La guerra scatenata dalla Russia, con un’azione a tenaglia sul suolo ucraino, ha diversi significati drammaticamente interessanti. In primo luogo, potremmo dire che siamo arrivati al nodo al pettine, nell’era della globalizzazione avviata con la fine dell’impero sovietico e della politica dei blocchi. Nell’affronto di Mosca si cela l’ambizione di ridare, nello scacchiere internazionale, un ruolo principale alla Russia e al suo nazionalismo. Non è un caso che l’aggressione avviene nei confronti di un paese che ambisce ad entrare nell’Unione europea e finanche nella NATO, seppure quest’ultima ambizione fosse ed è contenuta dalla realpolitik che impone di non suscitare eccessive preoccupazioni nell’orso russo.
Si confrontano due concezione geopolitiche estremamente lontane, una novecentesca di conquista nazionalista, che arriva alla violazione di uno stato sovrano, l’altro che ambisce ad una politica da nuovo millennio di cooperazione internazionale, certamente nella complessità di queste vicende non deve neanche nascondersi che il confronto militare a cui stiamo assistendo è anche un conflitto tra nazionalismi, ma è anche un confronto tra due modelli di società che sono dominanti in questo scorcio di nuovo millennio.
L’Ucraina da trenta anni, oltre all’indipendenza dall’ex Unione Sovietica, ha conquistato anche una sua forma istituzionale democratica, la Russia di Putin è sostanzialmente una dittatura imperfetta o se preferiamo una democrazia illiberale. Nel senso che le elezioni, pur non essendo quelle dei regimi comunisti, sono condizionate e manipolate dal suo attuale leader (parente prossimo nello stile di quelli che furono gli zar) avendo il controllo dei comandi della società potendo così pesantemente manipolare e gestire lo stesso consenso popolare. I mezzi di informazione, la stessa rete internet, il controllo delle leve economiche del paese, l’assoluto disprezzo di ogni dissidenza, non consentono di parlare di una democrazia reale.
Probabilmente, nel voler “punire” la democratica e in parte europeista Ucraina, Putin ha voluto lanciare un messaggio all’Europa e al mondo. La presenza alle porte della Russia di una società che si forma sul modello democratico e che aspira a trarre il meglio dalla globalizzazione con le sue aspirazioni europeiste e filoccidentali, costituisce una minaccia alla storia Russa che allo stesso tempo si trova, ancora una volta, a vivere la sua ambigua e frustrante contraddizione di essere poco Europa e non troppo Asia.
Il mancato riconoscimento europeo del ruolo russo genera frustrazione all’aspirazione politica ma anche culturale di essere parte guida del vecchio continente. Perlopiù, si aggiunge che dalla caduta dell’impero sovietico, la Russia ha visto sempre più ridimensionare il suo ruolo geopolitico, Obama arrivò a definire la Russia una potenza appena regionale.
Nell’ambiziosissimo e nelle sofferte frustrazioni di Putin questo affronto americano risultava insopportabile. Anche in questo senso va spiegato l’attivismo putiniano in Siria e prima contro il djiadismo e poi l’arginamento delle ambizioni turche. E ormai come detto, siamo ai nodi al pettine, per questo l’invasione ucraina sorprende solo in parte.
La partita è grossa, perché il segnale lanciato non va sottovalutato. Storicamente i segnali non colti di Hitler con l’invasione prima in Austria e poi in Cecoslovacchia portarono alla Polonia e ai risultati che tragicamente conosciamo. Rispetto a questa partita l’Europa sta giocando per ora al meglio delle sue possibilità, non egualmente l’America di Biden.
Sia chiaro: l’intervento militare innescherebbe una pericolosissima escalation con esiti ampiamente prevedibili. Tuttavia, l’Europa ha capito bene qual è il terreno (purtroppo lungo e complesso) che può, alla distanza, indurre Putin a mollare la presa.
Il dittatore russo è riuscito nell’impresa di unificare l’Europa. Dalla Francia all’Ungheria, dalla Germania alla Polonia, ovviamente l’Italia e finanche la fuoriuscita Gran Bretagna, il coro contro l’aggressione è unito e compatto. Si consolidano le difese NATO, si inviano armamenti per la resistenza ucraina, si studiano ritorsioni economiche pesanti.
Intanto l’America.
Nel suo primo discorso, a poche ore dall’inizio delle ostilità, Biden è sembrato determinato nei toni ma confuso e poco concreto nell’elencare le sanzioni economiche contro l’aggressore Putin. Ha parlato di colpire le risorse economiche personali degli oligarchi russi, ha minacciato di congelare le risorse di investimenti bancari verso la Russia, paventando anche il blocco degli scambi commerciali, senza mai pronunciare la parola magica, su cui concitatamente insistevano i giornalisti presenti alla sua conferenza stampa. Ovvero il blocco dello Swift (SWIFT è l’acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication. È un’organizzazione di proprietà dei membri creata negli anni ’70 per stabilire uno standard comune per i pagamenti internazionali e il regolamento delle operazioni transfrontaliere di azioni e obbligazioni), che davvero determinerebbe il blocco definitivo in chiave internazionale delle transazioni economiche e commerciali da e per la Russia. Una bomba atomica per il commercio e le risorse bancarie con effetti decisivi già a breve termine.
Evidentemente questa estromissione della Russia dal sistema Swift non avrebbe effetti indolori per gli altri paesi, tutt’altro, e probabilmente questo ha portato Biden a non evocarlo mai. Non è un caso che alla fine del suo intervento Wall Street ha tirato un sospiro di sollievo rientrando in territorio positivo dopo una giornata molto complicata e probabilmente lo stesso sospiro l’ha tirato Putin.
Ancora una volta, dopo la débâcle in Afghanistan, Biden vuole far intendere che lui le idee chiare ce le ha. Il vero problema dell’America oggi è la Cina, l’Europa ha perso peso geopolitico e l’America è disposta ad una battaglia di principio senza spingersi oltre. È vero anche che non sia da escludere un ripensamento, al fine di rendere le sanzioni economiche più credibili ed efficaci. In queste ore il superalleato Boris Johnson dall’Inghilterra spinge per l’estromissione della Russia dal sistema di transazioni informatiche e dallo Swift, cosa per altro su cui sembrano disponibili anche Macron e il nostro Draghi. Di fronte ad una levata di scudi simili Biden potrebbe avere un ripensamento.
…E l’Europa?
Per il vecchio continente dopo i buoni esiti dell’azione comune sul Covid la partita ucraina può essere un fattore di accelerazione per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, appare infatti evidente che sono da ricreare nuovi organismi capaci di un maggior peso geo-politico. In un certo senso la partita che ha aperto la Russia ha davvero il sapore del primo Novecento, prefigurandosi un conflitto, per ora felicemente non armato, con l’insieme europeo. Una sorta di guerra fredda tra Europa e Russia. In tal senso appaiono ormai obsoleti ed inefficaci strumenti come l’ONU e finanche inutile la NATO che già tempo fa Macron definiva, un’organizzazione in coma cerebrale. IL vero punto è che l’Europa, come si sta sforzando di fare, deve ambire ad una politica estera comune e ad una difesa militare in proprio attraverso un esercito comune che abbia un coordinamento unico e chiaro. Per questo sull’Ucraina non si può transigere, evitando certo una guerra, che nessuno desidera, tranne i russi, ma dando tutto il possibile da subito per l’isolamento della Russia di Putin, arrivando anche ad escludere i voli da e per la Russia, creando un boicottaggio generale verso quel paese fino all’esclusione dal consiglio d’Europa, voluto dal governo italiano, fino all’esclusione dalle mediatiche attività sportive e culturali di ogni tipo.
Intanto la Cina…
La Cina in questa partita si tiene le mani libere. Fa sponda con la Russia, a dispetto del vero nemico americano, ma fino ad un certo punto. La Cina ambisce ad infiltrarsi nell’Europa e i tanti scambi commerciali e interessi economici che la legano all’Ucraina le impongono prudenza. L’Ucraina intrattiene numerosi affari con la Cina costruite nel tempo proprio in chiave antirussa. Ora è evidente che l’Ucraina è per la Cina la testa di ponte per la sua definitiva consacrazione commerciale ed economica in Europa ed un’eccessiva adesione, al pur sempre rivale russo, metterebbe in crisi i suoi progetti.
Siamo vicini ad una guerra mondiale?
La risposta è no. Ma certamente se passa la politica imperiale ed imperialista dell’ex Unione Sovietica, si aprirà un vaso di pandora dalle inquietanti prospettive. La Cina potrebbe domani sentirsi autorizzata a fare quello che ha fatto la Russia verso Taiwan ed allora sì che sarebbero dolori. Questo costringerebbe l’America ad un intervento militare anche per non rompere il tentativo di accerchiamento in Asia che sta operando da tempo. In tal senso diverrà importante capire la posizione di paesi emergenti come l’India che da tempo guardano con preoccupazioni le mosse della Cina.
Anche per questo l’isolamento della Russia deve essere da subito chiaro, univoco e determinato, non di facciata. Per una volta occorre evitare ogni ipocrisia o interesse nazionale. Gli USA, da Obama in poi sembrano rinchiudersi sempre di più nel proprio paese rinunciando al ruolo di arbitro dello scacchiere internazionale e questo non mette il mondo al riparo per il futuro. Del resto, si sa: se manca l’arbitro il gioco perde ogni sua regolarità.
Nicola Guarino