“Ritratti più che interviste”, sono stati definiti da Fabio Gambaro i colloquî di Dario Maltese negli “Italiens” pubblicato da Rizzoli nel 2023 e presentato anche da Stefano Montefiori a Parigi a “La Libreria” il 6 marzo. Tra i numerosi ospiti, la titolare Florence Raut ha avuto Christian Masset (coautore come Ambasciatore a Roma del Trattato del Quirinale) e l’intervistata nel libro Claudia Ferrazzi che da ex consigliera culturale di Macron all’Elysée ha ricordato quanto questo Trattato sia stato opportuno per mantenere la collaborazione in ogni campo tra i due Paesi al di sopra di momentanei dissensi politici.
Claudia Ferrazzi nel libro fa parte dei 13 incontri di Maltese con i “talenti italiani che hanno conquistato la Francia”, o che la Francia ha conquistato ponendoli al vertice dei rispettivi ambienti. Come Gambaro ha visto ciò da “decano” (com’è stato definito da Maltese, tenendo conto del numero dei suoi anni a Parigi che hanno preceduto quelli della guida dell’Istituto Italiano di Cultura e di Italissimo), così Montefiori s’è fatto confermare che i sentimenti dei 13 rimangono in perfetto equilibrio tra i due Paesi, evitando gli equivoci del tipo “Rendez-nous la Joconde! Et autres malentendus franco-italiens” (da lui scritto nel 2023, ed. Stock).
In realtà questi “ritratti” sono solo quelli delle personalità più note, perché neanche un’antologia sarebbe bastata a Maltese per descrivere tutti gli italiani che dall’inizio del 2000 si sono fatti apprezzare nei rispettivi settori non solo a Parigi: e non solo quelli più famosi (ai 13 si possono per esempio aggiungere Enrico Letta prima a Sciences Po e ora all’Institut Delors, Stefania Giannini all’UNESCO, Maurizio Serra all’Académie Française e Renzo Piano), ma pure gli altri di pari merito in quantità tale da aver creato le associazioni a Parigi di alumni del Politecnico di Torino o Milano, o della Bocconi, o la rete dei Ricercatori Italiani in Francia: tra cui Vittoria Colizza, Direttrice dell’Istituto Epidemiologico all’Hôpital Saint-Antoine, la cui notorietà è ricordata da Maltese per le sue spiegazioni su “Le Monde” e quelle televisive, e per i dati forniti al Ministro della Salute e al Presidente della Repubblica prima dei loro interventi in TV durante il covid, nonché per il “Prix Irène Joliot-Curie” che ha avuto tra i suoi riconoscimenti.
Anche a Claudia Ferrazzi il successo come Vice Amministratrice del Louvre, Segretaria Generale di Villa Medici a Roma, membro del Consiglio d’Amministrazione della Biennale di Venezia, Direttrice del marketing metropolitano con il Sindaco Sala a Milano, prima di quello all’Elysée e prima di creare la sua attuale Società “Viarte”, ha lasciato i suoi sentimenti in pari misura tra il suo Paese d’origine (Bergamo) e quello ove lo stage all’École Nationale d’Administration e poi il lavoro al Ministero e all’Ispettorato delle Finanze francesi l’hanno avviata alla notorietà.
I “ritratti” di Maltese sono delineati come quelli fotografici di Paolo Roversi, che ha dato il nome “Luce” allo studio fotografico creato a Parigi, per ricordare quella di Ravenna da dove proviene e per opporla alla tragedia per cui era fatta secondo Susan Sontag quest’arte, da lui applicata invece agli scatti di felicità e benessere: sia quelli ritrattistici (Monica Bellucci, Kate Middleton), sia quelli di moda: campagna di Christian Dior sotto la direzione di John Galliano, lavori con Nino Cerruti, altri in prospettiva con Ungaro e altri con Carla Sozzani Direttrice di “Elle”, a costo del rimprovero per la prevalenza della bellezza delle immagini su quella dei vestiti, rimprovero superato infine dal suo successo con tutte le più note case di moda.
E il “ritratto” che Maltese fa di Monica Bellucci comprende la genuinità umbra, poiché gli dichiara che “appena può” corre a trovare i genitori nella natia Città di Castello, “base del cuore” come Roma e Parigi, anche le figlie (da Vincent Cassel, nate per sua volontà in Italia) “vogliono bene ai nonni, vanno da loro”, e gli dichiara così che neanche il successo e gli ambienti frequentati (“quando sono arrivata a Parigi, lavoravo con attrici che avevano non solo i genitori ma anche i nonni divorziati”) hanno fatto perdere a lei e ora alla primogenita Deva i sentimenti di unione familiare ove esistano. Richiama allora come monito la parte di Maria Callas da lei recitata nel documentario di Tom Volf: “una donna che ha sacrificato la sua giovinezza al suo lavoro e poi tutto il suo lavoro a un uomo che amava, Onassis. Un modo di amare vero, puro, che le è costato la vita”.
Se per Bellucci la provincia italiana conta allora quanto le grandi città, per Carla Bruni Sarkozy quella francese è invece tale per cui “la frattura fra la capitale e il resto del territorio c’è. Un parigino è anche un francese. Ma un francese non è detto che sia un parigino”. Non stupisce allora che, oltre all’estate nella sua proprietà in Costa Azzurra, preferisca tornare in Italia “cinque, sei volte all’anno” o per motivi di lavoro (Milano) o, nonostante ne sia partita all’età di 7 anni, per i sentimenti: vacanze a Mascognaz o altri luoghi d’origine (Torino o Castagneto Po dove la sorella Valeria ha ambientato il film “Un castello in Italia” in quello che era stato loro) per ritrovare lì vicino gli amici di famiglia. Comunque l’italiano rimane in parte nell’elaborazione delle sue canzoni, e non solo vicino alla chitarra perché riesce ogni tanto a tirarlo fuori anche dai figli!
Intanto quelli di Eleonora Abbagnato, tornati a Roma dopo che lei da Étoile dell’Opéra de Paris vi è divenuta Direttrice del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera, hanno mantenuto come la madre la passione per la Francia e il francese: a tal punto che la figliastra più grande (delle due del precedente matrimonio del calciatore Balzaretti, che ne ha avuto l’affidamento esclusivo) adesso vuole andare a studiare a Parigi; e a tal punto che quando la figlia comune (sorella dell’ultimogenito adorato dalle tre figlie più grandi) le dice a 11 anni di voler andare a Parigi, la mette in imbarazzo essendo quella l’età alla quale la ballerina aveva lasciato la famiglia a Palermo trasferendosi a Montecarlo e poi Marsiglia dove Roland Petit l’aveva ingaggiata nel ruolo di Aurora ne “La bella addormentata” in tournée. Da lì, dopo le ammissioni all’École de Danse e nel Corps de Ballet dell’Opéra de Paris, e le lezioni di Pina Bausch, è passata per gli altri rigori che le hanno dato le energie che continua tuttora a utilizzare oltre il massimo successo (riconosciuto in ritardo ma compensato dalle Onorificenze avute). “Ripetere gli schemi di allora oggi sarebbe impossibile. Talvolta però il politicamente corretto rischia di sfociare in alcuni eccessi. Soprattutto in America, gli allievi non puoi nemmeno toccarli. È un’esagerazione, il rigore va spiegato nel modo giusto”. Anche nelle altre professioni che implicano un pizzico di follia, come la moda.
Francesca Bellettini, Presidente e amministratrice delegata di Saint Laurent e Deputy CEO di Kering, arrivata lì con i rigori dei bilanci appresi a Milano alla Bocconi, a New York e a Londra alla Goldman Sachs e alla Deutsche Morgan Grenfell, e con l’esperienza commerciale nella moda fatta a Milano da Prada e alla Bottega Veneta, scelto insieme a François-Henri Pinault lo stilista Anthony Vaccarello, con le ristrutturazioni ha portato il fatturato della casa di moda dai 500 milioni del 2013 a oltre i 3 miliardi di oggi. I rigori vantati sono anche quelli di solidarietà reciproca con i dipendenti durante il covid: “la nostra fabbrica ad Angers ha sempre lavorato…molti dipendenti giovani, abitando a Parigi in case piccolissime, ci hanno chiesto di poter tornare in ufficio… si doveva essere ottimisti nonostante le vendite dei negozi fossero a zero”; e i rigori applicati al “potere”: tra cui quello “per aiutare chi ha bisogno”: come con “Charity Water”, organizzazione con cui Saint Laurent e il gruppo Kering finanziano l’arrivo dell’acqua in posti in Africa ov’è ancora carente; o quello dell’apertura a Scandicci d’un atelier con l’assunzione di 300 persone. O, infine, il potere di Bellettini d’aprire una sua azienda agricola nella natia Cesena, rimanendo di rigore la passione romagnola!
Al sangue romagnolo quello emiliano fa concorrenza pure nella moda: Pietro Beccari, CEO di Louis Vuitton, vi è arrivato da Parma dopo essersi lì diplomato all’Università in Business Administration, e dopo le esperienze nella Mira Lanza, nella Parmalat negli USA, nella Henkel a Düsseldorf, e da Presidente e CEO di Fendi (quando ha restaurato la Fontana di Trevi e il Palazzo della Civiltà) e Christian Dior Couture. Il suo rapporto con gli Arnault è simile a quello di Bellettini con i Pinault: “ognuno ha le proprie caratteristiche ma gli italiani” (tra cui Antonio Belloni, direttore generale del gruppo LVMH) hanno “l’innato gusto del bello”, “un grosso spirito di adattamento”, e “sanno essere flessibili al momento giusto”.
Pure in cucina, dove “il gusto tocca l’emozione” e perciò la collaborazione tra un cuoco francese e un pasticciere italiano per essere di successo non può che basarsi sui reciproci riconoscimenti. È quanto conferma a Maltese Angelo Musa, pasticciere all’Hôtel Plaza-Athénée, dopo che da Nancy dov’è nato da genitori pugliesi era andato a Metz a imparare il mestiere da Claude Bourguignon, e dopo che Ducasse lo aveva assunto in quest’albergo dopo numerose insistenze. Nel 2003 è stato eletto campione del mondo di pasticceria e nel 2007 miglior pasticciere di Francia. “Gli chefs hanno qualche nozione di pasticceria. Io dò loro la chiave per realizzare le cose. Il dessert deve sposarsi con il menù. È una ricerca continua”, che egli applica pure nelle pasticcerie di Harrods a Londra e d’un albergo a Dubai dove ha la longa manus.
La mano di Luca de Meo come CEO dal 2020 del Gruppo Renault (di cui solo il 15% rimane dello Stato) continua a essere quella del ristrutturatore delle aziende automobilistiche in crisi, essendo riuscito a far uscire questa (26,8 mld. di ricavi nel 1° sem.2023, +27% sul 2022 e vendite: +13%) dalla situazione poco florida (anche nell’alleanza con Nissan e poi Mitsubishi) lasciata da Carlos Ghosn nel 2018 e Thierry Bolloré nel 2019. Vi aveva lavorato già dopo la laurea alla Bocconi a Milano (dov’è nato), e prima del ritorno è stato nelle posizioni di vertice della Toyota in Europa, della Lancia, dell’Alfa Romeo, della FIAT (con Marchionne a capo del Gruppo), dell’Audi e della SEAT sviluppando così la presenza del Gruppo Volkswagen anche nei Paesi di lingua spagnola. Preferisce essere un “leader” piuttosto che un “manager”; “nel linguaggio calcistico, mi sento un numero sette, otto, dieci, non un quattro, cinque, un centrale di difesa”: anche nello sviluppo dell’auto elettrica il cui fatturato è in costante aumento, ma Renault “auspica uno spostamento in avanti della data che segnerà lo stop alla vendita in Europa delle auto con motori benzina e diesel almeno al 2040, cinque anni dopo la scadenza fissata dall’Unione Europea per il 2035”, non solo in funzione delle “infrastrutture di ricarica, ma anche per sfruttare la discesa dei prezzi al pubblico” (anche vis-à-vis dei cinesi “forti nelle batterie e nel software legato anche ai semiconduttori”, in cui si sono lanciati non potendo competere con i motori a combustione).
Se per De Meo “non esiste un Paese forte senza un’industria forte”, per Giuliano da Empoli “le dimensioni del pubblico e della politica restano più alte di quelle d’un’azienda privata”. “Il potere è una lente d’ingrandimento sui caratteri e sui sentimenti delle persone”, che si manifesta anche con la pubblicazione dei libri delle personalità politiche in Francia: prima, durante e dopo le loro cariche ai vertici, e non solo su argomenti politici (come la “Fugue Américaine” del pianista Horowitz, éd. Gallimard, scritto nel 2023 dal Ministro delle Finanze Bruno Le Maire). Il successo del suo “Mago del Cremlino” (éd. Gallimard, ispirato a Vladislav Sourkov, “mago” di fiducia di Putin) nel 2022 (premio dell’Académie Française e finalista al Goncourt) non è per ora nelle intenzioni di da Empoli un altro suo trampolino in politica, dopo essere stato tra l’altro assessore alla Cultura a Firenze con il Sindaco Renzi, e dopo i suoi corsi attuali di politica comparata a Sciences Po.
Al legame di da Empoli con l’Italia (di cui fa parte anche la sua disapprovazione degli strascichi della “dottrina Mitterrand” sulla mancata estradizione dei terroristi italiani) non sembra inferiore sentimentalmente quello di Philippine Leroy-Beaulieu, come lui nata vicino a Parigi e cresciuta in parte a Roma, lavorandovi il padre nei suoi primi successi cinematografici e televisivi (“Sette uomini in oro”, “Sandokan”, “Leonardo da Vinci”). A lei i successi iniziati in “Trois Hommes et un couffin” di Coline Serreau e continuati fino alla parte di Sylvie in “Emily in Paris” (o la sua parte nella 5a serie di “The Crown”) su Netflix non hanno impedito né di tornare frequentemente a Roma “che ti prende in braccio e ti avvolge”, né d’essere spesso attratta da Cetona, altro posto in Toscana con un paesaggio tale da conciliare tutti: dal padre a tutti i suoi figli avuti dai diversi matrimoni, compresi quelli da Silvia Tortora.
Da Roma (dopo avervi frequentato l’Istituto Europeo del Design) a Parigi è pure arrivato Giambattista Valli che, in seguito ai suoi periodi al Central Saint Martins College of Art and Design a Londra e da Capucci, Fendi, Krizia e Ungaro e all’apertura dei suoi negozi anche a Milano e New York, e in seguito ai suoi successi vestendo pure Amal Clooney, Rihanna, Rania di Giordania, Michelle Obama e Gwyneth Paltrow, ha dichiarato a Maltese che mentre Roma “resta la sua culla dove non avverte il giudizio”, a Parigi la moda “è sostenuta da un autentico sistema culturale”, perché “fare abiti è considerato arte”; “c’è addirittura un’istituzione, Les Arts et Métiers, perché un lavoro come il mio viene visto come qualcosa da proteggere”.
E c’è dal 2006 la succursale dell’Istituto Marangoni nella quale egli insegna, anche a chi la frequenta contemporaneamente al corso di Laurea in Economia in Italia, e si prepara così a rappresentare la generazione successiva ai vertici delle case di moda. I grandi gruppi del lusso francese sono stati (secondo le sue dichiarazioni a Maltese) “dei genî” a comprare i diversi marchi italiani, ma permettono pure a questi di assicurare l’esportazione in Francia di quel Rinascimento permanente di bellezza e tecnologia riconosciuto ancora nel 2019 nei cinquecentenarî della nascita di Caterina dei Medici e della morte di Leonardo da Vinci. Rinascimento che si può considerare “fiore all’occhiello” anche del Trattato del Quirinale del 2019, come ha ricordato l’Ambasciatrice D’Alessandro (che ne è protagonista insieme alla predecessora Teresa Castaldo e a Masset) quando ha ospitato la presentazione del libro all’Ambasciata d’Italia in presenza di molti protagonisti.
Lodovico Luciolli
Scheda del libro sul sito dell’editore