«Mi ritengo fortunato del fatto che dai miei racconti
siano venuti fuori dei buoni film.»
Nel centenario della nascita di Leonardo Sciascia (era nato l’8 gennaio 1921 a Racalmuto in Sicilia) risuonano quanto mai attuali i vezzi verbali, rivenienti dal suo libro “Il giorno della civetta” (1961) e dalla voce (doppiata) del capomafia don Mariano, magistralmente interpretato – nel film omonimo di Damiano Damiani – dall’americano Lee J. Cobb. Il capomafia classifica l’umanità in “uomini”, “mezz’uomini”, “ominicchi”, “pigliainculo”, “quaquaraquà”. Forse “Il giorno della civetta” è il film più noto fra quelli ispirati ai suoi racconti (ben nove). Dunque “la Sicilia come metafora”, ovvero “l’arte è l’unica verità”.
Esiste un rapporto intrinseco tra alcune opere di Leonardo Sciascia e le trasposizioni cinematografiche. E molto si deve alla maestria di grandi registi di impegno civile come Damiano Damiani (appunto), Francesco Rosi, Elio Petri, Gianni Amelio, Emidio Greco, Aldo Florio. È l’attore Gianmaria Volontè l’icona fra le più rappresentative, che in “A ciascuno il suo” (1967) e in “Todo Modo” (1976) diretti da Elio Petri (nel cast anche Marcello Mastroianni) contribuirà ad irrobustire il loro sodalizio per un più acuto cinema politico.
Nello stesso 1976 Francesco Rosi porta sullo schermo (e al Festival di Cannes) “Cadaveri Eccellenti” con un cast stellare: Lino Ventura, Max Von Sydow, Renato Salvatori. Volti sciasciani resteranno pure Salvo Randone, la “greca” di Sicilia Irene Papas, Mario Scaccia, Turi Ferro, Lando Buzzanca. Il grande schermo sembra il luogo privilegiato della narrativa di Sciascia. Eppure, confidava: “Dopo la morte di Aldo Moro, io non mi sento più libero di immaginare. Anche per questo preferisco ricostruire cose già avvenute: ho paura di dire cose che possono avvenire”. Tuttavia, si rivela anche la ricerca dell’indizio ironico stabilmente presente nei libri, pur in canoni improntati al “giallo”.
Sciascia fin da ragazzo amava il cinema, aspirando a diventare regista o sceneggiatore. Scriveva ad un suo amico: “Mi raffermo nella mia ipotesi di essere infallibile in fatto di cinematografo”. Sciascia preferiva i noir francesi anni ‘30, il “realismo poetico” di Jean Renoir e Marcel Carné, e autori di capolavori come La grande illusione (che era il suo preferito), L’angelo del male, lui giallista della verità e precursore di un genere che vede nel Capote di “A sangue freddo il precursore. Denuncia politica e analisi premonitrice di una Sicilia che anticipava la Storia.
Come lui, amava il cinema l’altro grande scrittore siciliano Gesualdo Bufalino (l’autore di Diceria dell’untore pure diventato un film con Franco Nero). Una passione generazionale, dunque. Nata quando erano ragazzi. Sciascia frequentava con assiduità quelle sale cinematografiche che, si presume, erano simili al Nuovo Cinema Paradiso immortalato da Giuseppe Tornatore.
La scrittura di Sciascia si presta a essere tradotta spesso fedelmente dall’occhio magico del regista essendo una sceneggiatura composita. Anche se, va detto, per il cinema non ha mai scritto testi ad hoc, per scelta. Fu tentato da Sergio Leone di scrivere insieme C’era una volta in America, ma – narrano le cronache – quando seppe che nel cast non figurava Henry Fonda, un suo idolo, si tirò indietro.
Il primo incontro tra i romanzi di Sciascia con il cinema si avrà con A ciascuno il suo, girato da Elio Petri nel 1967, adattato con Ugo Pirro: un duplice omicidio di mafia viene camuffato come passionale: sarà un giovane professore (splendido Gian Maria Volonté) a venirne a capo, finendo però nella rete degli assassini.
Lo scrittore di Racalmuto guardava da spettatore i film ispirati ai suoi racconti. Scriveva ad Elio Petri: “Nel mio atteggiamento verso di te non c’è stata altra ragione che quella di lasciarti ogni possibile libertà, ma evitando accuratamente di diventare tuo complice”. Sosteneva pure che uno scrittore fornisce al regista solo suggestioni o trame e quando cede un soggetto al cinema deve prepararsi a vedere un’altra cosa rispetto al suo libro. “Ma io – concludeva – mi ritengo fortunato del fatto che dai miei racconti siano venuti fuori dei buoni film”.
E così Un caso di coscienza, di Giovanni Grimaldi (1970), diventa un inconsueto giallo, una sorta di Signore & Signori (di Germi) in salsa siciliana: l’indagine tende a scoprire una moglie fedifraga e il rapporto con il marito.
È del 1968 Il Giorno della Civetta diretto da Damiano Damiani, forse il film più celebre tratto da un romanzo di Sciascia, un classico poliziesco che ruota attorno all’inchiesta di un capitano dei carabinieri sul misterioso omicidio di un imprenditore edile commissionato da un boss locale che, alla fine, benché scoperto, rimarrà impunito. Sensuali restano le presenze di Claudia Cardinale (Rosa Nicolosi) e di Franco Nero (il Capitano Bellodi) affiancati da un superbo Lee J. Cobb.
Nel 1976 escono tre film ispirati ad altrettanti capolavori:
Una vita venduta, di Aldo Florio, che si rifà a L’antimonio, ovvero la Sicilia come mondo offeso. Ambientato durante la guerra civile spagnola, è la tragedia di due siciliani volontari fascisti che combattono a fianco dei falangisti di Franco: uno si è arruolato per sfuggire alla miseria delle miniere di zolfo, l’altro vorrebbe andare in America per ritrovare la sua famiglia emigrata. L’epilogo amaro vede l’amico nel plotone che fucilerà l’altro, disertore.
Todo Modo, firmato ancora da Elio Petri, evoca, in maniera grottesca, quella “farsa nerissima che si respirava in Italia in quegli anni” dove “il potere mangia se stesso”.
Un assunto che si rilegge anche in Cadaveri eccellenti, diretto da Francesco Rosi che riprende dal romanzo Il contesto. Gli anni di piombo in Italia, i tentativi di golpe, corruzioni di Palazzo e intrecci malavitosi. Il grande attore francese Lino Ventura, nei panni del commissario Rogas, è un insuperabile ispettore di polizia, mite e concreto, quasi un Maigret di altra epoca e trame.
Porte aperte (1987), di Gianni Amelio, vede ancora un magnifico Gian Maria Volontè: è un atto di accusa contro la pena di morte nella Palermo degli anni Trenta, un giudice coraggioso si oppone alla fucilazione di un imputato pluriomicida perché ritiene che la condanna sia più crudele degli stessi delitti commessi.
Una storia semplice (1991), è il primo dei due film di Emidio Greco, ed è l’ultimo film interpretato da Volontè, qui nei panni di un impenetrabile professore: la misteriosa morte di un anziano diplomatico occulta le malefatte di un commissario corrotto e di un sacerdote. E infine Il Consiglio d’Egitto (2002), con Silvio Orlando e Renato Carpenteri, affonda nella cultura arabo–siciliana di una Palermo del ‘700 dove un frate furfante vorrebbe sovvertire l’ordine costituito.
Sciascia e il cinema: una suggestione evoluta a suggello della storia del secolo scorso. Film da vedere o rivedere tutti.
Di Armando Lostaglio
Segnaliamo inoltre:
- il libro mandato in libreria l’8 gennaio 2021 da Adelphi:
“QUESTO NON È UN RACCONTO. SCRITTI PER IL CINEMA E SUL CINEMA”
di Sciascia a cura di Paolo Squillacioti - “Sciascia e il cinema. Conversazioni con Fabrizio Catalano e Vincenzo Aronica”, edito dal Centro Sperimentale di Cinematografia; Rubbettino (2021)
- Il Primo Piano dedicato a Leonardo Sciascia dal nostro sito Altritaliani