Un racconto breve dello scrittore e poeta irpino Gabriele De Masi. La delicatezza narrante del breve attimo di una mano tesaci, di un confronto fuggente tra noi e l’elemosina, uno di quegli istanti che capitano a volte nel traffico o ai semafori delle città, quando la nostra caparbia, scostante, istintiva indifferenza ci fa poi, a semaforo verde, vergognare con noi stessi.
L’anima al semaforo
Il semaforo mal programmato è sempre rosso nello svincolo della circumvallazione che mi porta in città. Farò tardi anche oggi, prigioniero in questa scatola di ferro e vetro. Tante, brevi ripartenze intervallate da interminabili stop. Il traffico, stamane, è ancor più lento. Già da lontano intravedo il solito singhiozzo verde, giallo- rosso. Fermo, chiudo l’occhio destro, lo riapro, appanno il sinistro per misurare la vista all’arcobaleno lontano. Conosco le diottrie calibrate coi secondi, gli attimi di ripartenza per evitare una lunga sosta proprio sotto allo scatolone metallico che dà a piacere permessi o impedimenti di percorso ai tanti viandanti dell’auto.
C’è la crisi. Aumenta la benzina e ciò che mi auguravo, che qualcuno, almeno, lasciasse l’auto a casa, non avviene, in barba ai barili di petrolio che navigano per mari e non giungono mai sotto casa mia, ma le accise sì, arrivano tutte, sottili canti di sirene che raccontano ancora la guerra d’Etiopia, i francobolli del soccorso invernale e della tubercolosi, attraversano tutti i terremoti dal Belice per l’Irpinia per arrivare all’Aquila, e scongiuro, a questo punto, temendo per altri tremuoti, inondazioni, smottamenti e siccità, che non si arrivi al costo dello champagne.
Come è comoda la poltrona della mia auto, quasi un prolungamento del divano di casa, stravaccato, m’assopisco, e quel buontempone di dietro, accortisi che il nonno dorme, fa strombazzare il coro degli angeli d’una vecchia Lancia scartellata. Clacson e gas. Riparto per pochi centimetri. E’ tutto un lento viaggiare. Siamo rassegnati, attardati, arrabbiati, incolonnati, da soli o appaiati, a meditare su un tappeto di strada, asfaltato appena ieri e che sa ancora di bitume. Sono lontano dallo scatto. All’ultimo stop? Ce la farò a superare l’ostacolo? Neanche per sogno. Ma mi avvicino, non demordo, il semaforo è proprio là. Mi blocca il giallo, ma, almeno alla ripartenza sarò il primo. Che bravo che sono.
Bussano al finestrino. E’ venuta da dietro una zingarella assonnata come me, non l’avevo proprio notata: “Io di Romania. Fame. Dio protegge te, se carità fai.”
Questo non ci voleva. Faccio il distratto. Mi staranno guardando? Non abbasso neanche il vetro; lo alzo. Perché non se ne vanno, da tutti i semafori del mondo, questi dannati scocciatori petulanti? Punta, insistente, lo sguardo nell’auto, allunga la piccola mano contro il vetro. E’ irritante. Mi sposto verso il cambio e lo specchietto retrovisore riflette il mio volto. Per un istante, non mi riconosco. Sono anch’io padre? e un maldestro cristiano? Frugo nervosamente nel cappotto. Non trovo spiccioli. Non faccio finta e più m’affanno. Quegli occhi imploranti di scena imparata mi fissano stanchi, colmi d’una notte all’addiaccio, con lacrime rapprese di sporco, giovinezza incantata e di rabbia, più della mia, dal volto formato a un sorriso d’imbarazzo.
È verde al lampione, non riparto. Cerco ancora, veloce, nelle tasche dei pantaloni e non trovo nessuna moneta d’avanzo. Tento d’estrarre dalla tasca posteriore il portafogli, non ci riesco e mi dimeno tra cappotto e schienale. Quegli occhi mi tirano addosso tutto il mondo. L’incrocio è palco di teatro alla scena madre. Sono l’attore principale, osservato da tutti i lati. Proprio a me, e non so recitare, chiudere la trama con un sorriso di commedia o con un mugugno di dramma? Che ansia! Dietro strombazzano. Non è stato mai così lento il verde. Spero che fonda il motore, s’ingrippi il cambio. Riparto? Lascio, pronto, la frizione …, e l’anima, al lampione.
Gabriele De Masi