Chi racconta i segreti degli altri, si rende schiavo. E chi si cura degli affari propri, anziché di quelli degli altri, campa cent’anni.
Sono tanti i detti popolari siciliani che invitano alla riservatezza e scoraggiano il pettegolezzo. I due concetti – riservatezza e pettegolezzo – portati alle estreme conseguenze, in Sicilia diventano anche due grandi questioni: l’omertà e il curtigghiu. Le due cose si riflettono, sono opposte e speculari. L’atteggiamento omertoso è il riserbo che si mantiene in pubblico quando si sa e non si denuncia, si conosce qualcosa ma non la si rivela per preservare la propria incolumità dalle ritorsioni – spesso mafiose – di chi non vorrebbe che quel segreto fosse rivelato.
E poi c’è il curtigghiu, il cui significato letterale in italiano è “cortile”. La metafora è chiara: in tempi andati, quando la televisione con i suoi intrattenimenti non esisteva, ci si riuniva nei cortili interni dei palazzi a prendere il fresco della sera e si dava vita a una specie di arte dello sparlare, non di rado ai limiti della calunnia. Il cortile interno era anche una protezione: il pettegolezzo avveniva nel segreto, lontano dalla pubblica via su cui si ergeva la facciata del palazzo. Nel nascondimento del cortile si trascorrevano interminabili ore a discettare sulla vita privata di persone ben note al consesso ma rigorosamente assenti. Problemi soldi, salute e corna venivano passati al setaccio degli informatissimi presenti, che triangolavano voci pervenute alle loro orecchie con certi dettagli osservati personalmente.
L’equilibrio tra omertà e pettegolezzo è assai sottile. Per cavarsela e non diventare vittima delle proprie esternazioni occorre sapersi muovere tra i due estremi con agilità e furbizia, perché una parola giusta al momento sbagliato (o viceversa) può costare molto cara.
Nel romanzo La Strantuliata (Ianieri Edizioni) di Fabrizio Escheri, il protagonista commette una leggerezza che darà inizio a tutti i suoi guai. La sua panzalenta, metafora dialettale che esprime la propensione a lasciarsi andare un po’ troppo, soprattutto con le parole, lo condannerà a una rocambolesca fuga che finirà ancora prima di cominciare. E a nulla varrà il classico avvertimento concesso dai suoi aguzzini per fini correttivi, ovvero un colpo proporzionato e assestato con precisione perché le cose tornino a posto. Sì, perché questo colpo, la strantuliata per l’appunto, sia efficace non deve trovare una innaturale resistenza. Bisogna accettare le stratuliate con passiva docilità, altrimenti si rischia di rompere tutto quando ci si oppone con vigore. Alcuni si oppongono a una strantuliata per restare fedeli ai propri princìpi; altri – ed è il caso del protagonista di questo romanzo – vi si oppongono involontariamente, o perché sono disattenti o, peggio ancora, perché sono tonti e non colgono i segnale. Ma sappiamo bene che i segnali, anche quelli appena percettibili, hanno una grande importanza nella cultura siciliana, dove il non detto, il sottinteso e le allusioni a volte contano più di tutto il resto. E se la strantuliata viene disattesa, la punizione sarà ancora ben più grande ed esemplare.
Ambientato in una Sicilia ai tempi del fascismo, Escheri ci racconta una storia che ha ancora tante risonanze col presente, e lo fa attraverso una scrittura energica e baldanzosa, a tratti colorata di gradevole umorismo. Da buon siciliano, l’autore prova a far capire ai lettori sulla terraferma che in Sicilia i silenzi contano sempre più delle parole, e che le troppe chiacchiere misurano la stoltezza di un uomo, piuttosto che la sua saggezza e la sua affidabilità. L’autore ci ricorda anche che, in presenza di delitti consumati in Sicilia, non è opportuno ricorrere alla stereotipata dicotomia tra delitti passionali e delitti di mafia, perché le due cose non si escludono a vicenda. Anzi, come in alcuni romanzi di Camilleri, certi omicidi scaturiscono da una molteplicità di fattori che si stratificano su un quadro complesso e misterioso, nel quale tutti gli elementi hanno forse un unico comune denominatore: salvare le apparenze e mantenere lo status quo del potere, con tutti i suoi improbabili equilibri, con tutti i suoi gelosissimi segreti.
Giuseppe Raudino
IL LIBRO:
La Strantuliata
di Fabrizio Escheri
Ianieri Edizioni – 14€
Genere: Romanzo giallo
Edizione: 2021
Pagine: 136
Illustrazione di copertina: Fiorindo Ricci
Sinossi: La strantuliata è un giallo ambientato nella Sicilia del latifondo a metà degli anni ’30 del Novecento. Il protagonista è l’autista della corriera che va da Licu a Sperlinga. La sua vita monotona sarà sconvolta dal rinvenimento, lungo la strada, del cadavere di Don Tano, sovrastante del barone di Chibbò. Da allora, gli eventi trascineranno l’autista al centro di un’intricata vicenda, portandolo a svelare i fili invisibili che legano nobili potenti, uomini di Stato e donne passionali, tra affronti, ricatti e vendette. Il suo senso di giustizia gli impedirà di restare indifferente, ma a caro prezzo, mentre sullo sfondo una pletora di contadini, curva sul raccolto, finge di non accorgersi di nulla. L’autista si ritroverà invischiato nell’omertà, con tutti i paradossi, le insensatezze e i disvelamenti a sorpresa che ne conseguiranno. Quel delitto sarà proprio una strantuliata, uno scossone inaspettato.
L’AUTORE :
Fabrizio Escheri (Palermo, 1966), dottore commercialista, coltiva due passioni: la Storia e le storie. Nelle lente serate estive trascorse nel suo rifugio di Gangi, sulle Madonie, al centro della Sicilia, ha raccolto i racconti degli anziani che vissero l’epopea dei briganti che infestavano quelle campagne prima che Cesare Mori, il prefetto di ferro, assediasse il paese per stanarli. La strantuliata è il suo romanzo d’esordio.