“La nuova stagione” di Silvia Ballestra (Bompiani, 2019), candidato al Premio Strega 2020, può essere definito un «romanzo a cassetti», secondo quanto afferma la stessa autrice. Attorno alla trama principale – due sorelle, Nadia e Olga, alle prese con la vendita di un terreno familiare ereditato dal padre – l’autrice costruisce solide appendici narrative che accompagnano e retroalimentano l’evolversi della storia principale.
Il libro è innanzitutto una riflessione antropica che ci restituisce un’idea precisa delle Marche nel suo divenire storico-geografico; un’idea di paesaggio che prende corpo progressivamente, articolandosi tra i monti Sibillini e la costa. Un luogo di mezzo, da considerarsi non solo come «la spina dorsale» del Paese, ma come un nucleo territoriale «innegabilmente vitale e forte», indebolitosi improvvisamente con il sisma del 2016: «era sotto shock da allora» – leggiamo – «e faticava a riprendersi. Era come se quei luoghi, da sempre dolci e domestici, accoglienti e benigni, si fossero trasformati in posti aspri e oscuri.[…] La terra sgroppava».
Di questo territorio la scrittrice prende in analisi specifici aspetti culturali legati alla società marchigiana post-mezzadrile, alla luce di un manifesto retaggio storico che radica proprio negli ultimi quaranta anni di mezzadria: dal solidarismo corporativo della politica agraria del ventennio fascista, alle prime leggi anti-mezzadria degli anni Sessanta, che smantellano un sistema latifondista geneticamente innestato sul territorio.
Il sistema mezzadrile, infatti, per secoli ha costituito uno degli archetipi sociali e culturali dell’Italia centrale (lavoro, famiglia, territorio), ed è attorno al podere che nel corso della storia si sono concentrati i principali flussi demografici del mondo contadino, che hanno tracciato una precisa fisionomia del paesaggio. Così la fine della mezzadria ha significato, tra le altre cose, la fine di una specifica identità interclassista basata sulla relazione uomo-terra e su un solido ma delicato legame tra padrone, fattore e mezzadro. Ben presto, con la conseguente ridistribuzione delle terre, sono subentrate nuove figure legate al territorio, interessate solo ad un profitto agricolo immediato e responsabili di una massiccia, progressiva e irreversibile industrializzazione agricola. È il caso di «un tal Armando», come vediamo anche nel libro, ovvero
uno dei famosi “terzisti” che, partiti da mezzadri ma acquistati i mezzi agricoli negli anni, erano diventati i nuovi, veri, latifondisti. Latifondisti dell’affitto, latifondisti dei contributi europei per la politica agricola comune – la famosa “Pac” -, latifondisti di girasole, senape, sorgo, colza, biomasse.
Questo delicato snodo epocale, che fa da sfondo ai fatti raccontati ne “La nuova stagione”, risulta essere una cornice narrativa necessaria, che fissa i termini culturali di una specifica fenomenologia contadina all’interno della quale la storia di Nadia e Olga trova una precisa significazione storica.
Difatti, la relazione mantenuta dalle sorelle Gentili con terzisti e neolatifondisti dopo la morte del padre, i loro incontri con imprenditori ex mezzadri e mediatori locali interessati alle terre di famiglia e infine le trattative relative alla vendita del terreno, possono essere considerate come fasi di un prolungato epilogo storico, e nella fattispecie biografico, da cui il mondo contadino esce, in un certo senso, compromesso. Silvia Ballestra, attraverso una testimonianza continua affidata ora alla voce narrante della cugina di Nadia e Olga, ora ai ricordi e ai dialoghi delle due sorelle, ne rovescia abilmente l’immaginario romantico, fino a denunciarne il generalizzato «degrado post-mezzadrile». In particolar modo la scrittrice sembra concentrarsi su un aspetto culturale irriducibile di quella realtà, ovvero il patriarcato contadino, tramandatosi quasi per diritto, in forma di retaggio storico. La stessa Ballestra scrive ne “La nuova stagione” che «avere a che fare con quella gente», per le sorelle Gentili «non era semplice». E più avanti, specifica: «La società contadina non era solo idillio campestre, sapeva essere feroce ed era bestialmente patriarcale».
La relazione conflittuale di Nadia e Olga con la terra di origine si palesa fin dalle prime battute, e pagina dopo pagina la scrittrice ne definisce i contorni: dalla volontà paterna di allontanarle dalla proprietà e dalla vita campestre durante l’adolescenza, alle «scottature» successive, esperite dalle due sorelle, con «questi tipi della campagna». Nel corso della narrazione l’autrice suggerisce al lettore un’associazione sempre più stretta tra la gestione della terra e la mentalità patriarcale, che si insinua tra le pagine del libro come un controcanto teso a evidenziare, puntualmente, un bozzetto antibucolico. Più volte, durante le trattative di compravendita delle sorelle, emerge una silente e atavica ostilità ‘mezzadrile’ esercitata dai nuovi proprietari o terzisti nei confronti di Nadia e Olga; odiate, leggiamo, in quanto figlie di «patrone e donne».
In questo senso, l’anacrologico omicidio di Giancarla Proietti che la scrittrice ‘incastra’ nel corso della narrazione, se in un primo momento sembra collidere con la storia principale, in realtà sul finire del libro assume programmaticamente il valore di una metanarrazione, funzionale a perpetrare una necessaria denuncia di quell’asfissiante ambiente rurale. Si tratta di un episodio estraneo alla vita delle sorelle Gentili, eppure così strettamente vincolato alla loro storia familiare e a quella delle loro terre, da restare, dice la scrittrice «come monito, come segno spaventoso». L’omicidio, infatti, di cui tutti si erano inizialmente interessati e poi, come sempre succede, dimenticati, porta a galla storture sociali e strutturali evidenti, riconducibili, tra le altre cose, alla condizione manicomiale femminile durante gli anni che precedono la legge Basaglia.
Comprendiamo, così, che l’iniziale rifiuto delle sorelle verso le terre di famiglia è in realtà il riflesso inevitabile di un sentimento indotto dalle circostanze epocali vissute, dietro il quale si cela una frustrazione di fondo data dalla loro incapacità personale di riconciliarsi con il mondo di origine. Un eterno squilibrio tra volontà e possibilità, dunque, imposto loro dalle fondamenta di una società immobile che fatica a lasciarsi alle spalle un passato invadente. Come spiega la scrittrice, le sorelle Gentili
erano state tenute lontano dalla campagna, distolte dal rilevare e continuare l’attività di famiglia, per varie ragioni, dunque. Non solo perché non era un’attività per donne, convinzione che loro pensavano si fosse radicata nella testa del padre per educazione e per esperienza e non solo perché condizionato dalla vicenda tragica di quell’amica di famiglia. Non era stato solo per amore e per desiderio di proteggerle. Non era mai così semplice e lineare, tutto era sempre un impasto di tante cose, di relazioni e sistemi.
In questo senso, la vendita del terreno assume le connotazioni di una sconfitta biografica che trascende la dimensione storica; quell’impasto di relazioni e sistemi verso il quale non erano riuscite ad opporsi nel passato riaffiora nel presente, in tutto il suo vigore. Il legame di Nadia e Olga verso le terre di famiglia acquisisce, così, i contraddittori contorni di una forza centrifuga che riafferma definitivamente l’appartenenza delle sorelle Gentili a quei posti. «Ma di chi erano quei luoghi?» – si/ci chiede Silvia Ballestra – «Di chi li aveva accuditi o di chi li sentiva suoi per esserci nato e cresciuto?»
Una recensione di Silvia Datteroni
SCHEDA DEL LIBRO
Silvia Ballestra
La nuova stagione
Bompiani
Pagine 276 – Prezzo: 17€
Sinossi: Un romanzo dal sapore antico che racconta i miti e le leggende di un mondo contadino quasi del tutto scomparso ma che è, allo stesso tempo, ben radicato nel cuore e nell’anima delle protagoniste della storia: Olga e Nadia, due sorelle che pur vivendo lontane, conservano nel loro paese le radici più profonde. Ma il mondo cambia, la civiltà contadina è solo un ricordo e ciò che resta e continua a vivere è solo la memoria, mentre nuove situazioni cominciano a delinearsi…
L’autrice:
Silvia Ballestra, marchigiana, vive e lavora a Milano. È autrice di romanzi, raccolte di racconti, saggi e traduzioni, pubblicati per i maggiori editori italiani. Fra i suoi libri, tradotti in varie lingue, i long seller Compleanno dell’iguana, Gli Orsi, Nina, I giorni della Rotonda, Amiche mie e Vicini alla terra. Storie di animali e di uomini che non li dimenticano quando tutto trema. Dal romanzo La guerra degli Antò è stato tratto l’omonimo film diretto da Riccardo Milani.