No, non si tratta del celebre lungo racconto (o breve romanzo) di Charles Dickens che narra le grottesche avventure dei soci Marley e Scrooge. No, Dickens che a suo modo pensò a Dio, scrisse un libro squisitamente religioso, The Life of our Lord, una vita di Gesù da servire alla lettura dei suoi dieci figli, mai pubblicata lui vivente. Si tratta invece di un canto, o piuttosto una pastorale, che da più di due secoli ha toccato l’interiorità di genti di ogni latitudine geografica: Tu scendi dalle stelle, composta, versi e musica, in un radioso arco di giorni da sant’Alfonso Maria dei Liguori.
Nel dicembre dell’anno 1754, preceduto da trepide attese popolari, l’infaticabile fondatore dell’ordine dei Redentoristi giunse a Nola, ai piedi del Vesuvio, a predicare una sua ‘missione’ per il ciclo liturgico di Natale. Nola è città di antica tradizione cristiana. Il ricordo che dal IV secolo vi aveva lasciato il poeta Paolino, lì ritiratosi con la pia moglie Tersasia a comporre i Natalicia e a pregare per sette lustri presso la tomba di san Felice, era divenuto un codice di gloria agiografica.
Il predicatore era ospitato dal religioso don Michele Zambadelli. In quell’inizio d’inverno il cielo notturno brillava di fredde luci sui paesini a ridosso delle falde laviche. Le notti slargavano serene sulle campagne, dalle stalle o dagli stazzi i pastori alzavano lente occhiate a scrutare le stelle per leggervi la ventura di un’altra giornata, quella che il Signore avrebbe mandata per i magri pascoli di stagione. Erano facce scabre, incise, corrose dai venti, barbe brizzolate sotto cappellucci di feltro conciati dal fumo e dall’umido.
Anche per loro sant’Alfonso era andato a predicare quel dicembre.
Chissà se non fu proprio in un notturno abbaglio di grazia, errando il suo sguardo negli spazi stellari evocatori di presenze angeliche, che la vena gli si aprì al prodigio della musica. Il mistero dell’arte è come il mistero di Dio: noi ne vediamo le opere, mai ne conosceremo il gemmante fulgore che irradia etimi divini.
Narrano concordemente i biografi che il fervido cercatore di anime, a una certa ora pomeridiana per lui libera, sedeva a comporre col dichiarato proposito di lasciare una sua ‘offerta’ nella ricorrenza natalizia.
Don Michele non stava nei panni, anzi nella tonaca. Girava e rigirava per le stanze insinuando furtive occhiate, forse torcendo il collo a far capolino. Sapeva benissimo che l’ospite era anche un intonato tenore che cantava a meraviglia le sue arie devote: una produzione lirico-musicale tutta poi confluita nel volume delle Canzoncine spirituali.
Ma torniamo a don Michele Zambadelli. Il buon prete aveva atteso con rattenuta gioia l’annuncio del compimento. Comprensibile dunque, nella prima effusione di lode, il suo desiderio di copiarsi l’inedita pastorale. Non gli capitava tutti i giorni di avere in casa un uomo di Dio che nel giro di qualche ora, con poche note e poche strofe, donava al mondo un fiore non effimero. Ma l’autore non volle, glie l’avrebbe poi fatta avere stampata. Uscito subito per recarsi in chiesa, lasciò lo spartito sul tavolo.
Don Michele non seppe resistere alla tentazione di farsene una copia fraudolenta.
Quella sera, come tutte le precedenti della predicazione, il tempio di Nola era gremito. In uno stacco che a tutti parve naturale, colui che aveva largito la Parola intonò con forza melodica, appena modulando alla tastiera dell’organo, il celeberrimo inizio:
Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,
e vieni in una grotta al freddo al gelo.
Avviava così per le infinite vie della terra, puro come gli era uscito, il suo canto più fresco e fascinoso.
Il popolo non si accorse che il Santo aveva ripetuto la terza strofa. Non ricordando il seguito aveva fatto chiedere a don Michele, che all’altare se ne esaltava come se un po’ ci avesse avuto la mano, la copia che portava in saccoccia. Fu un momento terribile per l’onesto religioso, giocondo per il musico soccorso nella memoria. Terminato il canto, bisognava tornare a casa. Fuori la notte era spalancata algida e ferma. Dalla chiesa anche i pastori uscirono a rivedere le stelle col cuore tenero, ricchi di speranza.
Pasquale Maffeo