblematica di Achille Lauro, che sognava di far decollare il suo partito in una Napoli non ancora ripresasi dalla Seconda guerra mondiale, dominata dalla povertà e dalla sofferenza, la stessa sofferenza che Tito ha avuto modo di conoscere e descrivere nel 1980, quando, con il terremoto, iniziarono la speculazione edilizia, la caduta dei miti, le false illusioni.
E poi le vicende della guerra franco-algerina, seguite come corrispondente a Parigi de “Il Messaggero”, in cui gli scontri si complicano per il desiderio di libertà dei giovani e, soprattutto, delle donne velate di quel paese, quasi anticipazioni di quei moti studenteschi e femministi occidentali che Tito avrà modo di studiare più avanti, nella sua carriera.
Il lettore si identifica sempre di più nel giovane Delle Fratte e rimane in ascolto, catturato dal fascino delle parole e delle testimonianze: arriviamo al reportage in Cina, dove Tito è il primo corrispondente occidentale nel lontano paese della rivoluzione culturale di Mao, ma anche della tristezza del popolo, e poi il ritorno, due anni dopo , in un ambiente profondamente cambiato, privo di quell’esercito di saggi che il presidente Mao aveva sognato.
Dopo il viaggio in paesi lontani, il discorso di Tito si sposta sulla situazione italiana, che nel frattempo è entrata in un gorgo di crisi e violenza: prima il racconto della complessa vicenda editoriale de “Il Corriere della Sera”, giornale dal quale il giornalista darà le dimissioni nel 1977, passando a “Il Secolo XIX”, poi il capitolo, amaro e terribile, delle stragi, che culmina con il rapimento di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana da parte delle Brigate Rosse. Recuperati a Genova alcuni volantini con l’annuncio della sentenza di condanna a morte dello statista, Tito, dalle pagine del suo giornale, invita ad accettare una trattativa per salvare la vita dello statista, ma la sua proposta si scontra con un fermo rifiuto a trattare. Si comporterà allo stesso modo due anni dopo, ponendo l’accento sulla sacralità della vita umana, in occasione del rapimento del giudice D’Urso, che riuscì a salvarsi. Per Aldo Moro, Michele Tito spende parole di ammirazione per il politico ma anche di rispetto per l’uomo, ricordandone, ad esempio, le lacrime versate il 10 gennaio del 1969, giorno del suo onomastico, quando, al posto degli oltre cinquemila telegrammi cui era abituato a ricevere, si vide consegnare sulla scrivania solo diciotto messaggi, simbolo del vuoto che il suo stesso partito gli stava creando intorno.
Il suo è un archivio viaggiante. C’è la storia del secondo Novecento! esclama il giovane compagno di viaggio, sempre più curioso e attento, avido di acquisire esperienza e consigli sul comune mestiere.
Dalla crisi della politica italiana, iniziata con gli Anni di piombo, il lettore, in questo viaggio ideale e reale nella Storia del Novecento, viene condotto, grazie ai ricordi dell’inviato speciale, in Russia, nel passaggio dal periodo post staliniano alla caduta del muro di Berlino: Kruscev, la primavera di Praga, Breznev, i rapporti con la Jugoslavia di Tito, Gorbaciov e la fine della guerra fredda. E infine, a suggello della fine di un Secolo ma anche della sua professione, la tragedia delle Twin Towers, nel 2001: L’America sembra stia impazzendo, ma ritroverà di sicuro se stessa. E l’Europa…potrà essere e mostrarsi capace di integrazione.
Termina il viaggio per il giovane Antonio, che scende dal treno sicuramente cambiato, nella conoscenza e nelle motivazioni per il suo mestiere, mentre Michele pensa alle lontane dune del deserto, perché, in fondo, anche al termine di una vita così avventurosa e piena di incontri, si vuole ritornare alle origini.
E insieme al giovane Delle Fratte anche noi, arrivati alla fine del romanzo, proviamo nostalgia per quella ricchezza affabulatoria che ci ha accompagnato per tutto il racconto, e ci sentiamo orfani di questo napoletano di ghiaccio, come lo ha ricordato Matteo Cosenza sulle pagine del Corriere, preciso e generoso con i più giovani collaboratori, Tito, uno dei più modernamente anacronistici fra i direttori italiani, come scrisse Barbellini Amidei.
Complessa, soprattutto dal punto di vista emotivo, la raccolta e la lettura della gran mole di articoli di Michele Tito da parte di Raffaele Bussi, a lui legato da un profondo e duraturo rapporto di lavoro e amicizia: gliene siamo grati, perchè anche noi lettori abbiamo avuto modo di entrare nella vita e nell’attività multiforme e ricchissima di uno dei grandi giornalisti del nostro Novecento.
Recensione di Tiziana Esposito
*
Michele T. di Raffaele Bussi, Marcianum Press di Venezia, 2020
*
L’autore: Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a « Nord e Sud », « Ragionamenti », e successivamente a « Meridione. Sud e Nord del Mondo », rivista fondata e diretta da Guido D’Agostino. È stato direttore editoriale della rivista « Artepresente ». Collabora al portale parigino « Altritaliani » e alla rivista « La Civiltà Cattolica ». Ha pubblicato « L’Utopia possibile », Vite di Striscio », « Il fotografo e la Città », « Il Signore in bianco », « Santuari », « Le lune del Tirreno », « I picari di Maffeo » (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), « All’ombra dell’isola azzurra », romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell’editore Aleteya, « Ulisse e il cappellaio cieco » nel 2019.
Sinossi – « Michele T. » è il viaggio umano e professionale di Michele Tito, giornalista e corrispondente tra i più autorevoli della seconda metà del Novecento.
In un’atmosfera surreale, su di un mezzo di trasporto particolare, l’Autore trasferisce il lungo cammino del protagonista, dalla Napoli del dopoguerra, alla guerra d’Algeria, alla Cina di Mao e Ciu En-Lai, dagli anni del terrorismo e del sequestro Moro alla caduta del comunismo in Unione Sovietica, fino all’attentato alle Twin Towers, in uno scenario apocalittico che ha informato il mondo nel secolo appena trascorso.